Lavoro, ambiente, salute nell’era PostCovid

di Marco Caldiroli, dal sito MedicinaDemocratica.org, del 1° luglio 2020

LAVORO, AMBIENTE, SALUTE NELL’ERA POSTCOVID

Un interessante esercizio intellettuale e politico è oggi rappresentato, secondo chi scrive, dal confronto di due documenti resi pubblici nello stesso periodo: il prodotto (i 121 punti) della “Commissione Colao” per la ripresa post-covid e il libro, anch’esso a “più mani”: “Niente di questo mondo ci risulta indifferente” (https://www.laudatosi-alleanza-clima-terra-giustizia-sociale.it/). A mio avviso rappresentano plasticamente la contrapposizione di due alternativi modi di affrontare e vedere il futuro dopo la “lezione” del Sars-Cov2.

Anche se il documento Colao appare destinato al cassetto “dei buoni propositi neoliberisti” i suoi contenuti non sono in realtà lontani da quella parte di mondo, economico e politico, che non sembra aver imparato nulla dalla emergenza pandemica e preme soltanto per tornare ai “normali affari” antecovid. Pertanto, in un modo o in un altro, i suoi contenuti torneranno alla ribalta. L’altro testo invece, in formazione prima dell’emergenza, modificato in progress e “rafforzato” per effetto del covid, rappresenta una trascrizione evoluta e “laica” dell’enciclica “Laudato sì”. Laica perché allo stesso hanno collaborato anche molti non credenti e provenienti storicamente da una sinistra non certo tenera nei confronti della Chiesa cattolica ma che hanno saputo, in nome dell’emergenza ecologica, trovare una condivisione di vedute e di indirizzo mantenendo la radicalità del messaggio papale (in molti punti ben più forte rispetto alle posizioni degli ambientalisti e della sinistra, nuova e “storica”). Vi possono essere delle ingenuità (una la segnalerò in questo articolo) come pure delle omissioni per evitare scintille (tra queste spicca sicuramente il tema della interruzione volontaria della gravidanza) ma nel confronto tra i due testi qui citati quello di Laudato Sì spicca per freschezza, chiarezza e capacità di correlare i diversi aspetti della “ecologia integrale” in molti casi meglio rispetto a documenti di associazioni ambientali “storiche”. Ecologia integrale è un termine centrale nella enciclica e vuole rappresentare l’unitarietà del “dissidio uomo/natura” con quelli di pari intensità e necessità di risoluzione relativi alla condizione dell’uomo nella società, in particolare dei diritti umani, di uguaglianza e giustizia sociale. Certo i “tradizionalisti” di sinistra, su alcuni passaggi, storceranno il naso perché vi vedranno i riflessi della “dottrina sociale” della Chiesa che molto ha fatto per contenere il “pericolo rosso” ed evitare una piena presa di coscienza da parte delle classi sfruttate e quindi per ridurne il potenziale rivendicativo e rivoluzionario. Ma dobbiamo fare i conti con un contesto storico, politico e culturale diverso e riconoscere che l’avversario comune è l’infernale meccanismo capitalistico di sovrasfruttamento del pianeta e delle persone (su questo il “salto” più cospicuo l’hanno fatto parte degli ambienti cattolici).

