Tangping e bronza coverta: la talpa scava! Riflessioni sull’uccisione del sindacalista Adil e sugli scioperi nella logistica

di Gianni Giovannelli, da Effimera.org del 30 giugno 2021

Di recente si è sviluppato in Cina un singolare movimento di protesta, chiamato in mandarino Tangping. Difficile da tradurre: più o meno descrive la posizione di chi se ne sta comodamente (o pigramente) sdraiato. Si tratta di una aperta ribellione contro l’ideologia della produttività, della società fondata sulla competizione ad ogni costo; è una nuova espressione (aggiornata) di quel fenomeno che l’operaismo italiano aveva chiamato rifiuto del lavoro. Il primo manifesto del Tangping  è comparso quasi in sordina sulla piattaforma Baidu Tieba (300 milioni di utenti mensili, un miliardo e mezzo di contatti), ottenendo subito un successo enorme; affermava l’estensore che in mancanza di un programma capace di liberare la soggettività in Cina era necessario costruirlo e sdraiarmi mi sembra la mossa più saggia.  Contro le regole, contro la realtà di un’esistenza interamente piegata ad ogni esigenza produttiva del sistema, e apertamente contro il denaro (inteso come misura della felicità e unica via di emancipazione) i giovani ribelli hanno annunciato una sorta di crociata diretta a demolire il mito della produttività; non intendono essere schechu (all’incirca: bestiame aziendale) e pertanto si sono comodamente sdraiati lunghi distesi.

La formidabile immediata diffusione e condivisione di un simile programma (di aperto rifiuto del lavoro) ha ovviamente preoccupato il partito comunista e il governo, così che ogni riferimento è stato rimosso non solo da Baidu Tieba (la piattaforma principale e più seguita) ma anche da Sina Weibo (un mix cinese fra Twitter e Facebook) e pure da Douban (un social aperto alle discussioni con oltre 200 milioni di utenti). La censura radicale rientra naturalmente nella tradizione cinese, ma questa reazione istituzionale è anche il segnale di quanto venga considerato pericoloso, per la potenziale erosione del controllo politico, una simile sequenza di manifesti diretti ad incrinare l’ideologia produttivistica su cui il partito fonda la propria strategia di consenso. La cancellazione informatica del Tangping (di qualsiasi accenno all’esistenza stessa del movimento nemico del lavoro) si è idealmente riunita all’attacco di ogni forma di adesione a questa scelta di separare le singole soggettività precarie del grande sciame giovanile cinese e l’esigenza governativa di aumentare sempre di più la produzione. Il professor Li Fengliang, accademico illustre dell’università Tsinghua (di gran lunga la più importante, a Pechino e in Cina), è intervenuto, ufficialmente e con grande durezza, dichiarando il Tangping contrario all’etica socialista, quell’etica che mettendo l’esistenza intera a valore permette alla società di aumentare sempre e continuamente la produzione. America e Cina qui sono proprio d’accordo, e sono pure in piena sintonia con il nostro governo di larghissime intese, affidato all’ineffabile Mario Draghi (con la vigilanza attenta del fedele bracco ungherese): non è consentito stare sdraiati!

