Corte di Giustizia dell’Unione Europea: obbligatorio misurare la durata dell’orario di lavoro

UE: obbligatorio misurare la durata dell’orario di lavoro

Per la CGUE, datori di lavoro e Stati membri sono tenuti a istituire un sistema di misurazione della durata dell’orario di lavoro giornaliero per tutelare la sicurezza e la salute dei lavoratori

di Lucia Izzo, dal sito www.studiocataldi.it del 19 maggio 2019

L’instaurazione di un sistema che consenta la misurazione della durata dell’orario di lavoro giornaliero svolto da ciascun lavoratore rientra nell’ambito dell’obbligo generale, per gli Stati membri e i datori di lavoro di istituire un’organizzazione e i mezzi necessari per tutelare la sicurezza e la salute dei lavoratori.

L’orario di lavoro andrà misurato in modo oggettivo, affidabile e accessibile ogni giorno e per ciascun lavoratore così da consentire l’esercizio dei diritti loro spettanti e di beneficiare dellalimitazione dell’orario settimanale di lavoro e dei periodi minimi di riposo giornaliero e settimanale previsti dalla direttiva 2003/88.

Lo ha stabilito la Corte di Giustizia dell’Unione Europea nella sentenza (qui sotto allegata) resa nella causa C-55/18.

Il caso

La vicenda origina dal ricorso collettivo presentato da un sindacato di lavoratori in Spagna contro un istituto bancario chiedendo una pronuncia che la obbligasse a istituire un sistema di registrazione dell’orario di lavoro giornaliero svolto dai membri del suo personale, che consentisse di verificare il rispetto, da un lato, degli orari di lavoro stabiliti e, dall’altro, dell’obbligo di trasmettere ai rappresentanti sindacali le informazioni relative al lavoro straordinario effettuato mensilmente.

Secondo il sindacato, l’obbligo di istituire un tale sistema di registrazionerisulterebbe, non solo, dalla normativa nazionale, ma anche dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e dalla direttiva sull’orario di lavoro.

La questione giunge innanzi alla CGUE in quanto la Corte centrale spagnola (Audiencia Nacional) ha espresso dubbi sulla conformità al diritto dell’Unione dell’interpretazione fornita dal Tribunal Supremo della normativa spagnola.

L’orario di lavoro alla luce della direttiva 2003/88

In primis, rammenta la Corte, il diritto di ciascun lavoratore a una limitazione della durata massima del lavoro e a periodi di riposo giornaliero e settimanale non solo costituisce una norma del diritto sociale dell’Unione che riveste una particolare importanza, ma è anche espressamente sancito all’articolo 31, paragrafo 2, della Carta.

In particolare, la direttiva 2003/88 fissa prescrizioni minime destinate a migliorare le condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori mediante un ravvicinamento delle disposizioni nazionali riguardanti, in particolare, la durata dell’orario di lavoro, prevedendo limiti massimi di orario, normale e straordinario, di permessi e riposi, ecc.

Al fine di garantire la piena efficacia della direttiva 2003/88, è pertanto necessario che gli Stati membri garantiscano il rispetto dei periodi minimi di riposo in essa previsti e impediscano ogni superamento della durata massima settimanale del lavoro.

Poiché, tuttavia, la direttiva non determina le modalità concrete per attuare i diritti in essa previsti, saranno gli Stati membri tenuti ad adottare le misure necessarie a tale scopo, tenuto conto dell’obiettivo essenziale consistente nel garantire una protezione efficace delle condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori, e una migliore tutela della loro sicurezza e della loro salute, affinché questi possano beneficiare effettivamente dei periodi minimi di riposo giornaliero e settimanale e del limite massimo della durata media settimanale di lavoro previsti da tale direttiva.

Sistema di rilevazione e misurazione

Secondo la Corte, la determinazione del numero di ore di lavoro giornaliero e settimanale è essenziale per stabilire se la durata massima settimanale di lavoro definita dalla direttiva 2003/88 (comprendente le ore di lavoro straordinario) sia stata rispettata nel periodo di riferimento e se siano rispettati i periodi minimi di riposo giornaliero e settimanale.

Se manca un sistema che consente di misurare la durata dell’orario di lavoro giornaliero svolto da ciascun lavoratore, spiega la Corte, non c’è modo di stabilire con oggettività e affidabilità né il numero di ore di lavoro così svolte e la loro collocazione nel tempo, né il numero delle ore svolte al di là dell’orario di lavoro normale (es. straordinario).

In sostanza, risulterebbe eccessivamente difficile per i lavoratori, se non impossibile in pratica, far rispettare i diritti ad essi conferiti dall’art. 31, paragrafo 2, della Carta e dalla direttiva 2003/88, al fine di beneficiare effettivamente della limitazione dell’orario settimanale di lavoro e dei periodi minimi di riposo giornaliero e settimanale previsti dalla menzionata direttiva.

Le difficoltà derivanti dall’assenza di un sistema di misurazione, tenuto conto della situazione di debolezza del lavoratore nel rapporto di lavoro, non si ritiene possano essere superate dai poteri di indagine e sanzionatori conferiti dalla normativa nazionale agli organi di controllo, quali l’Ispettorato del lavoro, né ricorrendo ad altri mezzi di prova (es. testimonianze, la produzione di email o la consultazione di telefoni cellulari o di computer).

Imprese UE obbligate a registrare l’orario di lavoro

In conclusione, afferma la Corte, l’instaurazione di un sistema obiettivo, affidabile e accessibile che consenta la misurazione della durata dell’orario di lavoro giornaliero svolto da ciascun lavoratore rientra nell’ambito dell’obbligo generale, per gli Stati membri e i datori di lavoro, di cui all’art. 4, paragrafo 1, e all’art. 6, paragrafo 1, della direttiva 89/391, di istituire un’organizzazione e i mezzi necessari per tutelare la sicurezza e la salute dei lavoratori.

Inoltre, un siffatto sistema è necessario per consentire ai rappresentanti dei lavoratori, aventi una funzione specifica in materia di protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori, di esercitare il loro diritto, previsto all’art. 11, paragrafo 3, della suddetta direttiva, di chiedere al datore di lavoro di prendere opportune misure e di presentargli proposte.

Spetta agli Stati membri, nell’ambito dell’esercizio del potere discrezionale di cui dispongono a tal riguardo, definire le modalità concrete di attuazione di un siffatto sistema, in particolare la forma che esso deve assumere, e ciò tenendo conto, se del caso, delle specificità proprie di ogni settore di attività interessato, e altresì delle particolarità di talune imprese, in special modo delle loro dimensioni.

In conclusione, gli artt. 3, 5 e 6 della direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro, letti alla luce dell’art. 31, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, e dell’art. 4, paragrafo 1, dell’art. 11, paragrafo 3, e dell’art. 16, paragrafo 3, della direttiva 89/391/CEE, concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro, devono essere interpretati nel senso che ostano ad una normativa di uno Stato membro che, secondo l’interpretazione che ne è data dalla giurisprudenza nazionale, non impone ai datori di lavoro l’obbligo di istituire un sistema che consenta la misurazione della durata dell’orario di lavoro giornaliero svolto da ciascun lavoratore.

Scarica pdf sentenza CGUE causa C-55/18