Francia: il movimento femminista contro il progetto di Legge Lavoro (Loi Travail)!

8 marzo franciaAbbiamo tradotto la petizione che sta attualmente circolando in Francia contro la Legge Lavoro,  la Loi Travail, presentata dalla ministra Myriam El Khomri e  sottoposta oggi ad una prima discussione in Parlamento. Tra le prime firmatarie varie esponenti dell’universo femminista francese, delle associazioni, del mondo della ricerca, giornaliste, intellettuali, sindacaliste dell’Union Syndicale Solidaires, della CGT, economiste, attiviste per i diritti delle donne, Attac France etc….

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Il governo dimentica ancora una volta i diritti delle donne. Nel preambolo alla bozza di legge si ricorda che “il principio di uguaglianza si applica nelle imprese. L’uguaglianza sul piano professionale tra donne e uomini deve essere rispettata”. Tutto a posto dal punto di vista teorico, e questo è il minimo dal momento che è noto che le donne continuano a guadagnare in media un quarto di meno dei loro colleghi maschi e che la Francia si colloca al 132° su 145 paesi in materia di uguaglianza salariale tra i sessi.

Il problema è che questa dichiarazione di principio non è accompagnata da alcuna misura per rendere davvero reale l’uguaglianza tra uomini e donne nei luoghi di lavoro.

Il progetto di legge s’impernia sull’inversione della gerarchia delle norme, accordando un maggior peso agli accordi di impresa, che si potranno così imporre sugli accordi di categoria o addirittura sulla legge.

Questo principio mina gravemente la lotta per l’uguaglianza sul piano professionale, che mai ha fatto passi avanti   se non attraverso la legge e la pressione delle lotte delle donne.

Si aggiunga il fatto che le donne sono più numerose nelle piccole e medie imprese (TPE) e nelle aziende piccolissime (PME), dove vi è meno organizzazione sindacale e quindi meno possibilità di negoziare e mobilitarsi.

Rendere prioritari gli accordi di impresa comporterà dunque una perdita di diritti e di garanzie collettive nei settori a predominanza femminile.

Nella lunga serie di regressioni previste per tutti i lavoratori, alcune saranno particolarmente discriminatorie nei confronti delle donne lavoratrici.

Tanto per cominciare, è il caso della negoziazione sull’uguaglianza professionale, già bistrattata dalla legge Rebsamen. Gli obblighi dei datori di lavoro sono ancora più ridotti: le negoziazioni annuali possono diventare triennali, gli accordi di impresa prevarranno sugli accordi di categoria e la durata degli accordi sarà limitata a 5 anni, senza garanzia di mantenimento dei vantaggi acquisiti! In breve, l’uguaglianza professionale, che già avanza molto lentamente, è rinviata alle calende greche!

L’orario di lavoro è il primo fattore di discriminazione per le donne, che svolgono ancora l’80% dei lavori domestici. Le norme sul “presenteismo”, imposte soprattutto ai quadri, le escludono dai posti di responsabilità. Per di più l’80% dei lavoratori a tempo parziale (inferiore alle 35 ore settimanali) sono donne, con un salario e una protezione sociale ridotte, ma con un’estrema flessibilità e ampiezza dell’orario di lavoro.

Invece di ridurre la durata legale dell’orario di lavoro per fa convergere e parificare la quantità di ore lavorate dagli uomini e dalle donne e per permettere a tutte e tutti di esercitare al meglio il proprio ruolo genitoriale, il progetto di legge rinforza considerevolmente la flessibilità oraria. Aumenta la durata massima della settimana lavorativa, soprattutto per i quadri e rafforza le possibilità per l’impresa di modificare in modo unilaterale gli orari e i tempi di lavoro senza ricorrere agli straordinari.

Per i lavoratori e le lavoratrici a tempo parziale si tratta di una doppia fregatura: uno stipendio parziale, una precarietà massima e delle ore di straordinario che saranno pagate ancora meno!

La maggiorazione delle loro ore integrative è già due volte inferiore rispetto a quella dei lavoratori a tempo pieno, ciononostante, il progetto di legge aggiunge ancora un’ulteriore dose di discriminazione: il tasso di maggiorazione previsto dalla legge non sarà più del 10%, contro l’attuale 25%. Ciliegina sulla torta, i tempi di preavviso in caso di cambiamento d’orario possono essere ridotti a 3 giorni al posto dei 7 attuali.

Per tutte coloro che non potranno adattarsi non c’è scampo: le modalità di licenziamento saranno facilitate. Già oggi la metà delle donne che smette di lavorare con la nascita di un bambino aveva degli orari flessibili (turni di notte, il week end o la sera). Domani, questo progetto di legge faciliterà i licenziamenti di quelle/i che non potranno adattarsi a questa imposizione di flessibilità.

Infine, il progetto di legge stravolge in modo profondo la medicina del lavoro. Sopprime la visita di idoneità obbligatoria e concentra il controllo medico sui lavoratori/trici definiti “a rischio”.

C’è però il problema che i rischi e la dannosità di mestieri a predominanza femminile sono essenzialmente sottovalutati. Una cassiera del supermercato, che deve sollevare ogni giorno 15 tonnellate, sarà considerata soggetta ad un lavoro a rischio?

Per tutte queste ragioni noi, femministe, diciamo NO al progetto di Legge Lavoro.

Qualsiasi riforma del Codice del Lavoro dovrà, al contrario, darsi come obiettivo di rendere il principio dell’uguaglianza una realtà!