Nella foresta dei diritti di Amazon

Riuscito lo sciopero Amazon, con una media di adesione del 75% e picchi del 90% tra i corrieri! Costruire una strategia comune per tutti i lavoratori della logistica di Amazon non è un processo scontato e la struttura burocratica dei sindacati confederali, rigidamente divisi in federazioni a livello di settore, rende difficile il coordinamento tra autisti e magazzinieri. L’azienda ad oggi si è sempre rifiutata di discutere la verifica dei turni, dei carichi e dei ritmi di lavoro imposti, la riduzione dell’orario di lavoro dei driver, la clausola sociale e la continuità occupazionale per tutti in caso di cambio appalto o cambio fornitore, la stabilizzazione dei tempi determinati e dei lavoratori interinali ed il rispetto delle normative sulla salute e la sicurezza. Per produrre risultati concreti si deve superare la logica concertativa e trovare una dimensione transnazionale!

————————————————-

articolo di Francesco Massimo, da Jacobinitalia.it del 22 marzo 2021

Lo sciopero di tutti i dipendenti Amazon italiani è un evento storico, figlio delle lotte nella logistica degli ultimi anni. Ma per produrre risultati concreti deve superare la logica concertativa e trovare una dimensione transnazionale

Italia. Il 10 marzo i tre principali sindacati confederali (Cgil, Cisl, Uil) hanno proclamato uno sciopero nazionale, per il 22 marzo, in tutto il gruppo Amazon.

Per la prima volta nella storia di Amazon, si sciopera a livello nazionale e lungo l’intera rete di distribuzione. Gli scioperi vengono proclamati nei magazzini di Piacenza e Roma così come tra i driver di ogni città italiana, nello stesso giorno e con le stesse rivendicazioni. È una lotta che potrebbe rappresentare un passo avanti cruciale nella storia recente del lavoro.

I lavoratori scioperano non solo nei grandi centri di distribuzione (Fulfillment Centers, o Fc, dove migliaia di merci vengono immagazzinate, raccolte, imballate e inviate all’anello successivo della catena), ma anche nei centri di smistamento di medio raggio (i «sortation center», dove i pacchi vengono spediti in base alla destinazione da centinaia di lavoratori Amazon), le piccole stazioni di consegna dell’ultimo miglio (le «delivery station», dove decine di lavoratori Amazon ricevono i pacchi e li preparano per la consegna) e infine gli autisti (che sono esternalizzati, nonostante lavorino sotto il controllo diretto degli algoritmi di Amazon).

Lo sciopero non era previsto e si è sciolto dopo l’improvvisa interruzione delle trattative tra Amazon Italia Logistics (la filiale italiana che gestisce le operazioni in 7 Fc) e le federazioni trasporti di Cgil, Cisl e Uil (Filt, Fit e Uiltrasporti). I sindacati e l’azienda stavano trattando l’istituzione della contrattazione collettiva a livello aziendale per i magazzinieri e, nelle intenzioni dei sindacati, anche per i drivers. A gennaio ci sono stati due tavoli sindacali, in cui le tre sigle hanno espresso la loro soddisfazione per l’apertura di una trattativa, mentre l’azienda si è smarcata da ogni impegno concreto sulla rivendicazione sindacale specifica (contratto collettivo a livello aziendale che regoli condizioni di lavoro, salute e sicurezza, intensità di lavoro, orari, bonus, ticket restaurant). L’azienda non poteva sfuggire a una discussione con i sindacati quindi, coerentemente con la sua strategia classica, ha preso tempo e procrastinato qualsiasi impegno. Nonostante l’intenzione ottimistica dei sindacati di costruire un quadro convenzionale di relazioni industriali, la «concertazione» era in realtà un dialogo tra sordi.

La trattativa alla fine è saltata il 10 marzo durante una riunione in cui l’azienda ha rifiutato di riconoscere la propria responsabilità sociale nei confronti dei conducenti in subappalto. L’azienda

desidera sottolineare che per le consegne ai clienti, Amazon Logistics utilizza fornitori di terze parti. Pertanto, riteniamo che gli interlocutori adatti siano i fornitori dei servizi di consegna, nonché le associazioni di imprese che li rappresentano.

Con un comunicato pubblico i tre sindacati confederali hanno accusato l’azienda del fallimento delle trattative e dichiarato uno sciopero nazionale, coinvolgendo non solo gli autisti ma l’intera rete distributiva a livello nazionale.

