LEGGE 15 gennaio 2021, n. 4 – Ratifica ed esecuzione della Convenzione dell’Organizzazione internazionale del lavoro n. 190 sull’eliminazione della violenza e delle molestie sul luogo di lavoro

La Convenzione ha l’obiettivo di contrastare le violenze di genere e le molestie che si verifichino “in occasione di lavoro, in connessione con il lavoro o che scaturiscano dal lavoro”.

Ratificando la convenzione gli Stati Membri dell’Ilo sono tenuti ad adottare leggi che garantiscano il diritto alla parità e alla non discriminazione, a proibire la violenza e le molestie sul lavoro, a promuovere interventi contro la violenza e inclusivi che abbiano il fine ultimo di includere (articolo 4 della Convenzione 190):

“a) il divieto di violenza e molestie ai sensi di legge;
b) la garanzia che le politiche pertinenti contemplino misure per l’eliminazione della violenza e delle molestie;
c) l’adozione di una strategia globale che preveda l’attuazione di misure di prevenzione e contrasto alla violenza e alle molestie;
d) l’istituzione o il rafforzamento dei meccanismi per l’applicazione e il monitoraggio;
e) la garanzia per le vittime di poter accedere a meccanismi di ricorso e di risarcimento, come pure di sostegno;
f) l’istituzione di misure sanzionatorie;
g) lo sviluppo di strumenti, misure di orientamento, attività educative e formative e la promozione di iniziative di sensibilizzazione secondo modalita’ accessibili e adeguate;
h) la garanzia di meccanismi di ispezione e di indagine efficaci per i casi di violenza e di molestie, ivi compreso attraverso gli ispettorati del lavoro o altri organismi competenti”.

“Articolo 8. Ciascun Membro dovrà assumere misure adeguate atte a prevenire la violenza e le molestie nel mondo del lavoro, ivi compreso:
a) il riconoscimento del ruolo determinante delle autorità pubbliche con riferimento ai lavoratori dell’economia informale;
b) l’identificazione, in consultazione con le organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori interessate, nonché attraverso altre modalità, dei settori o delle professioni e delle modalità di lavoro in cui i lavoratori e altri soggetti interessati risultino maggiormente piu’ esposti alla violenza e alle molestie;
c) l’adozione di misure che garantiscano una protezione efficace di tali soggetti”.

Dovrà favorire provvedimenti per i datori di lavoro; che permettano alla persona di adire vie legali e avanzare richieste di risarcimento; per orientamento e formazione.

Articolo 11. In consultazione con le organizzazioni di rappresentanza dei datori di lavoro e dei lavoratori, ciascun Membro è tenuto ad adoperarsi al fine di garantire che:

a) la violenza e le molestie nel mondo del lavoro siano oggetto delle politiche nazionali pertinenti, come quelle in materia di salute e sicurezza, parità e non discriminazione sul lavoro, nonché quelle in materia di migrazione;
b) siano messi a disposizione dei datori di lavoro, dei lavoratori e delle rispettive organizzazioni, come pure delle autorità competenti, misure di orientamento, risorse, formazione o altri strumenti, in formati accessibili a seconda dei casi, sui temi della violenza e delle molestie nel mondo del lavoro, ivi comprese la violenza e le molestie di genere;
c) vengano attuate iniziative in materia, tra cui campagne di sensibilizzazione”.

Gli interventi negli ordinamenti nazionali dovranno essere attuati attraverso leggi, regolamenti, contratti collettivi, adeguamento della normativa esistente in materia salute e sicurezza sul lavoro.

L’entrata in vigore generale della Convenzione, che è stata fissata a dodici mesi dalla ratifica di due Stati Membri, dovrebbe essere a giugno 2021.

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Osservazioni sulla legge di ratifica ed esecuzione della Convenzione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro n. 190 sull’eliminazione della violenza e delle molestie sul luogo di lavoro, adottata a Ginevra il 21 giugno 2019 nel corso della 108ª sessione della Conferenza.
di Francesca Garisto, avvocata penalista in Milano, dal sito WIKILABOUR

Il contesto, i dati e l’impegno dello Stato

Le lavoratrici, i lavoratori e chi li rappresenta dentro e fuori dai luoghi di lavoro, non possono che accogliere con grande favore la ratifica da parte dello Stato italiano della Convenzione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro n. 190 sull’eliminazione della violenza e delle molestie sul luogo di lavoro, adottata a Ginevra il 21 giugno 2019 nel corso della 108ª sessione della Conferenza.

