Articolo di Andrea Martini, da anticapitalista.org
La Cgil, dopo tanto travaglio, si accinge nelle prossime settimane a stipulare con Cisl e Uil e Confindustria l’accordo sul nuovo modello contrattuale.
Sta ad indicarcelo il raggiungimento di un’intesa tra le tre confederazioni sul progetto da presentare alla controparte padronale. Dopo una serie di incontri, il contenuto dei quali non è stato reso pubblico, se non ad una ristretta cerchia di dirigenti, sembra che le ultime “limature” abbiano reso l’intesa accettabile dai gruppi dirigenti di tutte e tre le sigle sindacali. Resterà poi da gestire l’ulteriore confronto con Confindustria, ma la sottoscrizione dell’intesa intersindacale da parte della Cisl (cioè della sigla più accanitamente disponibile ad ogni concessione al padronato) mostra che il passaggio dell’incontro con Confindustria ha un esito sostanzialmente scontato. (Sui contenuti del possibile accordo, vedi l’articolo di Sergio Bellavita, portavoce dell’area “Il sindacato è un’altra cosa – Opposizione Cgil”)
Dunque, probabilmente, nelle prossime settimane, prevedibilmente dopo la conclusione delle festività, si chiuderà una partita che dura da anni.
Il padronato manifesta da sempre la volontà di mettere in discussione il grande valore di solidarietà di classe acquisito dai contratti nazionali di lavoro, soprattutto a partire dagli accordi della fine degli anni sessanta del 900. Ma questa volontà ha assunto una determinazione maggiore dopo la crisi economica del 2008, quando le politiche neoliberiste avevano già prodotto un importante arretramento dei rapporti di forza, a sfavore del movimento dei lavoratori.
Fu nel 2009, infatti, che la Confindustria tentò di convincere i sindacati a stipulare un accordo interconfederale che imponesse uno svilimento di quel valore solidaristico. Ma la Cgil, allora guidata da Epifani, pur fortemente tentata dalla firma, si sottrasse all’ultimo momento, soprattutto per la resistenza di alcune categorie, prima fra tutte la Fiom, allora diretta da Gianni Rinaldini. Fu così che si raggiunse un primo accordo separato, sottoscritto, oltre che dalla Confindustria, solo da Cisl e Uil.
Ora, l’intesa raggiunta il 9 dicembre tra le tre confederazioni sembra riaprire prepotentemente la partita e rendere imminente l’accordo con i padroni: nella Cgil le categorie recalcitranti sono state ricondotte all’ordine, e la stessa Fiom, ora diretta da Maurizio Landini, non sembra esprimere dissensi radicali nei confronti dei contenuti del possibile nuovo accordo unitario, viste anche le aperture fatte nel corso della trattativa che si svolge proprio in questi giorni con Federmeccanica (la federazione metalmeccanica della Confindustria).
E’ sullo sfondo di questo contesto che la Cgil ha adottato nei giorni scorsi un progetto di legge per la definizione di una “Carta dei diritti universali del lavoro”, su cui pensa di raccogliere le firme per poterlo presentare in parlamento attraverso l’ “iniziativa popolare”. Si tratta di un progetto ambizioso di ridefinizione di tutte le tutele e le norme che dovrebbero presiedere ai rapporti di lavoro. L’idea è quella di riscrivere una legge che sostituisca lo “Statuto dei diritti dei lavoratori” del 1970, ormai largamente svuotato dall’azione demolitrice di Monti-Fornero nel 2012 e di Renzi-Poletti nel 2015.
L’obiettivo è intrigante, anche se serve abilmente a tentare di cancellare le responsabilità dirette e indirette del gruppo dirigente della confederazione di Corso d’Italia nel non essersi opposta in questi ultimi anni all’azione di smantellamento di alcune tra le più importanti conquiste del mondo del lavoro.
I contenuti del progetto di legge però meritano una valutazione più articolata.
Esso si compone di 97 articoli raggruppati in tre titoli. Il primo titolo riguarda le tutele fondamentali: il diritto ad un lavoro dignitoso, ad un compenso equo, alla sicurezza in azienda, il diritto al riposo e alla conciliazione con la vita familiare, alle pari opportunità, alla libertà di espressione e a non essere discriminati né controllati a distanza, ad ammalarsi, ad una adeguata e gratuita tutela processuale nelle controversie di lavoro, e (di questo si parla nel terzo titolo) del diritto alla reintegra in caso di licenziamento illegittimo individuale o collettivo. Dunque si propone proprio la reintroduzione di gran parte dei diritti che le controriforme liberiste hanno cancellato, troppo spesso con il consenso, o almeno con la passività delle grandi organizzazioni sindacali.
