Ricordo di Luigi Mara: un uomo al servizio della classe

Luigi Mara

Un ricordo di Luigi Mara scritto da Marcello Palagi, responsabile del mensile TRENTADUE, di Massa.

Luigi Mara. Un uomo al servizio della classe

Non sono forse tanti quelli che si ricordano di Luigi Mara, ma a Massa Carrara gli dobbiamo moltissimo, perchè è stato il “tecnico” dell’Assemblea Permanente e del Comitato dei cittadini davanti alla Farmoplant, nella lotta per lo smantellamento di questa industria della morte e dell’Enichem, dopo la fuoruscita di una nube contenente diossine nel 1984. 

Luigi Mara, lavoratore Montedison, è in fabbrica che diventa un intellettuale, nel senso alto del termine, cioè di chi innova pensiero e visione del mondo ed è capace di utilizzarli concretamente per trasformarlo attraverso la lotta di classe. Le sue conoscenze, sterminate e sempre vertiginosamente in crescita, la consapevolezza della necessità di ribaltare il sapere, la scienza ufficiale e la formazione e la ricerca accademiche e universitarie, per collocarli entro la prospettiva della lotta di classe si erano formate in lui, assieme alla coscienza politico-sindacale, grazie all’esperienza diretta del lavoro e della sua distruttività in fabbrica e alla necessità di difendersi dallo sfruttamento e dalla disumanizzazione. Ma era ben presente in lui, sin dall’inizio, anche la consapevolezza che la stessa lotta di classe, esigeva, nella condizione specifica in cui lavorava – quella di una fabbrica chimica – rigorose conoscenze scientifiche per controllare, dominare, contrastare i cicli produttivi nemici della vita e della salute dei lavoratori e dei futuri consumatori delle loro produzioni. Chi lotta non può permettersi di fare errori, neanche su una formula di chimica, ma deve sempre spiazzare l’avversario, trovare risposte innovative, saperne sempre una più di lui, ma con un’angolazione diversa, che metta in evidenza che il sapere, la scienza e la tecnica, così come si presentano in fabbrica (ma anche fuori, nella scuola, nella sanità, ecc.) sono il sapere e la tecnica del padrone e per il padrone, non dei e per i lavoratori. E’ stata lunga, in quegli anni, la discussione, a sinistra, su questi temi, sulla valutazione delle nocività, sulla non neutralità di scienza e tecnica, sulla necessità di rovesciare i sistemi di formazione dei tecnici. Non per nulla, dopo un lungo periodo di gestazione, nacque Medicina Democratica con Maccacaro, organismo non di una casta, come era stata Magistratura Democratica, ma come strumento e organizzazione di classe, per la difesa e la promozione del diritto fondamentale di tutti, non disponibile e non monetizzabile, alla salute e all’ambiente salubre. Le grandi discussioni sui mac e l’affermazione del principio che per i cancerogeni il mac poteva essere solo zero diventarono temi diffusi e argomento di contrattazioni. Ma forse il momento più importante di questa stagione di lotte e conquista di coscienza di classe fu quando venne affermato il principio che era il gruppo omogeneo, in fabbrica, a individuare e definire, attraverso la socializzazione delle diverse conoscenze acquisite sulla propria pelle, durante le ore di lavoro, le nocività in termini oggettivi e prima e al di sopra dei saperi dei tecnici. Luigi ebbe una grande parte nell’affermazione di questo modo diverso, di classe appunto, di valutazione dell’ambiente di lavoro che divenne, allora, anche, motivo di lotte e di conquiste di diritti. Ma accanto alle elaborazioni teoriche, che condivideva con tanti (allora Medicina Democratica era un movimento di massa, a cui aderivano anche molti intellettuali e accademici, poi rifluiti, con grande velocità, nello loro riviste patinate e nelle loro carriere universitarie, quando l’onda lunga e alta del movimento andò calando), Luigi aveva una conoscenza materiale, diretta e globale della fabbrica e delle sue tecnologie, che in genere mancava agli scienziati e agli stessi tecnici o che avevano in modo settoriale. Mi ricordo che un responsabile di Medicina del lavoro di Carrara, una volta lo nominò suo tecnico e lo portò dentro la Farmoplant. A parte i tentativi della direzione della fabbrica di non farlo entrare, gli bastò fare un giro veloce per scoprire decine di valvole, tubi, pezzi meccanici, scarichi, e accantonamenti di materiali, fuori norma. Gli stessi tecnici della Montedison, rimasero sbalorditi e arrabbiati, perchè neanche loro si