Uno sciopero, diverse condizioni di lavoro

Uno dei motivi per cui questi diversi segmenti non sono mai entrati in sciopero contemporaneamente è il differente grado di sviluppo dei sindacati e le diverse condizioni di lavoro.

I primi lavoratori a organizzarsi sono stati i dipendenti della Fc Piacenza, aperta nel 2011. Ci sono voluti cinque anni per sindacalizzare il primo gruppo di lavoratori e nel 2017 c’è stato il primo sciopero in Amazon, gli scioperi dell’anno precedente erano avvenuti solo in Germania (2013) e Francia (2014). Lo sciopero ha ottenuto il riconoscimento dei sindacati da parte della direzione e la stipula di un contratto collettivo di stabilimento sull’orario di lavoro e sui turni di notte. Successivamente la strategia del sindacato è stata quella di allargare la trattativa ad altri temi, in particolare bonus, salute e sicurezza e diritti di informazione, ma l’azienda si è rifiutata di discutere seriamente di questi aspetti e ha solo concesso un rinnovo annuale dell’accordo sugli orari nel 2019 e nel 2021. Nella prospettiva del management di Amazon (sia dell’amministrazione italiana che di quella statunitense) l’accordo del 2018 era destinato a rimanere un’eccezione. D’altra parte, dopo il primo sciopero i sindacati non sono riusciti – o non volevano – a mobilitare nuovamente i lavoratori, né i lavoratori hanno esercitato pressioni irresistibili sui dirigenti sindacali perché ciò avvenisse.

Nel frattempo, Amazon è cresciuta costantemente, soprattutto dal 2017. Un processo di integrazione verticale che è proceduto parallelamente in tutti i paesi europei. In quell’anno Amazon ha aperto due nuovi Fc, a Vercelli e Rieti. Nel 2019 Amazon ha aperto un altro Fc nella periferia di Torino e nel 2020 ha aperto tre Fc a Rovigo, Pomezia e Colleferro. In questo periodo Amazon ha sviluppato la sua rete autonoma di consegna, aprendo venticinque stazioni, dove i conducenti caricano la merce sul loro furgone e iniziano i turni di consegna. Stavolta il  processo di sindacalizzazione è stato più rapido che a Piacenza: lo sciopero ha aperto la strada all’accelerazione dell’organizzazione e così le Fc di Rieti e Torino si sono rapidamente sindacalizzate. Tuttavia, i sindacati sono ancora deboli e questo sarà il primo sciopero in quegli stabilimenti.

Parallelamente i conducenti si sono sindacalizzati prima in Lombardia, dove opera la maggior parte di loro, e poi a Roma, Genova e Toscana. I conducenti, rappresentati dal ramo logistico di Cgil, Cisl e Uil, sono il gruppo più recente tra la forza lavoro di Amazon. Fino al 2015 Amazon aveva una sola Fc in Italia – quella di Piacenza, la prima a organizzare uno sciopero a fine anno – e la distribuzione era subappaltata a grandi fornitori della logistica come Ups e Sda, o anche direttamente a Poste italiane. È solo dopo il 2016 che l’azienda ha iniziato a costruire la sua rete di fascia media: le piccole stazioni situate alla periferia di Milano e poi di Roma pensate per ricevere i pacchi preparati e spediti dalla Fc. I lavoratori che operano nella stazione sono dipendenti Amazon. Il ritiro e la consegna della merce ai clienti viene effettuato da autisti in subappalto. Oggi Amazon gestisce 7 Fc e 25 stazioni in Italia (concentrate nelle aree urbane più dense) e impiega direttamente oltre 4.000 lavoratori. Data la frammentazione di questo settore, non conosciamo il numero esatto di conducenti subappaltati da Amazon in Italia (vedi Fig.1).

Lavorare come autista, se possibile, è ancora più difficile che lavorare in un Amazon Fc. Entrambe le figure affrontano ritmi impegnativi, controllo costante e nessuna autonomia nell’esecuzione del proprio lavoro. I conducenti sopportano una condizione ancora più precaria: non sono assunti da Amazon, che pianifica e monitora il loro lavoro (percorsi, carico di lavoro, orario, valutazione) ma declina ogni responsabilità sociale nei loro confronti. I driver sono l’ultimo anello della catena e affrontano la massima intensità di sfruttamento e il massimo della flessibilità. Le aziende di consegna in outsourcing li assumono a migliaia durante l’alta stagione. Amazon  fissa gli obiettivi e i ritmi e mette in competizione tra loro le aziende esternalizzate. I conducenti sono a valle della catena di comando e subiscono tutte le pressioni. L’asticella della produttività è fissata sempre più in alto rispetto alle stagioni precedenti e i conducenti devono aumentare gli sforzi per stare al passo con gli standard. I tassi di produttività schizzano in alto, grazie alla combinazione di incitamento manageriale e controllo digitale. Quindi, con i lavori stagionali, il nuovo standard di produttività viene mantenuto ma metà della forza lavoro viene licenziata e chi resta deve continuare a lavorare a ritmi più elevati: secondo i sindacati «nelle prime settimane del 2019, il doppio dei pacchetti al giorno rispetto a un driver del settore».