Na bronza coverta

Il moderno dispotismo democratico ha colto l’occasione della pandemia per accelerare la trasformazione, per radere al suolo ogni ostacolo e incrementare i profitti mettendo a valore le singole esistenze del precariato moderno, a prescindere dal territorio in cui ciascun soggetto si trova a vivere. Il senso di incertezza si accompagna ad un costante timore di peggiorare ancora di più la propria sorte, grazie alla paura del contagio ogni governo si è presentato come l’unico possibile gestore dell’unica via di uscita possibile: repressione, sanzione, cura, prevenzione, vaccinazione, accesso al reddito, sostegno economico costituiscono, nella campagna istituzionale di comunicazione, un insieme inscindibile che esige obbedienza piena, che non ammette diserzioni e tantomeno ribellioni. E dentro l’emergenza viaggia la trasformazione, la demolizione sistematica delle tutele, il programma inarrestabile di sussunzione che si realizza (diventando reale) acquisendo vite e cooperazione sociale complessiva. Mai come oggi il rifiuto della collaborazione diviene automaticamente pratica sovversiva, rifiuto del lavoro (inteso naturalmente come rifiuto della forma lavoro nell’attuale processo di produzione). Tuttavia, per quanto efficace, l’attacco sferrato dal capitalismo finanziario (che non ha stato e non ha religione per sua stessa natura) dentro ogni stato e dentro ogni religione non può sfuggire alla geometrica potenza della dialettica storica, del conflitto sociale. Il dispotismo variabile utilizzato in Cina, USA o Italia costruisce giorno dopo giorno, inevitabilmente, il suo nemico; per mettere a valore l’esistenza intera del precariato moderno il capitale ha espropriato violentemente il tempo di ciascun soggetto, e lo restituisce sotto condizione a partire da questo furto generalizzato e planetario. La pubblicità delle assicurazioni sulla vita colpevolizza l’idea stessa di morire senza aver incassato la polizza su quella particolare merce che è il corpo di ogni essere umano; il manifesto del Tangping nega la condizione imposta di schechu (bestiame aziendale), si sottrae sdraiandosi come stratagemma di emancipazione. Non è l’unica strada percorribile; è solo il segnale di come il radicale processo di trasformazione e sussunzione generi i suoi antagonisti.

A Trieste è di uso comune una meravigliosa espressione dialettale che rende perfettamente l’idea di ciò che sta per avvenire, o quanto meno che potrebbe accadere: bronza coverta. Sono i residui di brace che stanno sotto la cenere, completamente coperti, senza che si intraveda il fuoco. Ma non appena si va a smuovere la coverta appare con tutta la sua forza il rosso fuoco della bronza e guai a chi ci ha messo le mani sopra senza le dovute cautele! Per tornare a noi, qui e oggi, non c’è dubbio che il dissenso fatichi non poco a manifestarsi e che ci sia una sorta di malinconica rassegnazione diffusa, di grande insicurezza per l’immediato futuro, forse anche di paura generata dalla depressione. Non ha alcun senso nascondere questa spiacevole realtà, del resto i governanti lo hanno ben chiaro, e forzano la mano per piegare le resistenze. Ma è pure vero che, magari a macchia di leopardo e senza coordinamento, gli episodi di contrasto vanno aumentando, per numero, per qualità, per intensità. La risposta del potere (politico ed economico) è durissima, con una progressiva riduzione degli spazi tradizionali di mediazione; ma questa scelta istituzionale, per quanto sostanzialmente condivisa dall’intera compagine di governo (con qualche eccezione certo, ma piuttosto marginale), non sembra produrre gli effetti sperati dal regime. Anzi. Sembra accadere proprio il contrario. Il conflitto pare cercare una via di uscita, non per una fede nell’avvenire che caratterizzava il primo movimento operaio, ma per cruda necessità imposta dalle circostanze. E quando un giovane che voleva dissentire solo sdraiandosi si trova nel mirino delle polizie e delle istituzioni come pericoloso criminale viene messo di fronte al bivio: sottomettersi o reagire. La maggioranza dei giovani precari italiani non è affatto contenta, è anzi provata, amareggiata, disgustata, depressa, infelice. Sappiamo bene che l’infelicità è sempre na bronza coverta.

Conflitto e repressione

L’emergenza sanitaria ha profondamente modificato il quadro complessivo dello scontro sociale, in Italia e non solo in Italia. Le organizzazioni sindacali (quelle tradizionali e quelle di base) hanno subito nei primissimi mesi di pandemia restrizioni assai severe che di fatto sospendevano il diritto di sciopero, minacciando un cumulo di sanzioni (quelle dell’autorità garante e quelle di polizia introdotte per decreto) per scoraggiare iniziative. La contropartita per questa pace sociale imposta era data dalla cassa integrazione e dal blocco dei licenziamenti; in buona sostanza si è andata allargando la forbice fra garantiti e non garantiti, con inevitabili conseguenze divisive all’interno della forza lavoro complessiva. Queste modifiche non hanno toccato solo le strutture tradizionali (intendo Cgil, Cisl, Uil, Ugl e Cisal), ma hanno inciso anche nella complessiva articolazione del variegato sindacalismo di base, che è in questi ultimi anni profondamente mutato, per composizione soggettiva e per articolazione politica.

