Nuova udienza a Milano per le vittime del Pio Albergo Trivulzio. A quasi cinque anni dallo scoppio della pandemia Covid-19 il fascicolo è ancora aperto. Per il direttore generale Giuseppe Calicchio l’accusa è di epidemia e omicidio colposi, oltre alla violazione delle norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
Mercoledì 18 dicembre nell’aula bunker davanti al carcere San Vittore è stata discussa la maxi perizia depositata a settembre. Nel corso dell’udienza, fissata dalla gip Marta Pollicino, sono stati auditi i periti. A giugno 2022 la gip Alessandra Cecchelli aveva disposto nuove indagini respingendo la richiesta di archiviazione formulata dai pm del pool guidato dall’aggiunta Tiziana Siciliano nei confronti del dg e della struttura.
A ottobre 2021 la procura, dopo aver acquisito la perizia dei consulenti, aveva infatti chiesto di archiviare il procedimento ritenendo che “all’esito delle indagini preliminari, non siano stati acquisiti elementi idonei a sostenere l’accusa in giudizio, né che il quadro probatorio raccolto possa essere ancora utilmente sviluppato”. Una perizia “non propriamente assolutoria”, sottolinea Claudio Mendicino del Sial Cobas, già dirigente Ats Milano, oggi membro del collegio dei periti dell’Associazione Felicita, che rappresenta i familiari degli anziani. Tanto che, in disaccordo, nel giugno successivo la gip Cecchelli aveva rigettato la richiesta: la perizia prodotta alla Procura, citando testualmente, “documenta presso il PAT un chiaro eccesso di mortalità (con stime intorno ad un raddoppiamento del rischio)… Fatti, dunque, dicono i CTU, non suggestive circostanze come poi affermato dal PM nella richiesta di archiviazione”.
I periti, nominati nel corso dell’incidente probatorio del 6 marzo 2023 dalla gip Pollicino, hanno approfondito cinque punti: uno, individuare l’incidenza, tra popolazione lavorativa e ospiti, della positività a SARS-CoV2; due, indicare la normativa, primaria e secondaria, adottata dalle autorità competenti; tre, verificare, all’interno del PAT, l’adozione delle misure cautelari, generiche e specifiche, in conformità alla normativa di cui sopra; quattro, verificare l’adozione di dispositivi di protezione, di adeguata informazione e formazione, e di ulteriori congrue procedure di contenimento del contagio; cinque, accertare l’eventuale eccesso di mortalità. Il tutto riferito al periodo che va dall’1 febbraio 2020 al 31 dicembre dello stesso anno.
Una mole di documentazione talmente enorme da rendere necessario un nuovo calendario. “Stante le conseguenti difficoltà operative, i periti del gip hanno dovuto più volte posticipare tale evento, fino ad arrivare alla consegna della CTU solo nel Settembre 2024, così da consentire ai consulenti dei parenti delle vittime, di esporre le proprie osservazioni entro la scadenza prevista del 10 dicembre e di permetterne l’acquisizione”, precisa Mendicino. I periti hanno illustrato la consulenza, “abbondantemente in grado di confermare (anzi, di aggravare) le tesi dell’accusa: carente formazione, assenza di dispositivi di protezione, mancanza di procedure idonee di vestizione e svestizione, deficiente separazione dei percorsi pulito/sporco; in sostanza, gravi inadempienze ed omissioni nelle misure di riduzione dei contagi”. Carenze che, secondo i tecnici, avrebbero inciso sulla propagazione del virus nei reparti.
I tempi non sono però destinati ad accorciarsi. I periti della difesa del PAT, che non avevano provveduto a depositare le proprie osservazioni entro il 10 dicembre, le hanno consegnate, brevi manu, nel corso dell’udienza di mercoledì, creando le condizioni per un lungo rinvio: conterrebbero tesi e documenti fino ad ora non agli atti dei periti del Tribunale, ai quali toccherà l’acquisizione e il vaglio.
Oggi di quei mesi restano i numeri, spaventosi: 485 morti tra gennaio e dicembre 2020 all’interno della “Baggina”. L’originaria iscrizione nel registro dei procedimenti risale ad aprile dello stesso anno, in piena epidemia: da una parte gli indagati, dall’altra i parenti delle vittime. Ma non è ancora tempo di giustizia per i famigliari degli anziani morti nella Rsa meneghina.
Si tornerà in aula il 31 marzo 2025. Data che potrebbe, finalmente, rappresentare una svolta: le parti esporranno le proprie tesi e il GUP deciderà sul rinvio a giudizio o meno dell’indagato, riaffidando, nel primo caso, l’incarico alla procura che stabilirà se richiedere l’archiviazione per, come in passato, assenza di “nesso causale” tra decessi nella Rsa e condotte dei vertici della struttura.