In un’economia globalizzata pesantemente condizionata da chi detiene il potere di muovere capitali e determinare il destino di interi paesi, le politiche del lavoro sono orientate a sostenere una visione neo corporativa dei rapporti di produzione.
Istituzioni internazionali non elette e dalla fisionomia indistinta quali Banca Centrale Europea, Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale “chiedono” e impongono ai governi la riduzione dei diritti a spese delle fasce di popolazione più fragili. Ma mentre fino a pochi anni fa erano i paesi dalle economie emergenti a pagare questo prezzo, dall’avvento della crisi finanziaria anche i lavoratori delle cosiddette economie avanzate stanno facendo i conti con le politiche di austerità.
In Italia il ventennio berlusconiano, intervallato dai governi di centro sinistra, è servito a completare la riorganizzazione dell’industria manifatturiera, con delocalizzazioni e partecipazione a diversi processi di concentrazione; e ha preparato l’avvento di tecnocrati votati alla politica che, con competenze intrise di presunta neutralità, ha visto nel governo Monti il riassetto chirurgico del sistema previdenziale con la famigerata riforma Fornero, fino ad arrivare all’attacco al diritto del lavoro e del pubblico impiego del governo Renzi, che con piglio rottamatore sta avviando una fase di svuotamento del patto tra capitale e lavoro strutturatosi dal dopoguerra sino alla fine degli anni 70.
In passato gli effetti delle crisi finanziarie che ciclicamente si manifestavano venivano affrontate dai governi della prima repubblica a colpi di svalutazioni monetarie e ampliamento del debito. Questi giochi di prestigio non sono più praticabili. L’avvento della tecnica che scalza la politica trova nella cultura neo liberista gli strumenti per dare in pasto ai mercati finanziari tutto ciò che può produrre profitto. Il settore sanitario, assorbendo la maggior parte dei bilanci regionali, è quello che meglio rappresenta l’incompatibilità tra diritti e profitto.
Nei rapporti di produzione di beni e servizi invece, si manifestano in tutta la loro chiarezza i consueti metodi di realizzazione del profitto. Se dal punto di vista normativo gli accordi sulle politiche del lavoro hanno determinato il cambio di assetto dei contratti nazionali e la riforma di centro sinistra dell’allora ministro Treu ha aperto la strada alle moltiplicazione delle forme di lavoro precario, dal punto di vista economico i modi per fare profitto colpiscono in modo sempre più pesante salari e salute. Non a caso la dove i lavoratori si organizzano per cambiare le pesanti condizioni di lavoro imposte come nel settore logistica, le reazioni dei padroni si mostrano in tutta la loro violenza di classe. La precarietà istituzionalizzata con il Jobs Act si estende a tutto il mondo del lavoro; con gli accordi sottoscritti da Cgil Cisl e Uil che lo hanno anticipato con il pretesto di Expo 2015 a Milano si introduce il “volontariato” e il “lavoro gratuito”.
A partire da situazioni come queste abbiamo orientato negli anni la nostra presenza nei luoghi di lavoro. E nel considerare ciò che esprimono i lavoratori riguardo ai cambiamenti subìti e quelli in atto, insieme alle valutazioni in merito allo svuotamento delle forme di sindacalismo alternativo a CGIL-CISL-UIL operate con gli accordi sulla rappresentanza e alle meno recenti forme di divisione che lo hanno caratterizzato, abbiamo ritenuto necessario avviare un percorso teso a individuare quanto di comune c’è nelle nostre analisi e nelle nostre pratiche. In vista delle prossime elezioni RSU è emersa come naturale conseguenza l’ipotesi di formare liste unitarie nei nostri luoghi di lavoro.
Obiettivo di tale decisione è il rafforzamento della presenza di un sindacalismo che sta sì con i lavoratori sul piano delle conquiste, ma in particolare nella pratica quotidiana e nelle lotte dove tutti possono diventare protagonisti della determinazione del proprio futuro. Provare ad uscire dalla dimensione di “autosufficienza” delle diverse organizzazioni sindacali di base ci pare importante. Pur consapevoli delle criticità che questa ipotesi porterà all’interno delle nostre organizzazioni, teniamo a precisare che, a prescindere da risultati elettorali e da altre modalità di “contabilizzazione” del consenso, l’adesione a una lista piuttosto che ad un’altra sarà oggetto di valutazione dei lavoratori e delegati aziendali. Sulla scorta di ciò e di quanto fin qui esposto, invitiamo altri delegati e lavoratori ad avviare percorsi simili.
Delegati Si-Cobas Sial-Cobas Slai-Cobas Pubblico Impiego
Per contatti: ivan.bettini@rcm.inet.it, firenzer@tiscali.it, a.pinot@tiscalinet.it, prendiamolaparola@yahoo.it
f.i.p. Milano 13 gennaio 2015