erano resi conto di quanto gli impianti fossero fuori legge. Ovvio che non ci fu una seconda ispezione da parte di Medicina del Lavoro con Luigi come tecnico. Furono escogitati cavilli di vario genere per non farlo più entrare e, poco dopo, anche il dirigente di Medicina del Lavoro che lo aveva nominato suo consulente, dovette abbandonare il suo posto. Credo che questa complessità delle competenze, politiche, sindacali, e tecnico-scientifiche fosse una caratteristica quasi unica di Luigi. Il suo sapere non era mai astratto e mai semplicemente tecnico. Non era un tecnico al servizio della classe operaia, ma un lavoratore che si era impadronito della tecnica (anche a livello accademico), di tante tecniche e le utilizzava per la classe operaia contro la fabbrica capitalistica. Parlando di tecnica, di un impianto, di una valvola, di una reazione chimica, di un processo produttivo ne svelava il peso politico, economico, ambientale, sanitario, sindacale e legislativo giudiziario. Per quanto sia stato legato a Maccacaro e alla nascita di Medicina Democratica, i miei rapporti diretti con Luigi risalgono, se non ricordo male la data, al 1979, quando partecipò, a Massa, a un dibattito sulla Farmoplant, invitato da Augusto Puccetti. Lui portava l’esperienza di Scarlino e la produzione dei “fanghi rossi”. Il gruppo di Castellanza aveva studiato e proposto un processo produttivo nuovo che avrebbe permesso la produzione di biossido di titanio, senza l’enorme quantità di rifiuti tossico-nocivi dei fanghi rossi da smaltire in mare o nelle paludi intorno alla fabbrica e presentava l’innovazione tecnologica e il controllo dal basso, come possibile metodo da seguire anche nella lotta contro la Farmoplant. Noi, come movimento contro la Farmoplant, invece proponevamo la chiusura della fabbrica, perchè come gruppo omogeneo, costituito dalla popolazione esposta ai veleni della fabbrica, avevamo socializzato le nostre conoscenze ed esperienze in merito ed eravamo giunti alla conclusione che la fabbrica andava chiusa, perchè del tutto inaffidabile e incompatibile con la salute della gente, incontrollata e incontrollabile da parte delle istituzioni e dei lavoratori e perchè i suoi prodotti (fitofarmaci, pesticidi, concimi chimici) erano tossiconocivi, anche per chi li avrebbe utilizzati nelle coltivazioni e per chi avrebbe consumato i prodotti così trattati. Mi ricordo che allora non riuscimmo ad elaborare un punto di vista comune. Cosa che invece avvenne poco dopo, quando venne riconosciuto il nostro punto di vista, che la popolazione esposta costituiva di fatto un grande gruppo omogeneo la cui soggettività socializzata aveva lo stesso valore scientifico e tecnico dei gruppi omogenei operai in fabbrica. Luigi fu un convinto e tenace difensore di questa tesi e, avendo sposato le nostre lotte contro la Montedison di Massa e più tardi, anche contro l’Enichem di Avenza, quando veniva da noi, sempre aveva lunghi e per lui divertenti, incontri con la gente del movimento. Divertenti, perchè lui così rigoroso e programmatore, ci trovava molto caotici e disorganizzati, ma apprezzava anche il fatto, che, alla fine, le iniziative, sia pure in quello che considerava un caos, arrivassero a buon fine. Nel 1989, a un anno esatto dall’esplosione dell’impianto del Rogor che aveva, finalmente, determinato la chiusura definitiva dello stabilimento, anche se restava motivo di scontro con le istituzioni e la dirigenza della fabbrica il problema dei metodi di bonifica, Luigi ci propose e di fatto programmò una serie di iniziative (durarono tre giorni) davanti allo stabilimento e al comune di Massa. Fu un momento di grande impegno e mobilitazione politica, ideologica e culturale, che certamente, noi non avremmo neanche immaginato. Facemmo un concerto jazz con Liguori e tanto di pianoforte a coda davanti ai cancelli della Farmoplant, venne Trincale che aveva anche scritto e musicato una canzone sulle vicende dalla Farmoplant, vennero Franco Fortini, Lidia Menapace, Sergio Bologna, Padre Ernesto Balducci, Giulio Stocchi, i rappresentanti dei Portuali di Genova, Gianni Tamino, Valentino Parlato, e tanti altri. Ma avevamo già anche organizzato, grazie sempre alle sue conoscenze e contatti e alla sua capacità organizzativa, due convegni sul tema della democrazia e della sovranità popolare, con la partecipazione non solo e tanto di studiosi e intellettuali, ma di un gran numero di consigli