Questi maggiori carichi di lavoro sono dovuti al fatto che alla crescita della quota di mercato di Amazon non corrisponde una crescita proporzionale di posti di lavoro stabili. Una dinamica del genere consente all’azienda di aumentare costantemente la produttività, ma genera anche le proteste dei lavoratori. Questo spiega come molti degli scioperi, iniziati tra i conducenti, siano stati spontanei. I lavoratori si sono lamentati del trattamento dispotico che subiscono e hanno difeso con orgoglio le loro capacità professionali – guidare nel traffico di una grande città italiana implica destrezza e concentrazione – chiedendo che cessino le vessazioni manageriali, la corsa incessante all’aumento della produttività e la fine del sistema di «franchising» (oltre a essere indotti a rischiare la loro incolumità correndo per strada, i lavoratori sono anche costretti a pagare una penale al loro datore di lavoro per eventuali multe o danni al furgone).

Dopo il primo sciopero del 2017 a Milano altri sono avvenuti nel 2018 e nell’ottobre dello stesso anno è stato siglato un contratto collettivo a livello di filiera dai sindacati confederali e dall’associazione imprenditoriale delle società di consegna in outsourcing, ma non da Amazon. L’accordo però non ha soddisfatto i lavoratori che hanno continuato a organizzarsi e nel gennaio 2019, con i sindacati confederali, hanno organizzato un altro sciopero in tutta la Lombardia. Questo sciopero regionale ha rappresentato un importante passo avanti per l’organizzazione dei lavoratori, che hanno saputo coordinarsi tra loro (cosa non di poco conto, visto il livello di individualizzazione e frammentazione della forza lavoro). Tuttavia, autisti e magazzinieri non sono mai riusciti a unire le loro forze in una strategia di sciopero comune, almeno fino a ora. Il fatto che uno sciopero del genere avvenga per la prima volta in Italia non è un caso, è il risultato di una complessa trama di fattori legati all’azione del movimento operaio nell’ultimo decennio, soprattutto nel settore della logistica.

Figura 1. Dipendenti a tempo indeterminato delle due società logistiche di Amazon in Italia. Amazon Italia Logistica gestisce i grandi hub (Fulfillment Centers, Fc), Amazon Italia Transport gestisce le delivery station. A questi si aggiungono circa 10 mila lavoratori interinali, assunti e licenziati tramite agenzie (Adecco, GI Group, Manpower) durante l’anno nei picchi di attività e un numero imprecisato di drivers, dipendenti da società di trasporto medio-piccole. Secondo i dati raccolti da Riccardo Chesta in Lombardia, sarebbero almeno 1.500 solo in regione (che rappresenta circa il 20% del mercato italiano dell’e-commerce). La difficoltà di accesso ai dati rappresenta una delle strategie con cui l’azienda ostacola l’attività sindacale.

Amazon e lo stato dei sindacati italiani

L’Italia non è l’unico paese in cui i lavoratori di Amazon hanno scioperato. Come detto la Germania è stata la prima nel 2013, seguita dalla Francia nel 2014, dall’Italia nel 2017 e dalla Spagna nel 2018. Tutti quegli scioperi partivano localmente. Data la rapida crescita della rete logistica di Amazon, i sindacati non sono stati in grado di tenere il ritmo delle nuove aperture e quindi sindacalizzare tutti i centri della logistica. Una parziale eccezione è la Francia, che ha una legislazione che rende obbligatorie le elezioni delle rappresentanze sindacali e incoraggia la presenza sindacale in tutti i siti dell’azienda, nonché la contrattazione collettiva centralizzata, in particolare nella filiale di Amazon che gestisce gli Fc francesi (Amazon France Logistique). Ciò ha favorito la mobilitazione coordinata durante la pandemia del 2020, quando i sindacati hanno chiesto uno sciopero nazionale in tutte le Amazon Fc, ma non nei piccoli hub, né tra i drivers, perché appartengono a un’altra società (Amazon France Transport) o sono lavoratori in outsourcing, e il sindacato non riesce a darsi una strategia di organizzazione sistematica di questi segmenti.

