Pubblichiamo questo articolo perché condividiamo la critica alle posizioni del presidente dell’INPS Tito Boeri, che si è fatto paladino del dogma dell’austerità pensionistica. Ciò che colpisce è che la semplice abolizione degli aumenti secchi di età pensionabile previsti dalla Fornero per tornare al più flessibile, ma già assai restrittivo meccanismo delle quote vigente precedentemente, per Tito Boeri è un’operazione disastrosa e insostenibile.
Noi riteniamo invece che la “Quota 100”, per come è delineata ora, comporta solo un parziale ritocco e non l’abolizione della Riforma Fornero e quindi non è sufficiente. Solo il ritorno ad un sistema pensionistico retributivo può garantire a tutti pensioni giuste e dignitose.
Pensioni: pensavamo fosse ‘quota 100’ e invece era l’apocalisse (almeno per Boeri)
dal sito Coniarerivolta del 21 ottobre 2018
Non pago delle infinite dichiarazioni rilasciate negli ultimi anni sui presunti e inesistenti dissesti dell’INPS e le inevitabili riforme pensionistiche restrittive da attuare a raffica, il presidente dell’Istituto previdenziale Tito Boeri, nella sua audizione alla Camera dell’11 Ottobre, torna alla ribalta in veste di guardiano privilegiato del dogma dell’austerità pensionistica. Oggetto del suo inquieto allarmismo è ora il provvedimento annunciato e inscritto nel DEF varato dal governo, noto come quota 100. Di cosa si tratta? Della possibilità di anticipare la pensione rispetto ai criteri oggi vigenti in base alla Legge Fornero approvata nel 2012, usufruendo di una combinazione tra età e numero di anni contributivi, la cui somma ammonterebbe a 100. Ricordiamo che sulla base della legge Fornero, ad oggi, un lavoratore potrebbe accedere alla pensione o tramite vecchiaia ad un’età di 67 anni o, indipendentemente dall’età, con 43 anni di contributi. Criteri ultra-restrittivi rispetto a soli pochi anni fa che, al tempo dell’approvazione della Legge suddetta, provocarono un repentino aumento dell’età pensionabile a gravissimo detrimento di tutti quei lavoratori in procinto di accedere alla pensione negli anni successivi alla riforma. Quota 100, peraltro, non farebbe altro che riportare il sistema, a partire dal 2019, ad un livello di quota che risulterebbe persino più elevata di quella che sarebbe entrata a regime con la precedente Legge Sacconi già pesantemente restrittiva, secondo cui al decorrere dell’anno venturo il sistema avrebbe viaggiato a quota 99, persino un anno sotto la famigerata e temuta quota 100. La Riforma Sacconi prevedeva, infatti, un meccanismo di adeguamento automatico delle quote all’aspettativa di vita e per il 2019 si prevedeva il raggiungimento di quota 99. Non è ancora del tutto chiaro, peraltro, se nel provvedimento del governo quota 100 sia affiancata o meno all’abolizione del meccanismo di adeguamento automatico nel tempo dell’età pensionabile alla vita media attesa stimata.
Ad ogni modo, ciò che colpisce è che la semplice abolizione degli aumenti secchi di età pensionabile previsti dalla Fornero per tornare al più flessibile, ma già assai restrittivo meccanismo delle quote vigente precedentemente, per Tito Boeri è un’operazione disastrosa e insostenibile.
Da quanto emerso dal DEF la quota 100 escogitata dal governo dovrebbe includere un limite minimo di età pensionabile pari a 62 anni cui associare 38 di contributi per poi salire oltre la soglia dei 62 con combinazioni diverse (63+37; 64+36 etc).
Questa operazione, secondo Boeri darebbe luogo nel lungo termine ad un debito pensionistico di 100 miliardi.
Fermo restando che non è neanche chiaro a quale orizzonte temporale questa cifra si riferisca, ciò che lascia attoniti è il tentativo di creare, sulla base di false premesse, il terrore di una spesa pensionistica fuori controllo del tutto insostenibile.
