Caro Beppe Sala ti scrivo …. lettera aperta di Vittorio Agnoletto e Medicina Democratica al Sindaco di Milano sulla sanità lombarda

Come cambiare la sanità lombarda in sette mosse
Lettera al Sindaco Sala. Le avanzo alcune proposte precise. Le prime hanno carattere nazionale; le chiedo se è disponibile a sostenerle sia pubblicamente, sia nel suo partito di riferimento, affinché diventino impegni di governo

Il Manifesto del 25.11.2020

Caro Sindaco,

ho letto su “la Repubblica” le sue critiche alla sanità lombarda. Ricordo lo sgomento che colse molti operatori sanitari, il 27 febbraio, nel vedere il video “Milano non si ferma” da lei postato sui suoi profili social. Un messaggio in contrasto con le indicazioni del mondo medico e con i comportamenti da adottare; messaggio che lasciò perplessi e confusi molti cittadini e che, mi pare, lei oggi riveda criticamente.

Nell’intervista lei coglie le enormi responsabilità della giunta Fontana e illustra alcune proposte, elaborate dal Pd lombardo, intervenendo quindi non solo come sindaco, ma come esponente di spicco di quell’area politica.
Concordo, “La sanità lombarda è tutta da rifare”, lo ripetiamo in tanti e da molti mesi ed è importante che anche il Pd sia giunto a questa conclusione.

Non c’è tempo da perdere.

1. Commissariare la sanità lombarda. Se la Lombardia fosse una nazione, come proponeva Bossi, oggi saremmo al primo posto nel mondo, per numero dei decessi da Coronavirus in rapporto alla popolazione 200/100.000 abitanti. Gli oltre ventimila decessi in Lombardia sono un tragico primato al quale ha contribuito una gestione scellerata della regione. Oltre 97.000 cittadine/i hanno chiesto da mesi al governo di Commissariare la Sanità lombarda (https://www.change.org/p/commissariarelalombardia-va-fatto-ora) per evitare che tragedia continui ad aggiungersi a tragedia. Dal governo non è arrivata alcuna risposta.

2. Non prorogare la legge 23/15 che governa la sanità regionale. Entro il 31 dicembre il governo deve decidere se confermare la legge approvata dalla giunta Maroni e autorizzata in via sperimentale per cinque anni, durante i quali : i posti letto negli ospedali pubblici sono stati ridotti, mentre sono aumentati negli ospedali privati; è stato tagliato il personale nei servizi di prevenzione, igiene ambientale e sanità pubblica, sono stati cancellati i distretti, la percentuale di anziani che possono usufruire dell’assistenza domiciliare è tra le più basse d’Italia, i consultori e i servizi di salute mentale sono in numero molto inferiore a quello stabilito, le liste di attesa hanno tempi infiniti. La legge 23 va cancellata e la sanità lombarda deve rientrare nel quadro normativo indicato dalla Costituzione e dalla l. 833/78: un Servizio Sanitario universale, nazionale e accessibile a tutti.

3. Cancellare il numero chiuso a medicina, ampliare i posti nelle specialità (quest’anno sono ben 9301 i neolaureati che non hanno potuto accedervi), rivedere il percorso formativo dei medici di medicina generale iniziando dall’adeguamento della retribuzione.

A livello regionale le chiedo di impegnarsi per:
4. Cancellare il dominio incontrastato che la sanità privata attualmente esercita nella nostra regione: le strutture private accreditate ricevono, in alcuni settori, il 40% della spesa corrente gestita dalla Regione e scelgono di accreditarsi unicamente nei settori della medicina maggiormente remunerativi, stanno realizzando guadagni immensi speculando sulla pandemia: tamponi, test sierologici e ”pacchetti Covid” a 450 euro. I Livelli Essenziali di Assistenza devono essere garantiti dalla sanità pubblica, un’eventuale Agenzia per il governo della sanità deve (non può) essere pubblica; devono essere cancellate le delibere sui malati cronici che, attraverso l’istituzione del “gestore”, hanno l’obiettivo di consegnare al privato la cura di oltre tre milioni di cittadini.

5. Rafforzare la medicina territoriale: vanno reintrodotti i distretti, istituite le case della salute” con uno sportello per tutte le attività sociali e sanitarie per la presa in carico del paziente con percorsi di cura individualizzati. Va favorita la collaborazione tra i medici di famiglia con le risorse in gran parte inutilizzate; vanno potenziati i servizi specialistici e l’assistenza domiciliare riducendo la necessità di ricovero degli anziani nelle RSA e favorendo lo sviluppo di strutture più piccole, integrate nel territorio.