Sorge dunque spontanea la domanda: come può essere pensabile che questa organizzazione sindacale, che non ha voluto-saputo difendere quei diritti quando erano leggi dello Stato, possa riuscire a ripristinarli in una fase nella quale i rapporti di forza tra le classi, anche grazie alla cancellazione di quelle leggi, si sono pesantemente deteriorati a sfavore delle lavoratrici e dei lavoratori?
Per riconquistare questi diritti non basta certo una raccolta di firme. C’è bisogno di una mobilitazione durissima, basata su una drastica svolta nella linea sindacale, nella politica contrattuale della Cgil, che invece si omologa sempre più a quella filopadronale di Cisl e Uil, come stanno a dimostrare i più recenti accordi contrattuali, nel commercio, tra i chimici, nella gomma-plastica, nella logistica, per i lavoratori bancari…
Inoltre, nascosti sotto questo “libro dei sogni”, ci sono cose molto meno edificanti.
Nella foga della sacrosanta preoccupazione di estendere gran parte dei diritti anche alle forme più precarie di rapporto di lavoro, si procede alla definitiva legittimazione da parte della Cgil di ogni tipo di precariato, dalla somministrazione agli stessi voucher, per cui la tanto proclamata centralità del rapporto di lavoro a tempo indeterminato resta una pura declamazione. Con buona pace – a proposito di firme – dei 5 milioni di firme raccolti dalla stessa Cgil nel 2002 contro la famigerata legge 30.
E nel secondo titolo del progetto di legge si pensa di dare agli articoli 39 e 46 della Costituzione quella disciplina attuativa che manca dal 1948. Ma la disciplina proposta si basa sulla legificazione delle norme sulla rappresentatività contenute nel “Testo unico” sottoscritto con la Confindustria nel gennaio 2014, cioè in un accordo il cui carattere corporativo e antidemocratico è noto alle lettrici e ai lettori del nostro sito.
Questa proposta di legge perciò è un’iniziative che, pur andando in direzione positiva, non modifica l’ormai largamente consolidata subalternità della Cgil allo stato di cose presenti né sul piano della mobilitazione né su quello della linea generale.
Né sarà capace di porre un argine alla crisi politica e organizzativa latente che travaglia il principale sindacato italiano. Proprio nella seduta del Comitato direttivo del 15 dicembre, sono state commissariate due importantissime strutture, la Cgil della Campania (327.000 iscritti) e la Camera del lavoro di Napoli (circa la metà della Campania). Commissariamento significa azzeramento dei gruppi dirigenti e affidamento della gestione delle strutture a due plenipotenziari in stretto collegamento con la segreteria nazionale.
La decisione, assunta con l’appoggio di tutte le sensibilità politiche della Cgil (esclusa la minoranza congressuale dell’ “Opposizione Cgil”), si basa sul dissesto economico delle due strutture (per un ammontare di oltre 5 milioni di indebitamento), dissesto gravissimo ma non superiore a quello di numerose altre organizzazioni territoriali Cgil. Tutto questo mentre le denunce sull’uso improprio di fondi da parte della Cgil di Milano al fine di sostenere la campagna elettorale di alcuni candidati del PD vengono totalmente insabbiate con la sostituzione del segretario generale milanese, promosso a Roma ad un incarico nazionale.
Lo scivolamento sempre più marcato della confederazione diretta da Susanna Camusso trova un’opposizione solo nella piccola ma combattiva minoranza congressuale, mentre tutto il resto della confederazione sembra condividere con maggiore o minore entusiasmo la linea del gruppo dirigente nazionale. Anzi, visto il sostanziale allineamento della Fiom con la segretaria Camusso, riemerge una fronda di destra, di settori che manifestano una certa impazienza e chiedono di accelerare la convergenza con Cisl e Uil.
Tutto ciò è reso possibile dalla pratica stasi di ogni reale mobilitazione sindacale, salvo le coraggiose ma isolate iniziative di alcuni sindacati di base o di delegate/i legate alla sinistra della Cgil. Sono le iniziative di questo tipo che occorre incentivare. Possono essere gli unici argini all’ulteriore pesante arretramento che si prepara.