La tempesta monetaria del 2008 si è presto tradotta in crisi politica, economica, sociale; la sequenza di scioperi e agitazioni d’attacco si è interrotta quasi repentinamente e il sindacalismo di base, contro la sua stessa natura, si è trovato a gestire lotte in difesa del posto di lavoro, o per impedire esternalizzazioni inevitabili, o magari per contrastare il processo ormai inarrestabile di precarizzazione nel settore pubblico dei servizi. Le modifiche della legislazione introdotte a partire dal 2010 hanno indebolito le tutele dei lavoratori e rimosso l’ondata di vertenze giudiziarie su cui le organizzazioni di base avevano costruito una diffusa credibilità; la stretta ulteriore legata ai decreti sanitari è stata infine decisiva nel determinare un radicale cambiamento nella stessa genesi del conflitto. La scelta istituzionale, con il consenso delle forze politiche, è stata quella di sanzionare ogni frammento di opposizione non omologata, senza più mediazioni.

La logistica: lo scontro esiste

Durante la pandemia l’intero settore della logistica si è sviluppato con progressione geometrica, con incredibile incremento del profitto; eppure in questo identico lasso di tempo il salario degli occupati invece di aumentare è diminuito, e non di poco, nonostante turni e ritmi ogni giorno più gravosi. Poco per volta, utilizzando i contratti di subappalto, la composizione dei grandi depositi si è fatta più mobile, con crescente turn over e costante ricambio nel costruire le squadre addette alle lavorazioni. I sistemi informatici consentono ormai alle grandi società committenti di controllare qualità e quantità del lavoro senza la stretta necessità dei referenti, anche loro diminuiti nel numero e ormai ridotti al minimo indispensabile; il serbatoio dei migranti consente di acquisire manodopera ricattabile (per via del permesso di soggiorno) a buon prezzo. In un deposito con 200/300 operai che parlano almeno cinque diverse lingue la comunicazione non è semplicissima; a questo si aggiunge la questione legata alla religione, al paese di provenienza, alla cultura familiare e politica, tutto si fa più complicato. Per una specie di astuzia della storia, pur senza aver letto i testi di Raniero Panzieri o di Romano Alquati, i facchini stranieri della logistica hanno inventato l’uso operaio del sindacato; e quando hanno trovato orecchie disposte ad ascoltare la cosa ha funzionato. Nuovi quadri sindacali si sono un poco alla volta formati nel conflitto, hanno acquisito esperienza, hanno trasformato le strutture che li avevano scoperti. Maturati quando le vertenze si aprivano e chiudevano rapidamente, vincendo o perdendo ma comunque imparando, dentro la pandemia si sono fatti protagonisti, portando una novità di non poco momento nel panorama italiano del conflitto.

A guardar bene è mutata la stessa composizione chimica dello scontro. Lo schema tradizionale prevedeva l’elaborazione di una compiuta piattaforma, l’assemblea che approvava, la trattativa, la rottura, lo sciopero, l’accordo. Qui ci sono invece dei fuochi quasi improvvisi, riunioni poco annunciate (ad evitare divieti) e assembramenti costituenti, in genere un obiettivo semplice e possibile (strumenti di protezione dal Covid, il pagamento dello straordinario, un aumento, sia quel che sia), l’attuazione immediata del blocco. Spesso la trattativa viene condotta formalmente da estranei che non volevano la protesta e che comunque non l’hanno organizzata, ma nella sostanza l’impresa deve vedersela con la controparte reale, l’unione fra sindacato di base e assembramento operaio. La struttura più radicata nella logistica è certamente quella che fa riferimento al Si Cobas, ma non è la sola; CUB, USB e molte altre sigle meno note (ma assai attive nel loro ambito territoriale) hanno contribuito in questi mesi di purgatorio pandemico a tener viva la resistenza al dispotismo in questo settore vitale, senza poter contare su molto aiuto da parte democratica.

