Si è fatto un gran parlare in questi giorni sulla legge di bilancio 2023, la prima legge di bilancio del Governo Meloni. Restringimento mensilità del Reddito di Cittadinanza e la sua possibile cancellazione futura, reintroduzione dei Voucher, flat tax, aumento soglia dei contanti, peggioramento dell’Opzione donna e introduzione della Quota 103.
Tutti temi su cui torneremo puntualmente nelle prossime settimane e che dicono dell’impronta di un governo che non ha nessuna intenzione di prendere in carico le ragioni delle lavoratrici e dei lavoratori povere/i e delle persone fragili e i settori su cui occorrono investimenti (Sanità, Istruzione, previdenza sociale e Welfare) mentre intende continuare a fare gli interessi dei padroni.
Ci interessa approfondire qui in particolare il tema dei salari.
Come abbiamo avuto modo di affermare più volte e ci sembra ancora più opportuno affermare oggi, a fronte dell’inflazione e della crisi, per noi la soluzione al carovita e alla diminuzione degli stipendi progressiva che stiamo vivendo negli ultimi 20 anni, è l’indicizzazione dei salari, il rinnovo dei contratti scaduti e l’aumento delle paghe.
La de-contribuzione, ovvero la diminuzione del versamento dei contributi già introdotta dal governo Draghi, il cosiddetto “taglio del cuneo fiscale”, non è altro che uno specchietto per le allodole che sposta i soldi da una tasca all’altra di lavoratrici e lavoratori, ovvero diminuisce i contributi versato allo Stato per la propria pensione e fa risultare un netto in busta leggermente più alto.
La manovra del governo Meloni manterrebbe il 2% di esonero dai contributi (ovvero dal 9,19% al 7,19%) e permette (lo puoi verificare nella busta paga di novembre) di avere un esonero che, ad esempio, su una busta paga di 1811,64 lorde, risulta di 35,52 euro.
Quindi, la lavoratrice in questione ha 35 euro in tasca in più.
Poche briciole.
Il Governo Meloni, in perfetta continuità, alzerebbe la suddetta percentuale al 3% per chi percepisce meno di 25000 euro in un anno e manterrebbe il 2% per chi ha redditi inferiori dei 35000 euro.
Questa detassazione generalizzata, applicata sui contributi IVS e anche sull’IRPEF nel caso dei premi di risultato, impoverisce gli Istituti previdenziali e del Welfare.
Impoverimento che permetterà ai governi che si succederanno di affermare che il sistema previdenziale non regge, e casomai di peggiorarlo progressivamente, e che non ci sono abbastanza soldi per garantire scuole e sanità pubbliche dignitose (per fare degli esempi) aprendo la strada alle privatizzazioni che già conosciamo e che escludono le fasce più povere.
Per noi non c’è altro modo di alzare il potere d’acquisto di lavoratrici e lavoratori che alzare gli stipendi, rinnovare i contratti e ripristinare un sistema di indicizzazione dei salari.
E’ assurdo che anche i Sindacati Confederali che fingono di protestare contro la Manovra Meloni plaudano alla decontribuzione e alla detassazione senza risolvere e prendere in carico il problema dell’impoverimento generalizzato che stiamo vivendo: dal 1990 al 2020 l’OCSE ha rilevato una diminuzione dei salari del 2,9% che non sarà di certo risolvibile con la “riduzione del cuneo fiscale”.