6. Partecipazione democratica. Concordo con un coinvolgimento dei sindaci e delle istituzioni locali, ma è necessario prevedere forme di partecipazione a cominciare da coloro che sono direttamente coinvolti nelle attività dei servizi territoriali: consultori, cps ecc.

7. Le nomine dei direttori generali devono essere sottratte alla lottizzazione politica; l’abbattimento delle liste d’attesa e il loro rientro nei tempi istituzionalmente previsti, deve essere uno dei principali criteri per valutarne l’operato, insieme alla verifica degli obiettivi di miglioramento della salute collettiva misurabili con strumenti epidemiologici.
Auspicando una sua risposta, cordiali saluti,

* Responsabile scientifico “Osservatorio Coronavirus”, direttivo Medicina Democratica

Qui sotto il testo dell’intervista a Sala pubblicata da La Repubblica cui si riferisce la lettera aperta

Beppe Sala: “Dai medici di base ai rapporti con i privati qui è tutto da rifare”
22 NOVEMBRE 2020
“La Regione non ha un pensiero strategico, per questo insieme al Pd voglio proporre una riforma radicale articolata in cinque punti”
DI PIERO COLAPRICO

MILANO – «Come tutti, avrei voluto che questa angosciante pandemia non fosse esistita. Ma l’ho dovuta vivere. Ho fatto i miei errori, mi sono impegnato al massimo delle mie capacità, ho imparato. Il quotidiano ancora ci preoccupa, ma è tempo di guardare al futuro». Sindaco Beppe Sala, se nessuno sa quanto durerà, il tema resta come fronteggiare la pandemia…
«Speriamo che i nuovi vaccini ci permettano di uscirne per la prossima estate. Ma da cittadino lombardo dico che è tempo di ripensare la gestione della sanità lombarda».
Subissata da proteste e inchieste…
«Nelle ultime settimane ho molto limitato la mia critica, perché ci sono momenti in cui è più importante stare vicini alla comunità, tutta. Sono però sotto gli occhi di ciascuno le carenze e le difficoltà manifestate dalla sanità, soprattutto territoriale, in questi drammatici mesi in Lombardia. Da ultimo con la vicenda dei vaccini antinfluenzali».
Va cambiato il modello di gestione della salute così com’è stato sinora praticato dal centrodestra?
«Radicalmente. Ma non vedo alcun pensiero strategico in proposito venire fuori dalla giunta lombarda. Con il Pd lombardo invece stiamo lavorando ad una prima bozza di lavoro, sarà poi fondamentale che si faccia un’accurata lettura dei “bisogni” direttamente con i cittadini e nei vari territori. Bisogna fronteggiare le sfide demografiche e sociali e saper cogliere le opportunità tecnologiche e di innovazione clinica che si stanno presentando. Qui serve un’universalità del servizio».
Come si fa il cambio di marcia?
«Al primo punto – e ne abbiamo cinque ben precisi – con l’istituzione di un’Agenzia per il governo della sanità. Ci devono essere chiare responsabilità e competenze di ogni attore del nostro sistema sanitario. Altre Regioni, per esempio Veneto e Lazio, hanno già implementato sistemi simili. Quest’Agenzia, che può anche assumere la forma di Azienda pubblica, avrà la responsabilità di coordinare tutto il sistema e di governare anche l’offerta del privato accreditato da una posizione di forza e competenza. Inoltre, l’Agenzia potrà farsi carico di gestire gli acquisti sanitari e i concorsi per il reclutamento del personale. Al fianco di essa abbiamo poi bisogno di un soggetto che si occupi veramente di innovazione, ricerca, telemedicina e incrocio e valorizzazione dei big data. Anche da qui passa la sostenibilità di un vero progetto di riforma».