Si evoca la bancarotta dell’INPS e la compromissione del delicato patto intergenerazionale tra giovani e anziani: “Il nostro sistema previdenziale si regge su equilibri molto delicati. Il patto intergenerazionale di cui l’Inps è garante deve essere finanziariamente sostenibile e percepito come equo da chi lo alimenta versando i contributi».
Qui Boeri si riavvale dell’ormai consolidata legenda di un sistema pensionistico strutturalmente squilibrato a sfavore dei giovani, dipinti come vittime designate costrette a versare contributi per mantenere iniquamente gli anziani di oggi depositari di insostenibili privilegi. Legenda basata su dati sistematicamente presentati con estrema parzialità che da decenni presunti esperti di pensioni usano per reclamare aumenti senza sosta dell’età pensionabile e riduzione delle prestazioni pensionistiche, naturalmente per amore dei giovani.
Che l’Inps, una volta computata correttamente la spesa previdenziale, sia in costante e ampio attivo da 25 anni poco importa. Che gli attivi di bilancio dell’Ente sarebbero rimasti tali per moltissimi anni, anche in assenza delle Riforma Fornero, viene semplicemente occultato. Che in Italia vi sia un elevatissimo tasso di disoccupazione e quota di lavoro nero, con conseguente altissima evasione contributiva, e che la semplice riduzione di queste piaghe sociali terrebbe in piedi il rapporto tra entrate contributive e uscite pensionistiche anche in un sistema pensionistico infinitamente più generoso di quello disegnato dalla blanda quota 100, per Boeri sono dettagli trascurabili.
Ciò che conta è dare l’allarme di un sistema fuori controllo, creare terrorismo per presentare le riforme pensionistiche di riduzione dei diritti previdenziali come una via inevitabile da percorrere per salvare il futuro delle generazioni venture, presentando la Legge Fornero e tutte le precedenti Leggi come passaggi blindati intoccabili.
A corroborare la tesi dell’insostenibilità dell’introduzione di quota 100, interviene l’immancabile retorica del debito come fardello per i posteri. I famosi 100 miliardi, oltre a rappresentare in termini concreti il presunto e inesistente buco profondo dei conti INPS del futuro, sarebbero, più in generale debito contratto dalla generazione futura che, secondo l’impostazione neo-liberista, cui Boeri aderisce entusiasta, si dovranno per forza trasformare in maggiori tasse o sforzi contributivi futuri. Ignorando invece che, proprio al contrario, in una situazione di grave sottoimpiego delle risorse, maggior spesa corrente, data dalla somma tra la spesa per consumi dei neo-pensionati e dei probabili neo-lavoratori assunti, produce maggior domanda, maggior produzione e occupazione tramite un effetto moltiplicativo virtuoso; e che, in ultimo, tale maggior occupazione finisce per tradursi in una massa maggiore di contributi previdenziali versati oggi e domani dalla generazione lavoratrice all’INPS.
Aggiunge Boeri: “si aumenta la spesa e si riducono i contributi. Non bastano due giovani neo assunti per pagare la pensione di uno che esce”. Un errore e un’omissione. L’errore, ancora una volta, è quello di dimenticare l’effetto moltiplicativo espansivo appena menzionato garantito dai maggiori consumi per cui il flusso contributivo calcolato sarebbe molto probabilmente assai maggiore di quello prevedibile con la sola sostituzione di un pensionato- due lavoratori. L’omissione è quella di ragionare a salari dati quando si afferma che due assunzioni nell’immediato rischiano di essere insufficienti a pagare una pensione. Omette, Boeri, di ricordare che salari più elevati garantirebbero naturalmente flussi contributivi in entrata assai maggiori. Ma, del resto si sa, la variabile distributiva nel capitalismo per Boeri è immutabile poiché definita dal mercato.
