Sul reddito di base incondizionato, recentemente bocciato nel referendum svizzero

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Pubblichiamo il commento di Antonio Moscato all’intervista al prof. Alaluf su reddito di base. Una sola puntualizzazione: anche la riduzione dell’orario a parità di salario, l’altra grande alternativa al reddito di base, si può imporre solo con “la forza della classe operaia” (o lavoratrice, diciamo).

Riprendo dal sito A l’encontre un’intervista al prof. Alaluf che affronta il problema del reddito di base, o di cittadinanza, in modo interessante, anche se un po’ condizionato dal dibattito svizzero. In Italia o in Spagna non si può ad esempio dire tout court che “il RBI è sostenuto innanzitutto dagli ambienti di destra”, dato che con un nome o con l’altro qualcosa di simile fa parte delle proposte di settori operaisti, è stato discusso seriamente su Micromega ed è il primo punto del programma di governo del M5S, che ha già presentato un articolato disegno di legge (http://www.beppegrillo.it/marcia_perugia_assisi/disegno-di-legge.html). Ma la sostanza della critica del prof. Alaluf rimane: come si pagherebbe questo “tranquillante sociale”, se non prelevando direttamente o indirettamente il necessario dai lavoratori, che sono i principali contribuenti in tutti i paesi europei? E se si tentasse di finanziarlo colpendo i redditi alti, con quale forza si potrebbe imporre questa soluzione? La forza della classe operaia? E perché dovrebbe essere usata per istituire una specie di elemosina, anziché essere concentrata sulla redistribuzione tra tutti del lavoro esistente? Già negli anni Settanta e Ottanta Ernest Mandel sosteneva che gli enormi aumenti della produttività degli ultimi decenni ponevano il problema della riduzione d’orario anche a 4 ore al giorno.(a.m.)

G. Z.I sostenitori del RBI lo presentano come strumento per sradicare la povertà, ma anche per liberare i salariati….

M. A. – Io penso che si tratti del contrario. Il progetto di reddito di base incondizionato proposto in votazione [al recente referendum svizzero, che lo ha respinto lo scorso 6 giugno- NdT] non ne precisa l’ammontare né la forma di finanziamento, che sono pur sempre elementi essenziali. In effetti, l’ammontare del RBI non potrà mai equivalere a quello che esiste già come assistenza sociale o come minimo salariale. Semplicemente perché da qualche parte il valore occorre crearlo. Non è possibile spremere senza limiti il settore produttivo.

Quale sarà la conseguenza del basso livello di questo reddito di base? Alcuni potranno vantaggiosamente approdare a qualche posto ben remunerato, ma una parte della popolazione verrà condannata alla precarietà, ad andare a caccia di qualche lavoretto mal pagato e con cattive condizioni lavorative.

G. Z.La massiccia disoccupazione e la robotizzazione in corso non impongono un reddito di base sganciato dal lavoro?

M. A. – Credo che il discorso sulla fine della centralità del lavoro e del lavoro salariato sia un mito. Nel corso degli ultimi cento anni, i progressi in fatto di produttività hanno raggiunto il massimo livello storico. Parallelamente, non ha cessato di aumentare il tasso d’occupazione. Il progresso tecnologico ha sempre soppresso posti di lavoro, ma creandone altri. Si dimentica che “i Trenta gloriosi” [il trentennio successivo alla seconda Guerra mondiale] sono stati un periodo di rilevante sottoccupazione femminile! Negli ultimi cinquant’anni, il lavoro (salariato) delle donne ha fatto un balzo in avanti, comportando il costante aumento della popolazione attiva e dei posti di lavoro.

Il vero problema è che oggi il lavoro si sviluppa, ma i diritti sociali ad esso connessi attraverso l’occupazione arretrano. Ora, il RBI non risponde a questo problema. Al contrario, prefigura una società in cui coloro che non lavoreranno nel settore produttivo ma beneficeranno del RBI saranno stigmatizzati e costretti ad avere per le mani lavoretti precari, senza alcun diritto. È il modello Uber di società. Non è un caso se, in tutta l’Europa, il RBI è sostenuto innanzitutto dagli ambienti di destra.

G. Z.Secondo i sostenitori del reddito universale, il RBI sarebbe anche la soluzione per la cosiddetta “crisi” dell’assistenza e previdenza sociali…

M. A. – Si tratta della riprese dell’argomentazione neoliberista che funge da supporto della controrivoluzione in atto su scala mondiale, il cui principale obiettivo è quello di distruggere i diritti sociali. Va ricordato che i sistemi di protezione sociale sono stati acquisiti attraverso grandi lotte da parte del movimento operaio. Essi hanno appunto permesso di generalizzare un certo numero di diritti connessi all’occupazione, estendendoli a sfere di non-lavoro: la pensione, la disoccupazione, la malattia, i congedi sabbatici, ecc. In questa funzione, costituiscono uno strumento di redistribuzione delle ricchezze.

Cristopher Ramaux, un economista francese, ha dimostrato come il dispositivo dello Stato sociale (welfare) in senso lato (protezione sociale, servizi pubblici di istruzione e sanità, trasporti, ecc.) contribuisca in maggior misura a ridurre le disuguaglianze che non l’imposta sul reddito. Grazie allo Stato sociale, oltre la metà del PIL dei principali paesi europei sfugge oggi ai meccanismi del mercato. Per gli ambienti padronali è inaccettabile. Il loro obiettivo, viceversa, è quello di subordinare al mercato l’insieme della società. Aggredendo i diritti sociali, il RBI va nel senso voluto da loro. Rischia di uccidere le conquiste dello Stato sociale, di cui oggi c’è più bisogno che mai.

G. Z.Come replica a quanti hanno votato SI al RBI, convinti che si tratti di un passo avanti verso una società più equa?

M. A. – In primo luogo, il RBI è emerso da una visione liberista della società. Ciascuno riceve una somma uguale e, a partire da questo, ciascuno è responsabile della propria sorte. Alcuni ne usciranno bene; altri meno, peggio per loro. In questa concezione, il singolo individuo è preminente rispetto alla società. Io sono fautore di un’idea diversa, che è sfociata nella costruzione dello Stato sociale: l’idea che le persone abbiano diritti e che, per garantirli, occorrano meccanismi redistributivi delle ricchezze che possano permettere di ridurre al massimo le disuguaglianze.

Secondo argomento: non si vive sulla Luna. Crede davvero che, se si accettasse il RBI, il Consiglio federale ne fisserebbe l’ammontare a 2.500 franchi (svizzeri) [come promesso in campagna elettorale]? E che non compenserebbe questo reddito operando tagli in altre prestazioni sociali, mentre la popolazione subisce da vent’anni l’offensiva neoliberista? Porre la domanda equivale già a dare la risposta.

Per garantire i diritti di tutte e tutti servirebbero altre lotte. Innanzitutto, occorrerebbe difendere la protezione sociale e resistere allo smantellamento sociale. Oggi, è questa la sfida principale. Un’ulteriore rivendicazione centrale è quella della riduzione collettiva dell’orario di lavoro per godere della vita; tutte e tutti devono lavorare, ma per meno tempo. Occorre anche rivendicare la ripresa degli investimenti pubblici e la suddivisione delle ricchezze.

* Guy Zurkinden: responsabile del giornale svizzero Services publics (sul cui n. 9 è stata pubblicata l’intervista); Mateo Alaluf: prof. onorario della Libera Università di Bruxelles, autore del libro: L’allocation universelle. Nouveau label de precarieté [Il sussidio generalizzato. Nuova etichetta di precarietà]