Alcune considerazioni sull’elezione di Emanuel Macron alla presidenza della repubblica francese. A noi interessa in particolar modo la sua proposta di riforma del Codice del lavoro. Macron vuole procedere rapidamente legiferando per decreti, semplificando il codice del lavoro dando più spazio alla contrattazione aziendale o di settore a scapito del contratto collettivo nazionale e reintroducendo il tetto agli indennizzi in caso di licenziamenti. Un progetto insomma che punta a una grande flessibilità nel mercato del lavoro e individualizzazione dei contrattie che va ben oltre la legge El Khomri, approvata di recente dal governo socialista e già oggetto di una pesante contestazione sociale.
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pubblichiamo un estratto da un commento di Ignacio Ramonet
Emanuel Macron, trentanovenne con una scarsa esperienza – è stato consigliere del Presidente Hollande ed effimero ministro dell’Economia – ha avuto l’intuizione che il sistema politico tradizionale era ormai tarlato e minacciava la rovina. E’ uscito dal governo, ha abbandonato Hollande e ha lanciato, nell’incredulità generale, il suo movimento En Marche! (le sue iniziali …) quando sembrava non vi fosse spazio per una nuova forza politica.
In realtà il successo di Macron ha più a che vedere con le circostanze che ai suoi meriti. Perché una serie di fatti imprevisti sono andati via via eliminando i suoi principali rivali potenziali. In seno al Partito Socialista il suo avversario più pericoloso, Manuel Valls, è stato scartato dalle primarie. E il candidato scelto, Benoît Hamon, considerato troppo di sinistra e “traditore” di Hollande, non poteva sedurre l’insieme dei socialisti, e quindi non era un avversario nocivo per Macron.
Poi, nella formazione di destra “Les Républicains”, il candidato che più poteva fargli ombra, Alain Juppé, ha perso. E il vincitore, François Fillon, è stato distrutto dallo scandalo della corruzione. A tutto ciò va aggiunto il fatto che il Presidente Hollande aveva annunciato che non si sarebbe presentato alle elezioni.
Che avversari restavano a Macron? Essenzialmente due: Marine Le Pen e Jean-Luc Mélenchon.
Né il potere finanziario, né il potere padronale, né il potere mediatico potevano accettare, per ragioni diverse, nessuno di questi due candidati. Per questo, dal febbraio scorso, tutto il formidabile peso dei poteri effettivi è stato messo al servizio di Emmanuel Macron. In particolare i media dominanti – in mano ad un pugno di oligarchi multimilionari – si sono lanciati in una frenetica campagna a favore del leader di “En Marche!”. Portandogli oltretutto un sostegno finanziario considerevole. Così Macron – oratore abbastanza mediocre e con un programma ancor più confuso per mascherare il suo carattere furiosamente ultra-liberista – è andato imponendosi nei sondaggi come probabile vincitore.
Se la sua vittoria al primo turno, come analizzavamo, si deve in parte alle circostanze e all’eliminazione congiunturale dei suoi rivali, dall’altra parte è anche il risultato di ciò che Macron significa.
In un sistema che sta crollando e in cui i partiti tradizionali vengono cancellati, il leader di “En Marche!” si dichiara decisamente “europeista”, neo-liberista e libro-scambista. Difende con decisione la “Uberizzazione” dell’economia e scommette sul social-liberismo. Il suo progetto, in via di realizzazione, risponde al vecchio sogno delle élites borghesi in tempi di crisi: costituire una formazione politica che potremmo chiamare di ‘Grande Centro’, unendo la sinistra della destra al centro e alla destra della sinistra. In poche parole, come direbbe il Gattopardo: “Cambiare tutto perché nulla cambi”.
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pubblichiamo un estratto di Quarantotto, dal sito Orizzonte48
Esaminiamo perciò quale situazione si troverebbe a fronteggiare Macron, con le sue idee prioritarie per cui la spesa pubblica andrebbe tagliata di 60 miliardi in via strutturale entro il 2022, – al netto, si badi bene, di un piano di investimenti pubblici quinquennale di 50 miliardi-, il numero dei pubblici dipendenti ridotto stabilmente (50.000 posti soppressi a livello statale e 70.000 a livello locale, entro il 2022). Naturalmente, sempre entro il 2022, secondo il suo programma, ci sarebbe il pareggio strutturale di bilancio, che andrebbe di pari passo, secondo Macron (e il suo piano di investimenti pubblici), con una riduzione della disoccupazione al 7% e, donc, con 1.300.000 posti di lavoro aggiuntivi creati da questo insieme di misure.
2. Ma vediamo anche perché, Macron ha già perso (proprio come sarebbe accaduto per Hillary: cioè a prescindere dall’esito del ballottaggio).
Il cammino che ha di fronte, infatti, è quello di un feroce e difficile consolidamento fiscale, inevitabile per un presidente che fa della fedeltà alle regole dell’eurozona il suo più rassicurante “cavallo di battaglia” (certamente rassicurante per l’ital-tifo mediatico).
E non è che la Commissione UE gliela mandi a dire nell’ultimo Country Report del febbraio 2017: nel medio termine, il suo debito pubblico viene ritenuto altamente a rischio.
