Non si discrimina la malattia!

Via la presenza dai criteri dei premi di risultato!

Il salario si difende con gli aumenti fissi e ricorrenti, che contribuiscono al TFR e alla pensione. I “premi di risultato” sono incerti, variabili e detassati (nel 2023 al 5%), e le minori entrate al fisco equivalgono a meno servizi pubblici: la decontribuzione non è conveniente. Il welfare non è nemmeno pensionabile e ti lega alla piattaforma scelta dal datore di lavoro.

Ciò nonostante parte del nostro reddito è oggi costituito dai premi, e ci sono aziende che li basano, fra l’altro, sul numero di giorni/eventi di assenza (“lotta all’assenteismo”), a volte per iniziativa unilaterale dall’azienda (senza accordo sindacale), a volte sulla base di accordi sindacali. In nome della lotta all’assenteismo, per non rischiare di favorire eventuali approfittatori, storicamente si è scelto di penalizzare sicuramente a priori chi ha vere malattie. Tra l’altro gli altri indici su cui vengono calcolati i risultati tengono già conto delle assenze, e nessuna società dovrebbe risparmiare sulle/i malate/i per redistribuire il risparmio agli altri: non è etico né solidale. È da quando, all’inizio degli anni ’70, fu istituito il pagamento al 100% dei primi tre giorni di assenza per malattia che il padronato tenta di smantellarlo. Nacque così la campagna contro gli AAR (assenteisti anomali ricorrenti), che accusava lavoratori e lavoratrici di allungarsi il week-end con un finto giorno di malattia. Decenni di incessante propaganda hanno dato il loro frutto, e in anni recenti sono ricomparse nei contratti forme di penalizzazione delle malattie.

Il congedo di malattia è invece sacrosanto e indispensabile alla salute. Se qualche caso è “sospetto”, si può mandargli la visita di controllo, ma non elevargli contestazioni disciplinari (salvo esplicita previsione contrattuale). E non è un motivo per penalizzare a priori tutte e tutti, dando per scontato che la malattia sia sempre fittizia. La malattia è uno stato patologico che determina un’inabilità al lavoro assoluta (senza margini per un collocamento parziale) e temporanea (se fosse permanente, richiederebbe la messa in quiescenza per motivi di salute). Chi ha una salute più fragile sostiene spese mediche anche pesanti e non è giusto che il suo reddito sia ridotto. La malattia costituisce uno svantaggio (un handicap). Penalizzarla economicamente è discriminatorio, proprio come penalizzare sciopero o maternità. La nostra Costituzione e le normative europee vietano tutte le discriminazioni, anche per handicap. Anche quello temporaneo dovuto alla malattia dev’essere tutelato! La discriminazione può essere diretta, se tesa a danneggiare una data categoria, o indiretta. La direttiva 2000/78/CE (parità di trattamento in materia di occupazione e condizioni di lavoro) definisce quella indiretta all’art. 2, paragrafo 2, lettera b): «[…] quando […] [criteri] apparentemente neutri possono mettere in una posizione di particolare svantaggio […] le persone portatrici di un particolare handicap […] rispetto ad altre».

Come SIAL Cobas abbiamo a cuore la salute e la sicurezza di lavoratrici e lavoratori e i principi di solidarietà ed egualitarismo, per questo vogliamo cominciare (sollevando il problema verso i Sindacati e fra lavoratrici e lavoratori) una campagna per eliminare il criterio discriminatorio della malattia e per arrivare alla piena e completa eliminazione dei premi presenza, senza perdite di reddito: i soldi corrispondenti vanno dirottati su altre voci della retribuzione (possibilmente fisse e ricorrenti, cioè pensionabili e liquidabili).

Inoltre ci impegniamo a intervenire sindacalmente sui contratti nazionali (sempre peggiori) e in ogni luogo di lavoro contro i licenziamenti per superamento del comporto di malattia. Le persone che hanno seri problemi di salute, oltre a non perdere i soldi del premio, non dovrebbero in nessun modo avere davanti la perdita del posto di lavoro.

A cura dell’ufficio sindacale SIAL-Cobas (24 gennaio 2023)