E’ il risultato del dibattito e del percorso a livello internazionale che da anni si va sviluppando per il riconoscimento del diritto di tutti ad un ambiente di lavoro libero dalla violenza e dalle molestie, ivi compresa la violenza e le molestie di genere.

Con la sottoscrizione di questa Convenzione, per la prima volta lo Stato riconosce senza reticenze che violenza e molestie sul luogo di lavoro possono costituire violazione dei diritti umani, rappresentano minaccia alle pari opportunità e risultano incompatibili con il lavoro dignitoso.

Ed infatti, le molestie, ed in particolare le molestie sessuali, rappresentano un gravissimo problema nei rapporti di lavoro, problema che riguarda perlopiù le donne e i soggetti più vulnerabili. Si tratta di comportamenti che offendono la dignità, la libertà personale e sessuale, la salute, il diritto al lavoro, tutti valori e beni primari, tutelati dalla Costituzione.

Si tratta di una delle numerose forme di abuso di cui le donne sono le vittime più numerose: si fondano sulla vulnerabilità delle lavoratrici, legate al loro lavoro per l’esigenza di salvaguardare la propria dignità, la propria famiglia e i propri figli. Infatti, le molestie compromettono molto spesso la tenuta del rapporto di lavoro, soprattutto nei casi in cui le stesse vengono messe in atto da chi riveste un ruolo apicale o comunque un ruolo superiore nella catena gerarchica rispetto alla vittima e quando l’azienda non interviene tempestivamente a contrastare le condotte e rimuoverne gli effetti.

Questi ed altri i motivi che inducono le donne a non segnalare né tantomeno denunciare le molestie subite nell’ambito lavorativo.

Secondo l’indagine ISTAT condotta nel 2016, le donne che hanno subito molestie fisiche o ricatti sessuali sul posto di lavoro dal 2013 al 2016 sono 425.000. Solo l’1,2 % di queste donne ha denunciato l’accaduto, in tutti gli altri casi queste donne hanno vissuto in silenzio questi ricatti.

Anche a confronto con gli altri paesi europei, un sondaggio dell’Agenzia Ue per i diritti fondamentali (Fra), condotto su 35mila cittadini adulti degli Stati membri, Macedonia del Nord e Regno Unito nel 2019, rivela che negli ultimi 5 anni il 70% delle donne italiane non ha denunciato le molestie sul lavoro né alla polizia né ad altre organizzazioni.

Le ragioni che più frequentemente inducono le vittime a non denunciare, secondo l’ISTAT sarebbero la ritenuta scarsa gravità dell’episodio (27,4%) e la mancanza di fiducia nelle Forze dell’Ordine o la loro impossibilità ad agire (23,4%).

Per la mia esperienza, molto spesso la mancata denuncia deriva dalla scarsa consapevolezza da parte delle vittime di ciò che è lecito e dei propri diritti, dalla sensazione che ciò che hanno subito sia, se non lecito, quantomeno tollerato dalla legge e dalla cultura patriarcale, tanto radicata nel nostro Paese. Sempre secondo l’indagine ISTAT le donne che hanno subito molestie sul lavoro nel corso della vita sono un milione e mezzo, su questo campione il 33,8% delle persone ha cambiato volontariamente lavoro rinunciando alla carriera, il 10,9% è stata licenziata o non rinnovata alla scadenza del contratto.1

Questi dati sono allarmanti ed è per questo che la ratifica della Convenzione di Ginevra giunge in un momento in cui il riconoscimento da parte delle Istituzioni, della violenza nei luoghi di lavoro e in occasione del lavoro, non poteva più attendere.

Ora spetterà allo Stato dare esecuzione a quanto sottoscritto dimostrando quella tolleranza zero cui si fa espresso riferimento nella parte introduttiva dell’atto di ratifica, e allo Stato spetterà per primo applicarla attraverso buone leggi e regolamenti, contratti collettivi e altre misure conformi, incluso l’ampliamento e l’adattamento delle misure esistenti in materia di salute e sicurezza sul lavoro, come l’art.12 della Convenzione richiede.