La spesa pubblica, la più alta d’€uropa in rapporto al PIL, è giudicata, dalla Commissione, fuori controllo per l’eccessivo ricorso a “sussidi”, cioè all’assistenza sociale diversa da quella previdenziale: questa, non sarebbe problematica per via dell’andamento demografico francese, che la Commissione considera, senza sapersi spiegare perché, un’eccezione nell’ambito dell’eurozona! E infatti, non spiegandosi perché, gli addita la spesa sociale come primo “ramo secco” da tagliare:
3. Il debito pubblico, salito oltre il 96% del PIL, cioè 4 punti sopra la media dell’eurozona, è previsto in moderato ma costante aumento, fin oltre il 100% del PIL, a legislazione invariata, scenario che si aggraverebbe di ben 6 punti nel rapporto debito/PIL ove, per un qualsiasi fattore di crisi finanziaria, gli interessi su tale debito dovessero crescere dell’1% (una specie di mezzo avvertimento sulla fine del QE).
Naturalmente, per la Commissione, il denominatore PIL, cioè la dinamica della crescita (e dell’occupazione) non risente mai del consolidamento fiscale e quindi le basta dire che occorre una correzione prudenziale, preventiva dello scenario più sfavorevole, di 2,8 punti di PIL.
Il che già dovrebbe portare all’indebolimento repentino della vocazione di Macron all’ortodossia nel rispetto delle regole dell’eurozona, visto che, invece, se rispettasse questa raccomandazione, dovrebbe dire addio sia alla crescita che alle centinaia e centinaia di migliaia di posti di lavoro che va in giro a promettere (…tranne che ai dipendentipubblicibrutti); anche se può sempre contare sul fatto che la golden share politica della Franza gli consente di fare un po’ come je pare…:
4. Invece, le retribuzioni reali sono costantemente cresciute scollandosi dalla ben più modesta crescita della produttività: una delle colpe più gravi nell’eurozona, secondo i ben noti enunciati della BCE (per la quale il Deflationary gap non esiste e, se proprio proprio, si corregge con tanti investimenti privati indotti da tanti bei tagli della spesa pubblica; c.d. crowding out che vedrete, infatti, richiamato dalla Commissione nelle raccomandazioni finali alla Francia, linkate in fondo):
5. E, nonostante ciò, il debito del settore privato, famiglie e imprese, è cresciuto constantemente dal 1998 (ma guarda un po’…), attestandosi attualmente al 144,3% del PIL: preoccupa la Commissione quello delle imprese industriali, di 7,5 punti sopra la media €uropea:
6. Insomma, i francesi “hanno vissuto al di sopra delle loro possibilità”, traducendo in soldoni quanto analizza e raccomanda la Commissione. Che, infatti, segnala la seguente situazione delle esportazioni francesi e anche i “consueti” problemini da risolvere: cioè, per la Francia, ma proprio per la Francia dai!, la Commissione si abbandona all’ammissione che la sua perdita di competitività nel periodo 1999-2008 è dovuta al contenimento del costo del lavoro nel resto dell’euro area “in particolare in Germania“:
7. Anche scontando il QE e il suo marcato effetto svalutativo, nonché l’orientamento francese all’esportazione prevalente fuori dell’area euro (al suo interno il discorso è invece opposto), infatti, non solo l’aumento del debito, pubblico e privato, indica che la Francia ha vissuto al di sopra delle sue possibilità, tanto che il saldo francese delle partite correnti rimane in deficit: la Commissione, nel suo report, prevede anzi, per i prossimi anni un significativo rischio di notevole peggioramento:
8. Intanto, nell’immediato, Macron deve raggiungere il pareggio strutturale di bilancio – ma, con comodo, entro il 2022, e sempre sapendo della sua golden share politica-, partendo da questa situazione che, certamente, (con grande sorpresa delle scientifiche conoscenze dell’ital-grancassa) non è stata estranea al mantenimento della crescita dopo la crisi del 2008. Parliamo di deficit pubblico e, a ben vedere la serie, è un vero spettacolo:
9. Dunque, Macron, o qualunque altro candidato €uro-ortodosso che uscirà dalle urne, avrà un solo possibile indirizzo politico: austerità fiscale e aumento della competitività mediante abbassamento del costo del lavoro. Un obiettivo da raggiungere sia attraverso il mantenimento di un’adeguata disoccupazione strutturale, sia, ancor meglio mediante la “grande trovata” dell’€uropa della pace e del benessere: cioè la diffusione inarrestabile della precarizzazione con la crescente creazione dei working poors.
D’altra parte, Macron l’ha detto più volte durante la sua campagna: le regole €uropee potranno essere cambiare solo da chi si sarà riveltato credibile, rispettandole scrupolosamente (a parte la golden share..beninteso: se no erano l’Italia).
Ed infatti, il programma di Macron, specialmente in tema di mercato del lavoro – sia pure abilmente frazionato in più voci apparentemente distinte, per renderle meno percepibili nel loro insieme agli elettori-, ricalca puntualmente le raccomandazioni della Commissione europea (v. schema alle pagg.55-58)!
Ecco, alla faccia di tutte le discussioni e i dibattiti, del tutto scenografici e cosmetici, che hanno simulato diversità “politiche” tra i vari candidati eurofili, l’indirizzo politico che seguirà la Francia, – a prescindere da qualsiasi risultato elettorale, che non sia, ovviamente, l’elezione di Marie Le Pen- è già fissato e lo ha precisato la Commissione UE. Punto.