Nessuna pace senza giustizia: unire le lotte contro la guerra e la precarietà

A distanza di qualche settimana dagli straordinari scioperi generali e sociali del 22 settembre e del 3 ottobre e dalla moltitudinaria manifestazione nazionale del 4 ottobre, sentiamo il dovere di tornare a riflettere sugli sviluppi del movimento di solidarietà per la Palestina. Un movimento inedito per la sua estensione, per la polifonica composizione sociale delle mobilitazioni, per la radicalità delle pratiche.

La lotta contro il genocidio e le tremende violenze della guerra subita dal popolo palestinese ha squarciato il velo dietro cui sono coperte anche le ingiustizie che dominano la quotidianità delle nostre vite. “Volevamo liberare la Palestina, la Palestina ha liberato noi” è uno dei claim che più ha circolato nelle piazze e sui social. Il sostegno alla liberazione della Palestina è diventato l’orizzonte di una lotta più generale, che riflette da vicino, in Europa e in Italia, le nostre condizioni di lavoro e di vita.

Sono trascorsi meno di venti giorni dalla firma di questa incerta e tanto discussa tregua ma siamo convinti che in Palestina non ci sarà nessuna pace fino a quando non cesserà completamente l’occupazione israeliana e non si supererà definitivamente il dominio coloniale a cui è costretta l’intera popolazione palestinese.

In questi giorni il Parlamento ha avviato la discussione sulla legge di bilancio. La rigida e preoccupante adesione del governo Meloni alla linea del “rigore di bilancio” – per giunta incautamente rivendicata come un successo da diversi esponenti della maggioranza – non è solo il risultato delle nuove regole, più stringenti, del Patto di Stabilità. Si tratta, di fatto, di una soluzione volta ad assicurare gli spazi finanziari necessari al piano di riarmo, che perdurerà per più leggi di bilancio al fine di arrivare entro il 2035 a raggiungere il target Nato del 5% della spesa per gli armamenti. Soltanto nei prossimi tre anni, infatti, stante il quadro delineato dal governo, le spese per la difesa aumenteranno di oltre 22 miliardi. Allo stesso tempo, anche per il 2026, il governo continuerà a indebolire il sistema sanitario nazionale, già sull’orlo di una pericolosa crisi strutturale che rischia di diventare irreversibile, così come continuerà a disinvestire sugli altri comparti del welfare pubblico.

La manovra non offre nessuna prospettiva per il miglioramento delle condizioni di povertà, in un contesto in cui i tassi di povertà continuano a crescere senza sosta. Le politiche fiscali contenute nella bozza del governo, oltre a non avere nessuna chance di ridurre la povertà lavorativa, sembrano al contrario avere la volontà di frammentare ulteriormente il sistema fiscale, aumentando le disparità interne tra i segmenti sociali e indebolendo la già fragile progressività del sistema tributario. Complessivamente la proposta del governo, difatti, non prevede nessun intervento efficace all’altezza della grave stagnazione salariale, né tanto meno misure rivolte a ridurre la precarietà del mercato del lavoro.

Questo quadro ci impone la necessità di una mobilitazione inclusiva che tenga conto di tutte le sensibilità sociali, sindacali e politiche che si sono espresse nelle ultime settimane, allo scopo di favorire la più ampia convergenza contro l’economia di guerra e l’economia del genocidio in Palestina, che ora si prepara a fatturare miliardi con la ricostruzione. Ancora di più, siamo convinti che serva costruire collettivamente un’unica giornata di sciopero generale e sociale capace di incidere sulla «manovra di guerra» del governo Meloni.

È questo l’orizzonte dentro cui in questi giorni lavoreremo, per evitare frammentazioni, derive identitarie e competizioni tra organizzazioni sindacali, collocandoci all’altezza delle potenti manifestazioni che stanno esplodendo a livello globale, dagli USA al Regno Unito, dall’Argentina al Marocco.

In fondo la potenza e la straordinaria energia espressa nelle piazze di questi giorni equivalgono alla richiesta di un nuovo metodo di costruzione delle relazioni sociali e sindacali, che eviti le «fughe in avanti» di alcuni e «l’attendismo sterile» di altri, che sappia assumere con responsabilità la semplicità del portato simbolico e concreto del “blocchiamo tutto”. Per questo non abbiamo intenzione di tornare indietro dalla lezione di queste settimane. Scegliamo di camminare a fianco delle reti sociali che si sono mobilitate in questi mesi per far crescere questo movimento. Si tratta per noi dell’unica strada possibile da seguire.

Facciamo come il 3 ottobre, un unico sciopero comune con manifestazioni unitarie. 

CLAP – Camere del Lavoro Autonomo e Precario

Confederazione Cobas

ADL Cobas

Sial Cobas