Fin da ora ci auguriamo che la Convenzione di Ginevra nel nostro paese svolga una funzione deterrente e di orientamento del comportamento; rappresentando il primo passo verso una disciplina unitaria del fenomeno del mobbing, del mobbing di genere e delle molestie sul lavoro in modo da non lasciare alla sola discrezionalità del giudice la tutela di beni primari e, infine, fornendo validi strumenti agli Operatori delle Forze dell’Ordine chiamati spesso ad intervenire o ad acquisire le denunce, troppo spesso poco considerate.

Una cosa ci preoccupa, ed è che l’art. 3 dell’atto di ratifica prevede la clausola di invarianza finanziaria che male si concilia con gli obblighi di orientamento, formazione e sensibilizzazione, specificati nell’art. 11 della Convenzione, che il nostro Stato si è assunto.

Aumento della consapevolezza nelle vittime del disvalore del mobbing di genere

Il riconoscimento che con la sottoscrizione della Convenzione di Ginevra lo Stato ha effettuato, dell’esistenza del fenomeno del mobbing di genere, della gravità dello stesso, della necessità di prevenirlo, di perseguirlo e di offrire sostegno istituzionale alle vittime, da visibilità ad un fenomeno troppo a lungo rimasto invisibile e offre alle lavoratrici la chiave per riconoscere sin dall’inizio i segnali degli abusi che subiscono e consapevolezza dei propri diritti.

Un motivo della invisibilità delle molestie infatti è il modo fuorviante con cui le molestie sono spesso interpretate: non un attacco alla libertà femminile, un atto spesso ostile e con gravi conseguenze, bensì come scherzi o battute, complimenti, forme di corteggiamento o irreprimibili manifestazioni di virilità (2).

Riconoscere ed affermare che la violenza e le molestie nel lavoro influiscono sulla salute psicologica, fisica, sessuale e sulla vita familiare delle donne, come l’introduzione alla Convenzione precisa, e il riconoscimento che questo costituisce una grave minaccia alle pari opportunità, è una grande opportunità perché costituisce l’ occasione per le lavoratrici per, finalmente, rivendicare il diritto di lavorare nel rispetto della loro dignità, con le stesse possibilità degli uomini di conservare il proprio posto di lavoro e di avere accesso a nuove opportunità di carriera, sulla base di principi cogenti specifici.

E d’altra parte, la violenza nei confronti delle donne sul luogo di lavoro riguarda tutti i lavoratori perché se certamente le vittime sono coloro che soffrono maggiormente, anche i loro colleghi e le loro equipe lavorative e le loro famiglie subiscono conseguenze gravi, che compromettono la salute sociale e la civiltà di un paese oltre che di una azienda.

Il riconoscimento normativo del disvalore delle molestie consentirà alle donne di cambiare ottica rispetto al mondo lavorativo, consapevoli che accedendo a cariche importanti non sia normale sentirsi offese o dover lottare affinché la propria idea venga ascoltata, o peggio sentirsi in dovere di sopportare minacce, attenzioni, commenti non graditi e vessazioni continue.

Ci auguriamo che questa sia l’occasione per far emergere attraverso un lavoro culturale oltre che normativo. quel sommerso che in Italia è una voragine dura da colmare.

Disciplina unitaria del fenomeno del mobbing

In Italia manca una disciplina organica del mobbing, tanto in ambito penalistico quando in ambito giuslavoristico. La ratifica della Convenzione rappresenta un primo passo in questa direzione.

In ambito giuslavoristico esiste una definizione di molestie di matrice europea trasposta nel Codice delle Pari Opportunità, tuttavia gli strumenti normativi per offrire tutela alle vittime di tali comportamenti sono da ricercare nelle diverse fonti normative e soprattutto nella loro interpretazione, in particolare nell’art. 2087 c.c. che prevede obblighi precisi in capo al datore di lavoro che è tenuto ad assicurare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.

Quanto invece all’ambito penalistico, manca completamente una disciplina delle molestie sul lavoro, tale circostanza comporta l’uso di fattispecie di reato quali i maltrattamenti in famiglia (art.572 c.p.), la violenza sessuale (art.609 bis c.p.), la violenza privata (art.610 c.p.), gli atti persecutori (art.612 bis c.p.) per dare, quando possibile, tutela alle vittime.