Il vertice della mistificazione viene raggiunto in questo passaggio che riportiamo per intero:
“quota 100 premia quasi in 9 casi su 10 gli uomini, quasi in un caso su tre persone che hanno un trattamento pensionistico superiore a quello medio degli italiani (e un reddito potenzialmente ancora più alto, se integrato da altre fonti di reddito). Si tratta nel 40% dei casi di dipendenti pubblici che, in un caso su 5, hanno trattamenti superiori ai 35.000 euro all’anno (in più di un caso su 10, superiore ai 40.000 euro). La riforma porterà ad avvantaggiare soprattutto gli uomini, con redditi medio alti e i lavoratori del settore pubblico. Penalizzate invece le donne tradite da requisiti contributivi elevati (quando hanno carriere molto più discontinue degli uomini) e dall’aver dovuto subire sin qui, con l’opzione donna, riduzioni molto consistenti dei trattamenti pensionistici, quando ora per lo più gli uomini potranno andare in pensione prima senza alcuna penalizzazione. Pesanti sacrifici imposti anche ai giovani su cui pesa in prospettiva anche il forte aumento del debito pensionistico”.
Boeri gioca con le parole, con improbabili conflitti di genere e, di nuovo, intergenerazionali, ricorrendo ad un linguaggio politicamente corretto ad uso e consumo di una sensibilità di massa inquinata da messaggi compiacenti e allo stesso tempo terribilmente pericolosi.
Ma cosa sta dicendo Boeri? Tradizionalmente l’età pensionabile femminile in molti paesi europei era più bassa di quella maschile. Negli anni più recenti vi è stata una graduale equiparazione, naturalmente al rialzo che ha portato per le lavoratrici ad aumenti in molti casi assai bruschi. Per attenuare l’effetto di misure repentine la Riforma Fornero previde la cosiddetta “opzione donna”che stabiliva fino al 2015 (con poi ulteriori proroghe ad oggi ancora valide) la possibilità per le donne di andare in pensioni con grande anticipo (anche di otto anni) ma con un calcolo interamente contributivo che comporta una forte riduzione della pensione attesa.
L’”opzione donna” ad oggi è stata sempre confermata dalle varie finanziarie, motivo per cui è evidente che la riforma di quota 100 con un più moderato abbassamento dell’età pensionabile erga omnes (uomini e donne), ma senza penalizzazione in termini di pensione attesa, interesserebbe maggiormente una platea maschile che non ha avuto negli anni recenti strumenti analoghi di uscita anticipata dal mondo del lavoro. Fermo restando che le donne in attesa di pensione potrebbero comunque scegliere quota 100 anziché opzione donna. Che vi saranno quindi più uomini che donne a godere del novo provvedimento è semplicemente una banale ovvietà che Boeri trasforma, in evidente mala fede, in improbabile guerra sessista per scatenare gli animi contro chi osi discutere il dogma dell’austerità previdenziale.
Senza dubbio è vero, come afferma il presidente dell’INPS, che le donne hanno spesso carriere più discontinue dovute a vuoti lavorativi legati alla vita familiare e quindi storie contributive più ridotte. Per Boeri, tuttavia, questo evidente grave vizio del mondo del lavoro, che andrebbe radicalmente corretto all’origine, tutto legato alla logica capitalistica di massimizzazione del profitto da parte degli imprenditori, diventa una scusa per affermare che è ingiusto abbassare l’età pensionabile sulla base di un numero di anni di contribuzione minimo, perché così si svantaggiano le donne che hanno carriere contributive più discontinue. In sostanza per non dispiacere nessuno, nel dubbio, penalizziamo tutti. Un altro capolavoro di infima retorica!
E infine, il punto culminante del discorso di Boeri, che riassume perfettamente quanto sin’ora argomentato toccando le vette dell’approccio terroristico: “non vorremmo che un domani qualcuno dovesse considerare il fatto stesso di percepire una pensione come un privilegio”.
Ecco lanciato l’anatema: osare rimettere in discussione, in forma peraltro assai moderata, i meccanismi spietati della Legge Fornero significa compromettere per sempre non solo la sostenibilità, ma persino l’esistenza di un sistema pensionistico pubblico. Attenzione, ammonisce inquieto Boeri, persino il fatto di avercela una pensione potrebbe diventare un privilegio per pochi. L’apocalisse pensionistica sia compiuta.