Diventa mamma e viene licenziata. Giovane catanzarese vince contro Mediaworld

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Una sentenza importante, che annulla il licenziamento discriminatorio di una giovane madre. Da www.weboggi.it.

Diventa mamma e viene licenziata. Inizia nel 2009 la storia di Pamela M., giovane catanzarese assunta alle dipendenze della società Mediamarket spa il 9.3.2009, presso il punto vendita della catena “Mediaworld” ubicato all’interno del parco commerciale Le Fontane, con contratto di apprendistato professionalizzante della durata di 48 mesi per l’acquisizione della qualifica di impiegata addetta alle operazioni ausiliarie alla vendita e con orario di lavoro part time pari a 24 ore settimanali. La donna dal 14.3.3012 al 5.1.2013, non ha potuto lavorare prima a causa di gravidanza a rischio, poi per astensione obbligatoria per maternità, sicché il contratto di apprendistato rimaneva sospeso e prorogato di dieci mesi dalla scadenza naturale dell’8.3.2013 all’8.1.2014. Con nota del 18.11.2013, consegnatale a mani il 17.12.2013, la società le comunicava la propria intenzione di recedere dal contratto il 5.1.2014, ossia al termine della formazione. La ragione che ne ha determinato il licenziamento è stata proprio la maternità e a confermarlo è arrivata la sentenza di secondo grado che condanna la società e conferma la sentenza di primo grado. “Il recesso è nullo, si legge nella sentenza, perché discriminatorio ai sensi e per gli effetti degli art. 25 ss d. l.vo 198/06, perché dettato esclusivamente dalla sua maternità; la donna fin dalla lettura della nota del 18.11.2013 ha iniziato a soffrire di forti crisi di ansia e depressive, che hanno richiesto un intervento specialistico presso il Centro di Salute mentale di Catanzaro e una cura farmacologica; che, in particolare, il suo stato psicologico è stato determinato dalla consapevolezza di non avere saputo programmare in maniera “furba” la sua gravidanza, ossia in epoca successiva alla sua assunzione, e, al contempo, dal fatto che l’evento più bello della propria vita è stato la causa della perdita di quel posto di lavoro che poteva garantirle la necessaria serenità e tranquillità, anche dal punto di vista economico, per affrontare la maternità”. A pesare sulla sentenza c’è anche il comportamento del suo caporeparto che le ha contestato i permessi per l’allattamento. La società è stata condannata al pagamento delle spese di giudizio.