Pubblico e privato, diceva. Un connubio che a volte è eccellente, a volte, come insegna l’epopea giudiziaria di Roberto Formigoni, non disdegna la corruzione.
«Infatti va riequilibrato il rapporto e va introdotto un sistema di rimborsi al privato che non si basi solo sulla fatturazione della singola prestazione, ma che tenga conto del risultato dell’intero percorso di cura. Cioè, per esempio, l’80% del rimborso è sulla prestazione effettuata dall’ospedale privato convenzionato, ma il restante 20% viene liquidato alla dimostrazione del risultato della cura. Serve garantire la continuità dell’assistenza del paziente lungo tutto il percorso medico. Sarà una rivoluzione e, ovviamente con la giusta progressività, si può fare».
Per non pochi esperti, uno degli errori della Legge 23 riguarda le Ats, agenzie tutela della salute. Sono state mal dimensionate per numero di pazienti, per esempio l’Ats Milano mette insieme le province di Milano e di Lodi. O per territorio, come l’Ats Val Padana, che accorpa le province di Mantova a Cremona.
«Già, ma a parte questo, non è mai stato costruito un progetto sociosanitario sui territori. Nelle Ats c’è più burocrazia che dialogo. Il terzo punto di questa riforma prevede infatti il ritorno ai Distretti, punto di riferimento per una dimensione di assistiti più limitata, con luoghi fisici capaci di offrire servizi sanitari di base. Per evitare che l’unico posto per curarsi sia l’ospedale, che deve continuare a prendersi in carico le patologie che richiedono un ricovero. E il Distretto deve essere la realtà dove servizi sanitari e sociali si incontrano. Qui è cruciale costruire anche una precisa assunzione di responsabilità sulle fragilità».
Mancano altri due punti. Uno riguarderà i medici di base?
«Che non riescono a fare bene il loro mestiere. A Milano l’età media dei medici di base è di 59 anni e assistono mediamente 1.400 persone. La loro figura in Lombardia è stata sempre più marginalizzata e non sono mai stati coinvolti nei processi di cambiamento. Per questo si sentono avulsi dal sistema. Bisogna investire di più su di loro, sia riducendo il numero medio dei pazienti, sia nella formazione. E poi bisogna tornare a investire sui Consultori, abbiamo perso negli anni un pezzo importante della nostra sanità territoriale».
Lei, come sindaco, sulla sanità non ha competenze…
«I sindaci sulla carta hanno una responsabilità formale in tema sanitario, ma nella sostanza non hanno quasi nessuna leva per poter agire. Invece, immaginiamo la costituzione di un “Consiglio di Indirizzo” a livello lombardo, nel quale vengano coinvolti i sindaci delle città capoluogo di provincia, che abbia la responsabilità della definizione delle politiche di sanità territoriale. E poi pensiamo a una vera integrazione tra le strutture e i presidi della sanità territoriale e quelli dei comuni. Discutiamone, con senso di responsabilità, questa è la politica».
Lei, che è anche attivo sui social, sa bene che il governo è apparso molto contraddittorio. Che pensa dei continui Dpcm di Conte?
«Possono essere anche necessari. Ma fossi il Presidente del Consiglio, lascerei spiegare in tv il Dpcm ad altri e farei una relazione più di visione alla nazione».
Anche sul commissario in Calabria c’è stata e c’è una confusione somma, che per altro ha sfiorato Federico D’Andrea, presidente dell’Amsa e consulente della sua giunta…
«D’Andrea, da quello che ho capito, era disponibile ad un commissariamento di breve durata, per inquadrare la questione e poi lasciare che la gestione tornasse alle strutture delegate. Evidentemente il Governo sta pensando a un modello diverso».