I sindacati confederali italiani si sono cimentati con un problema analogo (la struttura aziendale è simile: due società responsabili delle operazioni logistiche e una galassia di medie e piccole imprese di consegna in outsourcing) ma con una strategia più lungimirante. Si sono resi conto che la consegna dell’ultimo miglio era un punto debole della rete Amazon e il segmento in cui lo sfruttamento è al massimo. Quindi, soprattutto nella Filt-Cgil, le strutture sindacali hanno investito nell’organizzazione dei conducenti che, da parte loro, non hanno aspettato il via libera dei sindacati per iniziare a organizzarsi, come testimonia il primo sciopero spontaneo del 2017.

Costruire una strategia comune per tutti i lavoratori della logistica di Amazon non è un processo scontato e la struttura burocratica dei sindacati confederali, rigidamente divisi in federazioni a livello di settore, rende difficile il coordinamento tra autisti e magazzinieri. La più antica Fc italiana di Amazon, quella di Piacenza (aperta nel 2011), ad esempio, è coperta dal contratto collettivo del settore del commercio, il resto della rete logistica dal contratto collettivo del settore della logistica e dei trasporti. Ciò comporta che i magazzinieri, dipendenti della stessa società, ma operanti in siti diversi, sono rappresentati da due diverse federazioni sindacali (quella dei lavoratori del commercio e dei servizi a Piacenza e quella della logistica negli altri siti). Il problema è che una divisione artificiale di questo tipo, prodotta dalla scelta dell’azienda di sottoscrivere due diversi contratti collettivi di settore e riprodotta dalla struttura sindacale a livello di industria, rende più arduo il lavoro di coordinamento e scambio di informazioni tra delegati e lavoratori e determina la coscienza dei lavoratori e degli stessi funzionari sindacali, in quanto alcuni di loro non considerano prioritario un coordinamento perché «i lavoratori con contratto di commercio non hanno gli stessi problemi dei colleghi che hanno quello della logistica».

Tuttavia, la posta in gioco è alta e prima o poi queste barriere dovevano essere superate. Amazon è uno dei più grandi datori di lavoro al mondo e all’avanguardia della «rivoluzione» digitale, un potente monopolio che ha la pretesa di infrangere le regole del gioco, non solo le leggi sul lavoro, ma anche le normative antitrust e fiscali. Il suo potere è cresciuto ulteriormente con la pandemia e la riorganizzazione dell’economia globale capitalista e le condizioni erano mature per la reazione della forza lavoro.

Per questi motivi questo sciopero ha un significato politico innegabile. Allo stesso tempo l’importanza di questa iniziativa dei sindacati va compresa nell’insieme delle relazioni industriali che oggi governano il mondo del lavoro in Italia e in particolare nel settore della logistica. 

Negli ultimi due decenni i sindacati confederali italiani hanno attraversato un processo di istituzionalizzazione. La concertazione e il corporativismo sin dagli anni Novanta hanno alimentato il processo incorporazione del ruolo dei sindacati nello stato. I sindacati hanno ottenuto l’accesso alla definizione delle politiche pubbliche e in cambio hanno reso marginale il conflitto industriale e accettato la svalutazione dei salari.

Tale ridimensionamento ha avuto ripercussioni soprattutto sulla capacità dei sindacati di mobilitare la periferia del mercato del lavoro, vale a dire l’industria emergente della logistica, per resistere alla deregolamentazione del mercato, alla diminuzione dei salari e all’aumento del potere discrezionale manageriale. Nel settore della logistica i lavoratori, soprattutto migranti, sono stati segregati in una catena frammentata di outsourcing: grandi società di logistica (come Dhl, Ups, FedEx, Tnt, Xpo, Sda e Brt) hanno subappaltato il lavoro nei magazzini a cooperative che operano in un condizione di lavoro spesso illegale, ricattando i lavoratori migranti, la cui libertà di movimento è condizionata all’accettazione di un lavoro, al fine di imporre straordinari e orari di lavoro non retribuiti e dispotismo nella gestione delle cooperative.

Contro questo regime operaio dispotico, i sindacati confederali non hanno preso alcuna iniziativa seria, influenzati anche dal legame storico tra il movimento cooperativo e le organizzazioni sindacali. Lo status quo è stato scosso dalla nascita dei sindacati di base, Si Cobas e Adl Cobas. Dal 2011 questi sindacati indipendenti di base, formati da attivisti e addetti alla logistica, hanno sconvolto il paeseda Milano a Roma, da Torino a Venezia e hanno cambiato i rapporti di forza nel settore.

