25 novembre: giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Ma mancano i fondi

Oggi, 25 novembre, è la Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, le ragazze e le bambine indetta dall’Onu. La prevenzione deve essere l’obiettivo cui guardare a livello legislativo ed operativo. La violenza maschile contro le donne può essere impedita e disinnescata agendo su molteplici piani e sulle ragioni politiche e culturali che la causano, mobilitando le comunità, trasformando le norme sociali, formando le forze dell’ordine, il personale sanitario, la magistratura e il personale scolastico, educando i bambini e i giovani, rimuovendo gli ostacoli all’occupazione femminile, promuovendo la loro autonomia e la loro libertà. In Italia siamo molto lontani dal realizzare un piano di interventi integrati.

Pubblichiamo due contributi, a cura di D.i.Re (Donne in Rete contro la Violenza) e della Case delle Donne Maltrattate, che denunciano rispettivamente il Piano del governo Renzi che snatura e depotenzia i centri antiviolenza gestiti dalle donne per le donne e il Piano Antiviolenza di Regione Lombardia, che non ha fatto pervenire le risorse della legge 119/2013 (2.7 milioni di euro) per sostenere i Centri Antiviolenza.

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D.i.Re (Donne in Rete contro la Violenza) denuncia la situazione drammatica dei Centri Antiviolenza, che soffocano per mancanza di fondi, previsti dalla legge nazionale e trasferiti agli Enti locali ma poi nella maggior parte dei casi dispersi nel nulla o bloccati.

Il Governo Renzi ha appena perso l’occasione storica di combattere con azioni specifiche, coordinate ed efficaci la violenza maschile contro le donne e ha varato un Piano che non affronta le esigenze tassative poste dalla Convenzione di Istanbul per proteggere, prevenire e punire la violenza.

Il ruolo dei Centri Antiviolenza risulta depotenziato in tutte le azioni del Piano e i Centri vengono considerati alla stregua di qualsiasi altro soggetto del privato sociale senza alcun ruolo se non quello di meri esecutori di un servizio. Il Piano rischia di vanificare il funzionamento delle reti territoriali esistenti, indispensabili per una adeguata protezione e sostegno alle donne.

Eppure, nonostante la responsabilità politica di chi dovrebbe predisporre un adeguato quadro legislativo integrato, adeguatamente finanziato, i Centri svolgono un incessante lavoro di sensibilizzazione e informazione, e soprattutto di prevenzione con azioni educative e di formazione, quasi esclusivamente senza l’appoggio né l’adeguato riconoscimento del Governo nazionale, né dei Governi locali.

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La Rete Regionale Lombarda delle Case delle Donne e dei Centri Antiviolenza contesta il Piano Regionale Antiviolenza e chiede di ricevere i fondi stanziati dal Governo con la legge 119/2013

La legge 119/2013 (la cosiddetta legge contro il femminicidio) ha stanziato – per gli anni 2013/14 – 17 milioni di euro per il contrasto alla violenza contro le donne, affidando alle singole Regioni i finanziamenti, in ragione dei Centri Antiviolenza e delle Case rifugio presenti sul territorio.

Alla Regione Lombardia sono stati affidati 2.7 milioni di euro anche grazie alla presenza sul suo territorio di 16 Centri Antiviolenza D.i.Re. e di 10 Case Rifugio che per poter continuare a lavorare a favore delle donne che subiscono violenza hanno la concreta necessità di ricevere questi fondi. Questo è ancor più vero in un momento socio-economico che vede ridursi le disponibilità degli enti pubblici e, forse ancor di più, il sostegno da parte dei privati.

Nel corso del 2014, i Centri Antiviolenza e le Case delle Donne della Lombardia hanno accolto, ospitato e accompagnato verso una vita autonoma e libera oltre 3.500 donne.

Questo numero rende evidente quanto sia importante che i fondi arrivino ai destinatari.

Quindi, le Associazioni e le Cooperative di donne che sottoscrivono questo comunicato chiedono a Regione Lombardia dove sono finite le risorse della legge 119/2013 per sostenere i Centri Antiviolenza che lavorano ogni giorno con le donne, per il loro vantaggio e per sottrarle dal pericolo di vita.

Inoltre, tutte le componenti della Rete Regionale Lombarda ritengono che il Piano Regionale Antiviolenza, recentemente approvato dalla Regione Lombardia come previsto dalla legge regionale 11/2012, porti ad una omogenizzazione delle procedure con una messa a sistema del modello di accesso, accoglienza, valutazione del rischio, presa in carico e protezione della donna, che consideriamo dannoso per le donne. Quello che a prima vista può sembrare un passo positivo per il contrasto alla violenza, in realtà rischia di diventare un boomerang contro le donne e la loro sicurezza.

Infatti, l’eccessiva schematizzazione toglie alle donne la libertà di affrontare questo percorso, già impervio e spesso pericoloso, secondo i loro tempi e desideri. Si corre quindi il rischio di allontanare una parte delle donne che cercano una via d’uscita dalla violenza.

Crediamo che le donne che si rivolgono ai Centri antiviolenza costituiti da donne in associazioni di volontariato e cooperative, debbano essere:

libere di scegliere come uscire dalla violenza;
libere dalla necessità della denuncia;
libere di mantenere l’anonimato e la segretezza sinora garantiti;
al centro della nostra azione di sostegno al loro percorso, secondo il loro desiderio e nel rispetto della loro volontà.

Con questo comunicato vogliamo affermare la nostra autonomia, per garantire alle donne la libertà di scelta sulle loro vite che il Piano Regionale Antiviolenza mette a serio rischio.

MECCANISMI DELLA VIOLENZA

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La violenza più diffusa, al contrario di quanto si pensa, è quella che avviene all’interno delle mura domestiche, ovvero in ambito familiare. La violenza domestica consiste in una serie continua di azioni diverse ma caratterizzate da uno scopo comune: il dominio e controllo da parte di un partner sull’altro, attraverso violenze psicologiche, fisiche, economiche, sessuali.

Il meccanismo che meglio definisce le fasi di una condizione di violenza domestica subita da una donna viene chiamato “spirale della violenza” o “ciclo della violenza” ad indicare le modalità attraverso cui l’uomo violento raggiunge il suo scopo di sottomissione della partner facendola sentire incapace, debole, impotente, totalmente dipendente da lui. Le fasi della spirale della violenza possono presentarsi in un crescendo e poi “mescolarsi”. Isolamento, intimidazioni, minacce, ricatto dei figli, aggressioni fisiche e sessuali si avvicendano spesso con una fase di relativa calma, di false riappacificazioni, con l’obiettivo di confondere la donna e indebolirla ulteriormente.