Una vita libera e dignitosa per tutte e tutti. Non è utopia ma ciò che prevede la Costituzione italiana. E’ partito da qui il dibattito dei sindacati di base Adl, Clap, Sial Cobas e Cobas dell’8 novembre scorso a Padova. Non a caso il nome della giornata è stato “Poverǝ noi, per il salario minimo oltre gli slogan”. Alle riflessioni hanno partecipato lavoratrici e lavoratori di diverse città e realtà. Ai microfoni si sono alternati giuristi, economisti, sociologi e politici: ciascuno con la sua angolazione ha analizzato il perchè gli stipendi sono bassi e insufficienti per garantirsi una vita oltre la soglia di povertà.
E’ da trent’anni che la cosiddetta “scala mobile” risulta soppressa. Nonostante ciò il tema del salario minimo è divisivo sia per la politica che per i sindacati confederali. Ma il salario minimo non indebolisce la contrattazione collettiva, anzi può solo dare più forza a chi il lavoro povero lo subisce.
La fotografia del lavoro povero in Italia comprende realtà apparentemente slegate tra loro e abbraccia varie categorie. Certo è che vertenze tipo quella lanciata in Francia dalla rete sindacale Solidaires di un salario minimo legale da 1.700 euro netti, da noi, restano un miraggio. Il convegno è stata anche occasione per mettere a fuoco il tema degli appalti degli Enti pubblici dove, percorrendo la via locale rispetto a quella parlamentare, si potrebbe inserire la clausola del salario minimo. A questo proposito Firenze costituisce un precedente. Il lavoro salariato è sempre più oggetto di politiche svalutative. Non a caso il nostro è l’unico Paese dell’area Ocse nel quale il salario medio annuale reale è diminuito (-2,9%) a fronte di aumenti di oltre il 30% in Francia e Germania. Per definizione il lavoratore povero (e la lavoratrice povera) è colui che risulta formalmente occupato ma guadagna così poco da non riuscire a garantirsi un tenore di vita dignitoso.
L’obiettivo, ora, è spostare le riflessioni sul lato pratico, “definendo gli obiettivi da proporre in modo coordinato e intersindacale a tutte le altre realtà sindacali per fare campagne comuni tra i lavoratori e lavoratrici. Solo con le lotte si potrà ottenere il salario minimo e superare il lavoro povero – spiega Angelo Pedrini del Sial Cobas -. Senza il coinvolgimento con assemblee decisionali e delegazioni sindacali con un mandato preciso non si ottiene nulla più che una maggiore attenzione sul tema. Piattaforme e rivendicazioni per superare il lavoro povero necessitano di un protagonismo di lavoratori e lavoratrici che noi possiamo sollecitare”.
Il terreno è fertile?
La storia recente ci porta negli Stati Uniti, dove nel settore auto le lotte hanno avuto al centro rivendicazioni e risultati significativi grazie alla scelta sindacale di coinvolgere i lavoratori e non lasciare la decisione ai rappresentanti sindacali: i neoassunti hanno ottenuto aumenti inversamente proporzionali per recuperare il gap con le retribuzioni storiche e, non scontato, gli aumenti ottenuti sono significativi anche per chi aveva la retribuzione piena.
In Italia le potenzialità ci sono. “E’ necessario che il sindacato contribuisca ad aprire la strada per far decidere i lavoratori e le lavoratrici, a partire dalle 10 ore di assemblea retribuita previste dallo statuto dei lavoratori e utilizzate male, solo parzialmente e a volte solo informative e non decisionali. Dobbiamo tenere conto che l’elezione dei delegati e delle delegate in molti settori non è diffusa e a volte ci sono RSA di singoli sindacati che non promuovono assemblee con tutte e tutti. Cgil, Cisl e Uil e i vari accordi sulle elezioni delle RSU non favoriscono la partecipazione”, avverte Pedrini.
La chiave sta nella sindacalizzazione e nella libertà decisionale di chi svolge la mansione lavorativa. “Le nostre realtà sindacali hanno proposto una votazione online sul contratto cooperative sociali che ha raccolto circa mille risposte (ma dobbiamo fare un mea e nostra culpa?) non siamo andati oltre a formare una delegazione rappresentativa. Grazie a questi contatti si è parzialmente ampliata la platea degli scioperanti ma dobbiamo capire come riprendere a livello intersindacale la promozione della sindacalizzazione delle lotte nel settore del sociale – analizza Pedrini -. Il contratto Uneba è ancora da concludere, il contratto Aninsei è stato firmato dalla sola Uil”.
La discussione, però, non può fermarsi al salario minimo che comunque deve essere il più alto possibile. Non basta il netto in busta paga: c’è anche il salario indiretto, tra cui Tfr, pensioni e welfare. Dobbiamo difenderci su tutti i piani. A beneficio di tutte e tutti, è inoltre necessario ingaggiare una campagna contro i fondi pensione e il legame occulto tra fondi sanitari e la privatizzazione della sanità.
Il tema del salario minimo, con una retribuzione oraria non inferiore a una soglia di dignità, si intreccia con quello del divario retributivo di genere. Secondo le stime, il lavoro povero in Italia è oltre cinque volte la media europea. Sono le donne, assieme ai giovani, a essere maggiormente colpite da bassi salari, contratti precari, part time involontari, scarse tutele e costo della vita elevato. L’8,7% dei salari non tocca i 10mila euro l’anno, stando alle Acli un quinto delle lavoratrici non supera i 15mila euro l’anno. Non va meglio a giovani e anziani: per loro il lavoro povero è una situazione cronica da cui è difficile uscire. Se poi sei donna e giovane, la combinazione è micidiale.