Non è mancato il punto di vista dell’ex Celeste, il pregiudicato Formigoni : (La Repubblica di oggi 25.11.2020) ma per questo signore non vale la pena rispondere.

Formigoni: “Con Maroni devastata la medicina di base a favore degli ospedali. La sanità lombarda indebolita da lui, non da me”
di Alessia Gallione
L’ex governatore, ora ai domiciliari per corruzione, dopo l’intervista al sindaco di Milano Beppe Sala che chiede una radicale riforma della sanità: “Per l’emergenza coronavirus certamente qualcosa non ha funzionato, ma non vedo grosse responsabilità specifiche del governo lombardo”
In questi mesi l’ha mai sentito Attilio Fontana?
“Qualche volta”.
Gli ha dato qualche consiglio sulla gestione dell’emergenza?
“Abbiamo parlato”.
Per 17 anni Roberto Formigoni è stato il dominus della Lombardia e della sua sanità. E ancora oggi l’ex presidente, che sta scontando ai domiciliari una condanna a 5 anni e 10 mesi per corruzione nel caso Maugeri-San Raffaele, vede tracce di sé nel Welfare: “Di quel modello riconosco l’eccellenza ospedaliera che abbiamo inventato noi nel 1997 con l’accreditamento. Milano e la Lombardia sono diventate capitali mondiali della salute, la nostra legge ha attirato il meglio e ha permesso anche al povero di farsi curare nell’ospedale del ricco. Ecco, quella non sono riusciti a distruggerla come purtroppo è avvenuto con l’eccellenza territoriale”.
La tanto celebrata sanità lombarda, però, è crollata con il Covid.
“Non credo che si possa parlare di un fallimento: dopo la Cina, la Lombardia è stata la prima regione del mondo a essere investita in maniera estremamente virulenta da qualcosa di sconosciuto. Dobbiamo lodare gli operatori sanitari, chi ci ha rimesso la vita, chi ha lavorato e continua a farlo notte e giorno con un sottodimensionamento degli organici. Quello, però, è responsabilità dei governi nazionali che hanno operato tagli brutali alla sanità. Uno scempio iniziato da Monti e proseguito da Letta e Renzi. Uno dei motivi della maggiore debolezza con cui l’Italia e le regioni hanno affrontato la crisi è stata la carenza di letti e di medici che ha origine dal 2011. Certo, non ci sono abbastanza letti di Terapia intensiva, ma è colpa della spending review che ha obbligato le Regioni a diminuirli. E per fortuna la Lombardia ha in parte disobbedito perché altrimenti sarebbe andata ancora peggio”.
Non è troppo comodo, però, tirare in ballo sempre il governo? La seconda ondata non era imprevista eppure, tra il tracciamento saltato e persino i pasticci con i vaccini contro l’influenza, la Lombardia si è ritrovata di nuovo in crisi. Davvero la giunta Fontana non ha responsabilità? Davvero non c’è qualcosa che non abbia funzionato?
“Certamente qualcosa non ha funzionato, ma di fronte a questa strage in tutta Italia, in tutta Europa e in tutto il mondo. Non vedo grosse responsabilità specifiche della Lombardia, che sembra avere numeri più alti perché ha 10 milioni di abitanti. La debolezza specifica è un’altra: la medicina territoriale, a cui noi avevamo dedicato attenzioni e risorse, devastata dalla riforma Maroni del 2015 che ha messo tutto insieme con il risultato che le esigenze degli ospedali hanno mangiato quelle territoriali. All’epoca, l’80 per cento dei medici di medicina generale era contrario. È questo indebolimento che abbiamo pagato. Noi, i medici, li avevamo spinti a fare associazioni, squadre di 10-12 professionisti che facevano anche da sentinelle e avrebbero potuto affrontare meglio l’emergenza”.
Anche lei come il sindaco Beppe Sala, quindi, pensa che serva una riforma radicale della sanità?
“Non nella direzione che indica lui”.
E quale allora? L’Agenzia pubblica per coordinare il sistema sanitario la convince?
“Ma questa è l’esaltazione di un centralismo di stampo sovietico che ritengo pericoloso. Certo, Sala magari vorrebbe far comandare Milano, ma la Lombardia ha un territorio ampio e diversificato”.
È giusto superare le Ats, molto grandi, e tornare come propone Sala ai distretti?

“La cosa più importante è rimettere al centro il medico di famiglia perché tutto passa dalla persona. Dobbiamo fare in modo che il medico curi i cronici in modo che non vadano al pronto soccorso e in ospedale dove devono andare gli acuti. Va rivalutato il loro ruolo, con la possibilità di farli associare, e anche la remunerazione.
L’ambito ottimale è quello delle province o subprovinciale nei territori più ampi”.
Lei è stato, nel bene e nel male, il simbolo dell’apertura alla sanità privata. Un problema è proprio quel rapporto, che spesso crea anche ambiguità, e la sproporzione con il pubblico. Sala propone di collegare i rimborsi ai risultati sanitari.
“La sproporzione non c’è e a dirlo sono i numeri e i fatti. L’apertura ai privati l’abbiamo fatta noi 23 anni fa e i lombardi sono sempre stati soddisfatti di come funzionava la sanità di Formigoni. Sulle remunerazioni: ma il sindaco la conosce la legge? Temo di no perché il modo è fissato nazionalmente ed è identico a quello del pubblico in base ai Drg uguali per tutti. C’è un problema di controllo di qualità, ma non possiamo utilizzare il metodo di Sala. Noi avevamo inventato un complesso di parametri, un centinaio, per ogni ospedale, piccolo o grande privato o pubblico, per valutare le prestazioni”.
Ma i privati hanno fatto abbastanza in questa emergenza?
“Quando sono stati chiamati a collaborare tutti riconoscono di sì. Forse, e l’ho detto anche a lui che però sostiene di averlo fatto subito, Fontana poteva chiederlo un po’ prima”.
Lei che cosa avrebbe fatto?
“Avrei chiamato tutti gli scienziati per capire come mai la prima ondata aveva toccato in particolare alcuni territori e altri no. È quello che avrebbe dovuto fare il governo dopo la prima ondata e che dovrebbe fare adesso che se ne ipotizza una terza”.