Contestazioni disciplinari e licenziamenti: come ci si difende?

Meglio l’avvocato privato, del sindacato o l’azione sindacale?

Davanti alle contestazioni disciplinari si deve sempre considerare se dopo la prima ce ne saranno altre che portano verso il licenziamento. La contestazione con sospensione cautelare porta quasi sempre verso il licenziamento. In premessa si deve stabilire se l’obiettivo è la salvaguardia del posto di lavoro o la buona uscita incentivata.

Ma non si deve mai dare per scontato che non ci si può difendere e le giustificazioni e le risposte individuali che si danno (insistiamo a dire mai dare le giustificazioni in forma scritta e sempre con assistenza del delegato o sindacalista di fiducia. Ricordarsi che i 5 giorni sono di calendario dal momento del ricevimento della contestazione).

Mettere subito di mezzo l’avvocato è sconsigliabile perchè l’azienda rischia di capire che si vuole trattare per buona uscita (evitando l’intervento sindacale).

Che fare se si riceve una contestazione disciplinare? Trovi un approfondimento QUI.

Si devono seguire le singole contestazioni e smontarle per difendersi con la presenza della RSU o sindacalista alle giustificazioni ed è anche necessario e utile il coinvolgimento verso la direzione ai vari livelli (non solo verso il responsabile del personale).

Verso tutti i lavoratori vanno gestiti comunicati a sostegno e di informazione. La verifica a latere con avvocato per individuare terreni e modalità per difendersi è altrettanto utile. A maggior ragione se c’è dequalificazione, demansionamento o altre angherie.

Nel caso ci sia pregiudizio alla salute (la malattia eventuale va motivata con queste ragioni) e si dovrebbe da subito verificare con il proprio Medico se chiedere presa in carico al CPS (Centro Psico Sociale) che ha un ruolo pubblico.

La gestione delle contestazioni in azienda è bene che avvenga con la parte sindacale di fiducia e comunque ci sia informazione a tutte le realtà presenti anche quelle contrarie, agnostiche o altro che è giusto abbiano le stesse informazioni che ha la controparte aziendale e ognuno può scegliere che parte fare e da che parte stare.

Può capitare che per mesi si seguano e ci si difenda dalle contestazioni senza difendersi su tutti i piani: controinformazione ai lavoratori e a tutti i sindacati, mancato utilizzo della malattia motivata e/o del CPS, titubare sulla eventuale buona uscita… Per i lavoratori non è facile valutare la cosa migliore da fare e nel rispetto delle scelte finali di ogni lavoratore i sindacati e delegati dovrebbero sempre portare avanti la tesi del mantenimento del posto di lavoro e della causa legale per il rientro sul posto di lavoro. Sappiamo che le aziende e il padronato puntano sulla transazione e oltre il 90% dei casi si risolve con l’incentivo economico.

A volte il lavoratore accusa tutti i sindacati, il sindacato e i delegati di non avere fatto abbastanza o anche di avere sbagliato perché si doveva trattare prima. In genere intavolando prima la trattativa il prezzo non si alza. L’avvocato c’è ed è bene che entri in campo dopo il licenziamento per ottenere la reintegra nelle aule di giustizia.

Il SIAL-Cobas ricorda che gli assunti dopo il 17 marzo 2015 con il Jobs Act hanno meno diritti in caso di licenziamento e siamo ormai a 3,5 milioni di lavoratori.

Torneremo su questo argomento e consapevoli che il voto potrebbe non bastare invitiamo tutte/i ad andare a votare l’8 e il 9 giugno per i referendum e per abolire la legge 148 del 2015 (maggiori info QUI, un contributo di Alberto Piccinini di Comma 2).