Beppe Scienza: TFR contro tutti. Brilla per redditività rispetto a titoli di Stato, depositi bancari e fondi pensione

Articolo di Beppe Scienza sul Fatto Quotidiano di lunedì 13 luglio 2020

Come tutti i salmi finiscono in gloria, così interviste, articoli, interventi sul Trattamento di fine rapporto (Tfr) si concludono regolarmente col consiglio di trasferirlo a un fondo pensione. Un consiglio interessato. Infatti il Tfr non fa guadagnare nulla a banche, assicurazioni, sindacati e associazioni padronali; i fondi pensione invece sì.

Per questo i sedicenti esperti della cosiddetta educazione finanziaria e previdenziale evitano di segnalarne gli aspetti positivi. In particolare il fatto che attualmente è uno degli investimenti più redditizi oltre che più sicuri, in virtù anche della garanzia dell’Inps. Anche se non è lui a essersi rinvigorito, ma gli altri ad avere perso forza.

Rende infatti l’1,5% l’anno più tre quarti dell’inflazione nello stesso periodo, se positiva. E tali rendimenti a ogni fine anno sono acquisiti. Addirittura si capitalizzano, al netto dell’imposta. Cioè cominciano a fruttare anch’essi interessi, più correttamente denominati rivalutazioni.

Confronti. I Btp a tasso fisso rendono regolarmente meno. Per il Btp Futura appena emesso abbiamo un 1,3% a scadenza, a parte il modesto premio di rimborso, e comunque senza qualsivoglia difesa del potere d’acquisto. Manca poi ogni tutela per il suo valore di smobilizzo, per cui fine anno potrebbe benissimo quotare sotto 90.

Prendiamo allora i Btp Italia. Qui arriviamo a rendimenti circa sull’1% l’anno oltre l’inflazione, però piena e non decurtata di un quarto come per il Tfr. Ciò significa che quest’ultimo continua a rendere di più finché il costo della vita non sale oltre il 2%. Siamo sotto da parecchi anni e anche in prospettiva. Anche qui c’è il rischio di flessione dei prezzi, tant’è che si sono visti Btp Italia scendere a 93 euro.

È vero che si tratta sempre di rendimenti lordi, ma passare ai netti non capovolgerebbe le conclusioni. Logicamente va male anche con le poche alternative a capitale garantito in caso di prelievo o riscatto: conti correnti, libretti e buoni fruttiferi postali. Gli interessi sono di regola molto bassi e comunque manca sempre qualunque protezione dall’inflazione, tranne per alcuni buoni non più sottoscrivibili.

I Bot sono ritornati a rendimenti negativi e il maggior rendimento dei titoli in dollari viene annullato, se si copre il rischio di cambio. In tale contesto è inevitabile che la quota a reddito fisso dei fondi pensione, che è quella preponderante, renda meno del Tfr.

Autodifesa. Peccato che non sia permesso riportare in azienda quanto un lavoratore ha nella previdenza integrativa o almeno bloccare il trasferimento a essa del Tfr che matura di mese in mese. Sarebbe proprio il momento di farlo.

Tutt’al più chi cambia ditta può scegliere presso il nuovo datore di lavoro di non aderire a nessun fondo pensione o simile, tenendo però nascosto che prima vi aveva aderito. Ciò significa essere disonesti? No, questa si chiama legittima difesa.