Nella maggior parte dei casi, l’azione dei Cobas ha avuto successo grazie alla loro agile struttura sindacale, che faceva molto affidamento sulla rete preesistente di interconoscenza tra le comunità di migranti e ha permesso ai lavoratori migranti di agire direttamente e assumere la guida dei sindacati. Un’altra chiave fondamentale del successo della campagna Cobas è stata l’arma dei sit-in e dei blocchi alle porte dei magazzini. In questo modo i lavoratori sono stati in grado di paralizzare la circolazione delle merci e danneggiare efficacemente le loro controparti. Attraverso questi strumenti i lavoratori hanno migliorato notevolmente le condizioni economiche e lavorative e generato un’ondata di rivitalizzazione sindacale in tutto il settore. Oggi Si Cobas e Adl Cobas sono i sindacati più rappresentativi in alcune delle più importanti società di corrieri espressi e trasporto. Hanno pagato questo successo con un livello di repressione senza precedenti: picchetti attaccati dagli scagnozzi dei datori di lavoro o dalla polizia, serrata dei datori di lavoro, licenziamenti politici, indagini penali, multe e processi (solo la scorsa settimana sono stati arrestati alcuni attivisti Si Cobas a Piacenza dopo un duro ma vittorioso sciopero contro FedEx-Tnt). Tuttavia ciò non ha impedito l’avanzata dei Cobas.

I sindacati di base non sono stati in grado di stabilire una presenza significativa in Amazon né nei magazzini né tra i conducenti. Ciò potrebbe essere spiegato dalla peculiarità del lavoro e delle condizioni di impiego, dall’organizzazione del lavoro, dalla relativa sicurezza (o dalla promessa di una stabilizzazione) dell’occupazione, soprattutto nelle Fc. Qui, dove i sindacati confederali hanno la totalità della rappresentanza, le sigle hanno dichiarato lo sciopero per misurare la loro forza e riaffermare la loro guida legittima sul movimento operaio.

Nella strategia dei sindacati confederali lo sciopero acquista così un significato simbolico e politico. È la conseguenza dell’improvviso stallo delle trattative, e i sindacati vogliono dimostrare la loro forza di fronte al colosso dell’e-commerce ma, fedeli alla loro strategia concertativa, non rinunciano alla possibilità di un accordo. Si mobilitano i lavoratori per riaprire un tavolo di trattativa (bisogna tenere presente che questo sciopero è nato dalla crisi delle trattative sui conducenti e poi è stato esteso alle Fc). In altre parole, i sindacati italiani vogliono instaurare rapporti industriali «normali» con questa azienda. Se falliscono, questa sconfitta potrebbe avere implicazioni politiche per l’intero assetto delle relazioni industriali.

La vittoria non è certa, visto che la strategia di Amazon è quella di sfuggire a qualsiasi impegno serio, soprattutto sui salari e sul controllo dei lavoratori sull’organizzazione del lavoro (dopotutto, la loro filiale italiana non ha potere decisionale effettivo o legittimità per firmare un accordo senza il consenso della sede di Seattle). Finora Amazon è riuscita a perseguire questa strategia con successo, e continuerà a farlo, a meno che i sindacati e i lavoratori non riescano a fermare davvero il normale funzionamento delle operazioni logistiche. Lo sciopero di oggi è un evento storico per il movimento operaio italiano e internazionale, ma se sarà anche l’inizio di una rimonta sindacale dipende dalla capacità dei lavoratori di continuare la lotta nei prossimi mesi, per allargarla ad altre categorie dei lavoratori (ad esempio i lavoratori temporanei di Fc, gli operatori di call center di Amazon o l’intero settore della logistica – è notevole in questo senso la solidarietà degli autisti Ups a Milano che nel giorno dello sciopero si rifiuteranno di consegnare i prodotti di Amazon), per superare la divisione tra i sindacati e coordinare la lotta a livello transnazionale.

*Francesco Massimo è membro della redazione di Jacobin Italia. Attualmente fa ricerca e insegna a Sciences Po, Parigi. Recentemente ha collaborato alla redazione di un rapporto su conflitti e relazioni industriali in Amazon pubblicato dalla Rosa Luxemburg Stiftung ed è contributore del libro collettivo The Cost of Free Shipping. Amazon in the Global Economy (Pluto Press, 2020).