Ciò sebbene l’art 40 della Convenzione di Istanbul (Convenzione europea sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, in vigore in Italia dal 9.01.2013) imponga agli Stati firmatari di provvedere a definire e sanzionare le molestie sul lavoro: “Le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo necessarie per garantire che qualsiasi forma di comportamento indesiderato, verbale, non verbale o fisico, di natura sessuale, con lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una persona, segnatamente quando tale comportamento crea un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo, sia sottoposto a sanzioni penali o ad altre sanzioni legali”.

Dal punto di vista giuslavoristico la normativa che reprime condotte di molestie trae origine dalla normativa comunitaria. La direttiva 2002/73/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 settembre 2002 all’art. 2 sancisce che il principio di parità di trattamento implica l’assenza di qualsiasi discriminazione fondata sul sesso, continua poi dando le definizioni di discriminazione diretta, discriminazione indiretta, molestie e molestie sessuale, specificando che le molestie e le molestie sessuali sono considerate discriminazioni basate sul sesso e sono pertanto vietate.

Tali definizioni sono state fedelmente recepite all’interno degli artt. 25 (discriminazione diretta e indiretta) e 26 (molestie e molestie sessuali) del Codice delle Pari Opportunità (d.lgs. n. 198 del 2006 e successive modificazioni).

Ai sensi di questa disciplina si considerano molestie (morali) “quei comportamenti indesiderati, posti in essere per ragioni connesse al sesso, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo”, sono invece molestie sessuali “quei comportamenti indesiderati a connotazione sessuale, espressi in forma fisica, verbale o non verbale, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo”.

Inoltre, sono considerati come discriminazione i trattamenti meno favorevoli subiti da una lavoratrice o da un lavoratore per il fatto di aver rifiutato i comportamenti molesti o di esservisi sottomessi (3) .

Il classico (e purtroppo troppo frequente) esempio di molestie di tipo morale è il caso della lavoratrice che al rientro dalla maternità, anziché essere supportata nelle proprie esigenze di conciliazione del lavoro con la vita familiare viene ostacolata, marginalizzata, gravemente demansionata o sottoposta ad azione di mobbing perché ritenuta meno disponibile e produttiva (esempio di molestie morali).

Per quanto riguarda invece le molestie sessuali, la casistica è molto vasta: si va dagli apprezzamenti allusivi, alle battute a sfondo sessuale, anche denigratorie e offensive, dagli inviti a cena insistenti e indesiderati alle telefonate continue con costanti ricadute sul piano sessuale, dalle proposte di approccio, ai gesti osceni, all’approccio tramite baci o toccamenti anche in parti intime. Molestie sessuali possono altresì essere integrate dall’invio tramite mail o tramite social media, telefono e Whatsapp di messaggi, foto o video dal contenuto pornografico, osceno o comunque esplicito.

Costituiscono inoltre condotte gravemente moleste ed offensive della dignità della lavoratrice l’imposizione sgradita di presenziare a discorsi o di ascoltare parole, insinuazioni, frasi relative alla sfera sessuale di chi parla o di chi ascolta.

In taluni di questi casi la situazione di molestia può proseguire anche nella vita privata della persona stalking occupazionale: una forma di atti persecutori in cui l’effettiva attività persecutoria si esercita nella vita privata della vittima ma la cui origine è l’ambiente di lavoro, luogo in cui lo stalker ha realizzato una situazione di conflitto, persecuzione o mobbing.

Sono i casi, ad esempio, in cui il rifiuto di avances non viene accettato dal datore di lavoro, dal superiore gerarchico o dal collega che quindi comincia a subissare la vittima di telefonate e messaggi anche fuori dall’orario di lavoro, a pedinarla nel tragitto casa lavoro o a seguirla in ogni spostamento, provocando in tal modo un pregiudizio alle sue abitudini di vita associato a sofferenza psichica o paura per la propria incolumità (4) .

Quanto all’ambito penalistico, fino ad oggi è stato molto difficile offrire una tutela adeguata alle vittime di mobbing in quanto, in mancanza di una disciplina specifica, si può procedere solo laddove il comportamento vessatorio posto in essere in ambito lavorativo integri una delle fattispecie di reato sopra ricordate quali ad esempio, i maltrattamenti in famiglia, la violenza sessuale, gli atti persecutori la violenza privata o anche le lesioni personali in quanto le lavoratrici perlopiù in conseguenza alle molestie subite, si ammalano, anche gravemente.