di fabbrica e di rappresentanti di movimenti provenienti da tutta Italia e dall’estero: dagli scoibentatori dell’amianto di Santa Maria Capo Vetere, ai rappresentanti del consiglio di fabbrica del Petrolchimico di Marghera e dell’Enichem di Manfredonia, da Bortolozzo, operaio del Petrolchimico e primo obbiettore di coscienza contro la produzione del CVM, a Bertinotti allora segretario generale della Cgil. Nel 1987, dopo la vittoria al referendum popolare che si era pronunciato, a stragrande maggioranza, per la chiusura della Farmoplant e del suo inceneritore, avevamo anche proposto, grazie sempre a Luigi, un progetto di alternativa alla fabbrica, nella chimica, per salvare quei posti di lavoro. Ma istituzioni e aziende non trattavano col movimento e persero un’occasione d’oro, visto che il progetto era finanziabile all’80 % a fondo perduto dall’Europa, che invece aveva mostrato apprezzamento per la proposta. E dopo l’effettiva chiusura dello stabilimento, a seguito dell’ennesimo grave incidente, nell’88 presentammo, sempre elaborato da Luigi, un piano originale di bonifica della Farmoplant, che escludeva l’uso dell’incenerimento. Naturalmente neanche questa volta si volle da parte delle istituzioni imboccare questa strada innovativa che avrebbe potuto aprire nuove prospettive di lavoro. Ne resta testimonianza e dimostrazione nel volume di Luigi, “Oltre lo spreco”, pubblicato da noi, assieme a un secondo volume, sempre curato da Luigi, “Da Bhopal alla Farmoplant” sulle sessioni del tribunale Russel – Tribunale dei popoli, dedicate alla tragedia di Bhopal e alle vicende della Farmoplant. I soldi con cui li abbiamo pagati sono venuti dalla nostra costituzione civile nel processo contro la Montedison, avvenuta per la decisiva insistenza proprio di Luigi. Penso che l’esperienza di Massa Carrara, a contatto con un movimento popolare di massa, sia stata per noi, ma anche per lui, decisiva e entusiasmante. Luigi ci ha insegnato tanto; senza il suo contributo anche tecnico le nostre lotte sarebbero state meno incisive e più lunghe, ma non voglio sminuire neanche il ruolo del movimento che, nel suo caos apparente, ha saputo anche comunicare a Luigi le sue conoscenze, la sua fiducia, la sua forza, la sua costanza e determinazione. Nella prefazione a “Oltre lo spreco”, si introduce, ricorrendo a Brecht, un parallelo tra Laotzé e Luigi, i saggi che per comunicare il loro impegno e il loro sapere hanno saputo cedere alle insistenze del popolo che li ha convinti, con richieste pressanti a cui era difficile dire di no, ed esprimersi ed appoggiare le sue lotte. Penso, da come ne ha sempre parlato con affetto e amicizia, che Luigi abbia considerato l’esperienza con l’Assemblea Permanente di Massa Carrara, cruciale e formativa anche per lui. Anche i suoi interventi didattici nelle scuole tecniche e la sua attività editoriale sono stati sistematici. I suoi studi e i documenti di lotta per i numerosissimi comitati che in ogni parte d’Italia si sono rivolti a lui e il rilancio della Rivista “Medicina Democratica”, indicano la vastità dei suoi interessi. Proprio la rivista, che è stata diretta da lui dal numero 75 del ‘95 fino ad oggi, per oltre venti anni, ne è una testimonianza importante. Basterebbe consultare la rubrica “Sestante”, da lui redatta, che regolarmente appariva su ogni numero, per avere il senso della quantità di temi di cui si occupava con rigore e competenza: chimica, biologia, assistenza sanitaria, ospedali, ambiente di lavoro, diritto al lavoro, questioni sindacali, razzismo, minoranze, povertà, emarginazione, handicap, pace, internazionalismo, scuola, formazione dei tecnici, pensioni, sanità ecc. Ma l’elenco sarebbe molto più lungo. Da tutte queste intense attività, e dalle altre di cui qui non si è parlato, senza riposo, sistematiche e diffuse, Luigi però non ha avuto né voleva avere nessun tornaconto, neanche in termini di riconoscimento, visibilità mediatica e successo personale. Lavorava, seminava, produceva e diffondeva idee e modi nuovi e antagonisti di guardare e di affrontare la realtà, si immedesimava con chi doveva lottare, e si metteva in sintonia con ogni situazione, con grande sensibilità, passione, con umiltà, perchè nella lotta di classe, che mai ha perso di vista, neanche in tempi cosiddetti post ideologici, quello che effettivamente conta e incide è il collettivo. Anche questa è stata una sua grande lezione di umanità.