Strategia repressiva

La procura della repubblica piacentina, usualmente taciturna, è di recente intervenuta con provvedimenti cautelari restrittivi contro i lavoratori in sciopero, equiparati a malfattori pericolosissimi; e andando certamente sopra le righe la magistratura inquirente ha dato il voto alle organizzazioni sindacali dei lavoratori, bocciando come cattivi i sindacati di base (definiti criminali e non politici) e buoni quelli tradizionali. Il messaggio agli immigrati, in attesa del consueto rinnovo del permesso di soggiorno, suonava piuttosto chiaro, per la provenienza dal vertice della procura territoriale. Eppure non c’è stata la desistenza che si attendevano. A questo punto, nella vicina Tavazzano, nel pieno della vertenza TNT, sono intervenuti pretesi operai che indossavano la maglia con il logo del subappaltatore: con ferri e bastoni hanno tolto di mezzo il crocchio fastidioso che interferiva nell’attività. Chi ha fatto qualche domanda in giro si è sentito raccontare di arrivi dal territorio campano di volti nuovi, tutti provenienti dallo stesso comune, maschi, giovani e ben messi. Gli scioperanti si sono lamentati dicendo che erano guardie private; credo siano ottimisti, quelli più probabilmente erano stati mandati, su commissione, da una cosca per mettere ordine. Le forze dell’ordine, di solito solerti nell’intervenire al picchetto, non hanno identificato nessuno del gruppo di (pretesi) operai bastonatori, e possiamo star certi che la prossima lezione sarà impartita da soggetti diversi.

DHL (ovvero la società delle Poste Tedesche, quelle statali) ha invece subito un sequestro; pare che le cooperative cui aveva subappaltato il lavoro evitassero alcuni versamenti contributivi e avessero a che fare con il riciclaggio di denaro. Non è dato capire come mai gli uomini in divisa, impegnati sul territorio a multare pacifici cittadini che correvano nel parco, non abbiano mai sentito la necessità di buttare un occhio fra le maestranze impiegate nei magazzini della società tedesca, almeno fino all’intervento di un pubblico ministero milanese.

Infine vale la pena di ricordare quel che è avvenuto a Milano, nel magazzino Fruttital di proprietà del gruppo Orsero, leader del settore ortofrutticolo. Nel mese di febbraio 2020, all’inizio della pandemia, viene cambiato l’appaltatore e quello nuovo si accolla una ottantina di lavoratori. In marzo ci sono i primi casi di Covid e il sindacato di base (non era il Si Cobas ma il Sol Cobas) chiede la fornitura di protezione che non arriva; la produzione continua senza sosta ma nessuna autorità sanitaria interviene nonostante nel magazzino si provveda alla confezione della merce alimentare per Esselunga, Coop, grande distribuzione in genere. Metà delle maestranze si ammala, contagiato perfino il direttore della committente, sostituito da un collega chiamato da Verona; ma le polizie sanitarie rimangono zitte e mute, nessun sopralluogo, nessuno allerta i clienti dei supermercati che si compravano la merce confezionata dentro un magazzino chiuso per assenza degli operai durante l’emergenza Covid (siamo a marzo 2020). A questo punto Fruttital estromette tutti quanti e chiude la struttura, ripartendo le lavorazioni negli altri depositi; gli operai (la metà rimasta sana) scioperano, si rivolgono al prefetto, ma niente da fare, finiscono in cassa integrazione, nessuna sanzione al gruppo Orsero, oneri per Inps, e si prosegue con lo stesso metodo altrove. Questo è lo spirito del capitalismo nel tempo delle larghe intese.

La morte di Adil

Non sono in molti a ricordare quel che avvenne a Piacenza nel 2016. Alla GLS (General Logistic Systems, sono le poste britanniche) era in corso un presidio organizzato da USB, per impedire entrata e uscita delle merci. Un camionista, tale Pagliarini, deciso a forzare il blocco, travolse e uccise Ab del Salaam, un giovane attivista sindacale. Nel mese di luglio del 2020 il Giudice penale del Tribunale di Piacenza ha assolto l’investitore, negando pure qualsiasi risarcimento. Il precedente è assai significativo, consente di comprendere il sentiment della magistratura, disponibile verso l’impresa, quanto mai severa verso i ribelli. Ci sono peraltro voluti ben quattro anni per costruire questo scandaloso epilogo.

