di Cinzia Arruzza, da Novaramedia.com, traduzione a cura di Piero Maestri
Le organizzatrici della Marcia delle donne del 21 gennaio a Washington si aspettavano certo una grande partecipazione, ma che quasi 3 milioni di persone decidessero di scendere nelle strade in tutto il paese e in diverse città in giro per il mondo è andato ben oltre le loro più ottimistiche aspettative e ha rappresentato un serio imbarazzo per Donald Trump.
L’aspetto più notevole riguardo la Marcia delle donne è stata la grande presenza di persone senza esperienza politica né partecipazione a precedenti proteste.
Questo fatto da solo, al di là dei limiti politici che hanno caratterizzato l’appello della marcia e la sua rappresentazione pubblica sui media, sarebbe una ragione per essere ottimiste, così come un invito a pensare seriamente a come tenere alta la tensione e a come la mobilitazione delle donne possa rappresentare l’innesco per la nascita di un movimento di massa: affrontando non solo le aggressive politiche di destra dell’amministrazione Trump, ma anche più in generale gli effetti del neoliberismo e del razzismo istituzionale sulla vita di milioni di donne e della classe lavoratrice.
La composizione delle manifestazioni
Mentre la narrazione che ha accompagnato la Marcia è stata largamente monopolizzata da organizzazioni e portavoce di area liberal – come Planned Parenthood, il Natural Resources Defense Council, la American Civil Liberties Union, e il Sierra Club – e anche se all’inizio tra le principali organizzatrici si trovavano solo donne bianche, la reale composizione delle marce è stata molto variegata. Non si può spiegare il grande numero di partecipanti senza prendere in considerazione la complessità delle motivazioni e dei fattori che hanno portato queste persone a scendere in strada, così come la diversità tra le/i partecipanti.
Le marce certamente hanno attratto sostenitori e sostenitrici delusi di Hillary Clinton, ma hanno anche funzionato come catalizzatore per un più ampio dissenso e paura nei riguardi delle politiche apertamente sessiste e misogine di Trump – in particolare riguardo ai diritti riproduttivi – e per una generale opposizione alla sua islamofobia, al suo razzismo, alla sua posizione sul cambiamento climatico e al suo autoritarismo. Inoltre, hanno attratto anche organizzazioni e campagne attive su diverse questioni, che andavano dalla lotta per il salario minimo al cambiamento climatico, così come molti iscritti a sindacati.
Critiche alla Marcia delle donne
Nei giorni seguenti la Marcia, diverse critiche sono state sollevate nei suoi confronti, in particolare su tre aspetti. Il primo riguardava l’autorappresentazione delle manifestazioni come “pacifiche” e “garbate”, oscurando il fatto che non è la rispettabilità a poter spiegare l’assenza di arresti rispetto alle manifestazioni #DisruptJ20 del giorno precedente, quanto piuttosto la presenza maggioritaria di donne bianche, meno soggette alle violenze della polizia rispetto alle donne di colore.
La seconda questione era la narrazione liberal che accompagnava la Marcia, quasi esclusivamente indirizzata alla denuncia delle annunciate politiche reazionarie di Trump e poco attenta alle questioni di classe, nascondendo così il fatto che i diritti delle donne e le condizioni di vita, specialmente quelle di migranti e donne di colore, di donne lavoratrici e disoccupate così come di trans e donne queer sono sotto attacco da anni, inclusi gli anni dell’amministrazione Obama.
Una terza questione era più che altro espressione di un sentimento di risentimento nei confronti di chi è stata accusata di essersi sentita sufficientemente motivata a scendere in piazza a protestare contro Trump, ma non abbastanza per prendere parte alle manifestazioni di Black Lives Matter e alle loro proteste degli ultimi anni contro la brutalità della polizia contro le persone di colore.