Si tratta di reati pensati per offrire tutela in altre circostanze, la cui tutela viene estesa, quando possibile, anche in ambito lavorativo ma solo se in presenza di determinate condizioni, individuate di volta in volta dalla giurisprudenza ed affidate alla valutazione disomogenea della magistratura.

Si pensi ad esempio al reato di maltrattamenti in famiglia, quest’ultimo viene esteso all’ambito lavorativo solo laddove ci sia il requisito della “natura para-familiare del rapporto di lavoro” .

Questo comporta una serie di problemi dal punto di vista delle garanzie del diritto penale (si pensi ad esempio alla rilevante compromissione del principio di legalità, soprattutto nella sua accezione di tassatività e precisione) e non garantisce tutela adeguata alle vittime che si troveranno tutelate solo in presenza di un Giudice sensibile che “forzi” la tipicità delle norme incriminatrici.

Ci attendiamo quindi, che con la ratifica della Convenzione di Ginevra lo Stato italiano intervenga al più presto ed efficacemente, a dare esecuzione al proprio impegno, già d’altra parte assunto con la ratifica della Convenzione di Istanbul.

Funzione general-preventiva e di orientamento del comportamento

L’introduzione di una disciplina organica delle molestie sul lavoro rappresenta la presa di posizione evidente del legislatore rispetto al disvalore di tali atti, con la conseguenza di orientare il comportamento di tutti i consociati in un’ottica general-preventiva di sensibilizzazione rispetto alla negatività del mobbing e soprattutto del mobbing di genere ed alle sue conseguenze su chi ne è vittima.

La disciplina organica che ora ci attendiamo, rappresenterà inoltre uno strumento per tutti gli Operatori, siano essi Forze dell’Ordine, Magistrati, Avvocati, Sindacati e Datori di lavoro, per prevenire e proteggere le vittime e chiedere la punizione degli autori.

In quest’ottica assume grande pregio la previsione di cui all’art. 10 della Convenzione di Ginevra che prevede il controllo da parte dello Stato della corretta applicazione delle norme in materia, la garanzia della facilitazione all’accesso alla giustizia, sia civile che penale, la protezione della persona offesa dai rischi di vittimizzazione secondaria e dalle eventuali ritorsioni.

Ambito di applicazione

La Convenzione di recente rarificata ha un altro pregio che vale la pena sottolineare, che è quello di offrire protezione a tutte le lavoratrici e lavoratori, indipendentemente dallo status contrattuale, al personale in formazione, inclusi i tirocinanti gli apprendisti , i lavoratori licenziati, le persone alla ricerca di un impiego e i candidati ad un lavoro e individui che esercitino l’autorità, i doveri e le responsabilità di un datore di lavoro.

Si tratta di una novità importante che considera la tutela della dignità delle lavoratrici e dei lavoratori il bene primario da tutelare, ancor prima dell’adempimento delle obbligazioni che derivano dai contratti di lavoro.

Questo consentirà di portare alla luce vicende torbide e umilianti che coinvolgono perlopiù le donne che lavorano, hanno lavorato o ambiscono a farlo e che subiscono per il solo fatto di essere donne e si potranno stigmatizzare le condotte inappropriate, se non anche violente, di tanti, troppi soggetti, perlopiù uomini ma non solo, che utilizzano il loro potere per disporre della dignità altrui.


1 Per maggiore approfondimento si veda http://www4.istat.it/it/violenza-sulle-donne/il-fenomeno/violenza-sul-luogodi-lavoro. Le vittime di molestie sessuali sul lavoro sono la maggior parte donne, proprio per questo motivo nella relazione si parlerà di vittime riferendosi al genere femminile. Si precisa tuttavia che gli stessi principi valgono anche se le molestie vengono subite da lavoratori uomini.

2 Da “Le molestie sessuali, riconoscerle, combatterle, prevenirle” a cura di Patrizia Romito e Mariachiara Feresin.

3 V. A. Rosiello – M. Serra, Mobbing e altri “malanni” del lavoro e dell’organizzazione, in ISL, n. 5/2017.

4 H. Ege, Oltre il mobbing: Straining, Stalking e altre forme di conflittualità sul posto di lavoro, ed. Franco Angeli, 2005, p. 109 e ss.

TESTO LEGGE 21 GENNAIO 2021 N°4