A Biandrate nei giorni scorsi un altro camionista (tale Alessio Spaziano) ha ucciso Adil Belakhdim, dirigente territoriale del Si Cobas, forzando un altro picchetto dei facchini in lotta, questa volta davanti al deposito della Lidl, la grande catena discount tedesca del gruppo Schwarz; dopo aver travolto i lavoratori l’autista è fuggito, e solo dopo essersi consultato con il padrino poliziotto si è consegnato. 

Ha ottenuto immediatamente il beneficio degli arresti domiciliari, a Baia e Latina ove abita, il che non sarà di grande aiuto nell’istruttoria; la grancassa della comunicazione mediatica già prepara il prosieguo, vogliono chiaramente criminalizzare la protesta e ridurre la vicenda ad un comune omicidio stradale colposo. Le notizie circolano. L’assoluzione di Piacenza ha incoraggiato tutti i camionisti a forzare i presidi, anche a costo di uccidere, quasi si trattasse di un danno collaterale. Alessio Spaziano non era un dipendente osserva Lidl, era un fornitore. Come abbia fatto un giovane di 25 anni ad avere un mezzo pesante in proprio e il percorso per ottenerlo non interessa alla magistratura inquirente, ma qui sta invece il problema!

La logistica non è solo deposito delle merci, vive anche e soprattutto di presa e consegna. I prodotti trattati debbono raggiungere la grande distribuzione dopo essere confezionati con l’uso di sofisticati programmi informatici; e debbono essere recapitati anche in piccoli lotti presso il cliente-consumatore (un esercizio pubblico, una cooperativa di consumo, magari un gruppo di famiglie). Durante la pandemia il meccanismo di raccolta e consegna (dal genere alimentare all’edilizia artigiana, dall’idraulica alla sanità) si è sviluppato senza sosta, con una vera e propria sussunzione delle strutture prima assai più atomizzate, una radicale trasformazione del ciclo oggi ormai interamente nelle mani dei grandi colossi di settore. L’attività di recapito poggia su ingaggi contrattualmente liberi, sganciati da qualsiasi minimo collettivo e in assenza di qualsiasi regolamentazione legislativa. Migliaia e migliaia di fantasmi percorrono le strade consegnando merci, a bordo di mezzi di cui non è facile riconoscere la proprietà (l’uso del leasing favorisce l’anonimato); nessuno si cura di verificare se il rider sia vaccinato, se abbia o meno assistenza sanitaria, dove abiti, chi abbia procurato il lavoro e quali siano i patti sostanziali oltre la forma contrattuale e il corrispettivo apparente. L’apparato istituzionale di stato è legato da una palese complicità ambientale alle grandi imprese della logistica e della distribuzione; un fiume di denaro e di profitti scorre ogni giorno sotto i nostri occhi, ma per le polizie e la magistratura gli unici criminali sono gli scioperanti che hanno inventato l’uso operaio del sindacato di base. La morte di Adil è la conseguenza naturale di una scelta istituzionale; lo hanno ben chiaro i lavoratori immigrati che non si fanno illusioni, non confidano nelle alleanze, sono costretti a percorrere un cammino certamente tortuoso e contraddittorio, ma altrettanto certamente senza alternative visibili.

Torniamo alla bronza coverta

Il potere ha elaborato una strategia repressiva criminalizzando con pervicacia il movimento popolare in Val di Susa, imponendo ad ogni costo la follia del TAV, indifferente alla sempre più chiara irragionevolezza dell’opera. La pandemia e la radicale trasformazione connessa alla crisi sanitaria hanno messo a nudo la sostanza di questa strabiliante vicenda, ma le istituzioni non intendono in alcun modo fare passi indietro, modificare il programma. Le istituzioni possono, e con molta diffidenza, accettare di discutere qualche ritaglio ecologico, qualche problema ambientale. Ma non possono e non vogliono legittimare la ribellione, la contestazione dell’autorità, le larghe intese, lo schema governativo che Mario Draghi rappresenta. Preferiscono sprecare risorse, spendere il doppio o il triplo, inimicarsi gli abitanti di un intero territorio piuttosto che dargliela vinta. Colpiscono una comunità che resiste per lanciare un messaggio alle altre, per diffondere il timore, il senso di impotenza. Per chi ha in programma di mettere tutte le esistenze a valore non esiste mediazione con una valle testardamente decisa a non cedere, esiste solo la criminalizzazione, la difesa a oltranza del programma iniziale, per assurdo che esso sia. Esiste un legame fra l’incitare gli autisti a forzare i presidi anche a costo di uccidere e la sistematica punizione dei ribelli in Val di Susa; è la medesima strategia di sussunzione.