Pur considerando tutti questi limiti e contraddizioni, sarebbe comunque un errore pensare che non esista una qualche correlazione tra la Marcia delle donne e le mobilitazioni degli anni recenti, da Occupy a Fight for Fifteen, da Black Lives Matter alla lotta contro la Dakota Access Pipeline. In realtà, se l’elezione di Trump ha innescato un salto quantitativo delle mobilitazioni, le differenti lotte di questi anni hanno avuto un ruolo chiave nel modificare la percezione popolare riguardo le proteste, la loro legittimità e la loro efficacia.
Anche se non c’è una perfetta continuità politica tra l’appello per la Marcia delle donne e queste mobilitazioni più radicali per la giustizia razziale e su base di classe, è difficile pensare che quasi 3 milioni di persone sarebbero scese in piazza senza il retroterra costruito dalle mobilitazioni sociali degli ultimi cinque anni in tutti gli Stati uniti.
Un tale cambiamento di scala inevitabilmente comporta una composizione delle proteste più eterogenea, sia a livello sociale che politico, e quindi limiti politici di vario genere, ma la grande partecipazione alla Marcia delle donne dovrebbe essere considerata come uno dei risultati della resistenza sociale di massa che è in corso da anni.
Verso lo sciopero delle donne dell’8 marzo
Un altro importante elemento di analisi per comprendere il potenziale creato dalla Marcia delle donne è l’ondata internazionale di lotte delle donne che hanno avuto luogo nei mesi scorsi in diversi paesi: le donne hanno organizzato scioperi e manifestazioni in Polonia, Argentina, Italia, Irlanda e in altri paesi. È troppo presto per dire se stiamo assistendo alla nascita di un nuovo movimento femminista, ma i segnali sono certamente promettenti.
Questo contesto dovrebbe essere centrale nella discussione su come proseguire l’iniziativa dopo la Marcia delle donne e le più recenti manifestazioni contro il bando ai musulmani di Trump. L’International Women’s Strike network ha fatto appello per uno sciopero l’8 marzo. Finora hanno aderito all’appello e stanno preparando l’iniziativa collettivi in Argentina, Australia, Bolivia, Brasile, Cile, Costa Rica, Repubblica Ceca, Ecuador, El Salvador, Guatemala, Honduras, Irlanda e Nord Irlanda, Israele, Italia, Messico, Nicaragua, Perù, Polonia, Russia, Scozia, Sud Corea, Svezia, Turchia e Uruguay.
Le differenti coalizioni impegnate in questa iniziativa stanno articolando le proprie piattaforme e richieste, in molti casi tenendo assieme l’opposizione alla violenza maschile e sessista contro donne e persone lgbt con contenuti quali il salario minimo, i diritti delle lavoratrici, la parità di salario a parità di lavoro, i servizi pubblici e di assistenza sociale, l’opposizione al razzismo e alla xenofobia e la difesa delle donne migranti, questioni ambientali e diritti riproduttivi.
Le forme di azione varieranno da paese a paese e includono manifestazioni, picchetti, boicottaggi, sciopero del sesso e azioni dirette. Inoltre in alcuni paesi, come in Italia, coalizioni di donne e sindacati di base stanno lavorando per creare le condizioni perché un’ondata di donne abbandoni il proprio posto di lavoro per scioperare.
Partecipare allo sciopero internazionale delle donne dell’8 marzo e creare ed espandere coalizioni per lo sciopero negli Stati Uniti non solo aiuterebbe a mantenere alta la tensione generata dalla Marcia delle donne, ma rappresenterebbe anche un passo in avanti per riformulare la mobilitazione in direzione di una solidarietà antimperialista e internazionalista, rafforzando la direzione e l’azione di minoranze razziali, migranti e donne trans, affermando la centralità della lotta contro il razzismo istituzionale e l’islamofobia, sostenendo l’opposizione allo smantellamento dell’assistenza sociale e dei diritti di lavoratrici e lavoratori. Contro Trump ma anche oltre Trump.