La decodificazione, la rimozione delle carte dei diritti collettivi e individuali, rende ogni satrapo locale, ogni poliziotto, ogni magistrato, ogni rappresentante politico incarnazione della legge sostanziale, padrone delle vite altrui ridotte al ruolo di merce commerciabile, cedibile, sopprimibile all’occorrenza. Il Consiglio di Stato ha deciso che gli abitanti del quartiere Tamburi, a Taranto, sono solo un danno collaterale quando prendono il tumore. Il satrapo locale ha pieni poteri, ma viene rimosso quando non accetta di piegarsi ad Amazon (intesa ovviamente qui come simbolo, non come società); anche per questo, nel nostro tempo, ogni conflitto locale diviene sempre e inevitabilmente generale, senza possibili mediazioni. Possono esserci concessioni non accordi. Il nuovo teorema Calogero impone la criminalizzazione del conflitto, la negazione di qualsivoglia natura politica che possa legittimare comportamenti non omologati e ribelli, l’equiparazione della lotta sociale al terrorismo. L’antico slogan comontista viene oggi requisito dalle istituzioni, con una variazione: ogni lotta al capitale è da ritenersi lotta criminale. Involontariamente la strategia istituzionale potrebbe tuttavia costringere tutte le opposizioni all’unità, alla ricomposizione, al superamento delle divisioni; il potere, per eccesso di sicurezza e per la troppa arroganza di chi va imponendo il proprio programma senza incontrare eccessivi ostacoli, rischia di scottarsi nel maneggiare la bronza coverta dell’ostilità precaria. Il dominio poggia sulla paura, sull’incertezza, sul timore, non sul consenso, sulla partecipazione, sull’adesione. Anche movimenti pacifici, o comunque alieni dalla violenza, come gli ambientalisti di Greta o gli attivisti del volontariato sono oggi apertamente ingannati, esclusi dal tavolo decisionale, parificati al più pericoloso dei sovversivi; chi protesta contro la tortura in carcere o chi pretende di ricercare (fra l’altro solo storicamente!) le ragioni della violenza politica si macchia di  concorso morale, è un oggettivo nemico dello stato. La riunificazione di ogni bronza coverta, dal Si Cobas al No Tav, da Non una di meno alle varie anime dell’ambientalismo impone a tutti oggi una rinnovata partecipazione, per costruire un filo rosso che dia corpo alla necessità, sentita e reale, di emancipazione, di riconquista della vita espropriata e messa a valore. Nei periodi di trasformazione radicale l’inchiesta deve assolutamente tornare nella cassetta degli attrezzi, non come sociologia editoriale ma come strumento di liberazione, dunque a fini di eversione dell’ordine costituito, di elaborazione militante dei manifesti ribelli. Inutile attardarsi a discutere del passato. Dobbiamo imparare dai facchini nordafricani ad usare tutto quello che ci troviamo davanti, ad un uso precario di qualsiasi strumento idoneo. Anche una reazione collettiva, solo apparentemente pigra, come il Tangping  lavorandoci sopra può essere per il governo delle larghe intese una bronza coverta. In questo caso neppure il bracco ungherese riuscirebbe ad avvisare per tempo il suo proprietario, Mario Draghi.

Immagine in apertura: Adil Belakhdim, 37 anni, il sindacalista che a Biandrate, nel novarese, è stato ucciso da un camionista che ha forzato il blocco del sindacato Si Cobas che manifestava all’ingresso del deposito territoriale della Lidl