CRISI ECOLOGICA E PANDEMIA

Risulta pacifico (almeno al momento), che una parte consistente dell’ “opinione pubblica” si è resa conto della correlazione tra nascita della pandemia, sua diffusione ed effetti, e crisi ambientale. La pandemia ha potuto verificarsi con lo “spillover”, il salto di specie, favorito se non attivato dalla distruzione dell’ambiente e ha avuto effetti devastanti – anche quando ha avuto di fronte servizi sanitari avanzati – soprattutto nelle realtà inquinate : i polmoni affumicati dei residenti padani hanno offerto minore resistenza al virus (ancora da verificare se le PM10 e PM2,5 abbiamo incrementato e velocizzato la diffusione quali vettori del Sars-Cov2). Gli elementi principali della crisi ecologica sono riconosciuti da molte più persone come co-fattori della pandemia e dei suoi effetti, mi riferisco in particolare alla crisi climatica cui si accompagna una non meno evidente (ma meno riconosciuta) crisi “tossica” : l’avvelenamento progressivo dell’ambiente, della catena alimentare e dei nostri corpi dovuto al rilascio di sostanze tossiche dai cicli produttivi e di consumo. Non mi sorprenderò se al negazionismo climatico (diniego di ogni responsabilità antropica all’incremento della temperatura del pianeta) si affiancherà il negazionismo pandemico, non solo in termini di sottovalutazione delle conseguenze dell’esposizione al virus (che questa volta ha colpito duramente tutte le economie avanzate) ma di responsabilità umane. Si dirà che, d’altronde, le pandemie sono cicliche, che un virus muti e riesca a passare all’uomo è successo più volte nella storia con conseguenze ben più pesanti di quelle attuali; basta qualche aggiustamento del sistema di allerta e di cura per evitare conseguenze tali da creare disordine economico e sociale (questa è la filosofia di Colao). Su questa falsariga arrivano messaggi espliciti che chiedono di aver fiducia nella tecnologia/scienza: nell’immediato per un vaccino che “risolve”, più avanti nuove tecnologie per “difendersi” da nuovi attacchi. Questa posizione vede nella scienza una risorsa neutrale che propone “in sé” la sua necessità e la sua libertà nell’esplorare nuove direzioni come se la ricerca (e le relative applicazioni) siano condotte da menti geniali e libere da condizionamenti, da appoggiare “a prescindere” perché rappresentano il progresso inevitabile e indispensabile e possono risolvere i problemi …. che hanno creato.

Rispetto alla evidenza del rapporto crisi ecologica/pandemia è più difficile far riconoscere la necessità di una “critica della scienza”, è più facile attendersi il contrario, puntare sulla scienza – sulla conferma del modello di scienza fin qui perseguito – quale rifugio per rassicurarsi che il proprio destino, come specie, possa comunque non essere segnato dagli effetti delle pratiche produttive e di consumo autodistruttive esponenzialmente aumentate in particolare dal secondo dopoguerra. La scienza va nella direzione che le permette, le impone, il sistema economico al fine di poter continuare ad esistere ovvero di perpetuare quella presunta “circolarità” tra produzione-consumo-profitto fondato però su un ciclo della materia lineare, che inizia con l’estrazione incontrollata e illimitata di risorse dal pianeta, continua nella loro “trasformazione” nei cicli produttivi (con tutti gli annessi impatti ambientali e sui lavoratori) e finisce con i rifiuti (gli scarti per usare il termine del libro) rilasciati in modo più o meno “controllato” ma sempre esiziale, nell’ambiente e quindi, prima o poi, ritornano all’uomo.

ALTERNATIVE POSTCOVID

Il testo dell’Associazione Laudato Sì tenta di colmare queste contraddizioni e di superare i crimini sottesi articolando le valutazioni e le proposte nei “capitoli” che lo costituiscono : a fianco di temi tipicamente ambientali (crisi climatica, energia, agroindustria) si parla, nello stesso contesto, di migrazioni (climatiche ed economiche), di disuguale distribuzione delle ricchezze e di disuguaglianze. Un digesto utilissimo, comunque la pensiate sull’enciclica e le iniziative papali. La conversione ecologica fatta programma nel libro include temi quali il senso del limite (non tutto quello che è “tecnicamente” possibile è “eticamente” realizzabile), un concetto diverso da quello di “sostenibilità” perché si fonda su quello di “compatibilità” (e quindi, sotto sotto, per le economie industriali avanzate, di decrescita ovvero di revisione radicale dei cicli e dei prodotti effettivamente necessari per soddisfare i bisogni primari della specie umana). A questo si affianca una politica dei “beni comuni” (potremmo anche definirla dell’ “economia fondamentale” ovvero della garanzia pubblica al diritto per tutti di “infrastrutture” di base quali abitazioni, acqua, riscaldamento, cibo, un servizio sanitario, appunto, universalistico ecc); della importanza del lavoro “riproduttivo” e di cura, posto almeno alla pari rispetto a quello “produttivo” (la produzione di “valore” non è più importante della “produzione” di una vita degna di essere vissuta). I temi dell’ecofemminismo e del lavoro sono trattati contestualmente alla individuazione di “stili di vita” coerenti con la volontà di salvaguardare il pianeta e la vita collettiva/individuale nel cui ambito vi è la salute.

Qui voglio sottolineare, come indicato nel “manifesto” su cui tornerò, che la salute non è solo uno stato di benessere psico-fisico ma il risultato del rapporto tra gli individui nel proprio contesto di vita: se quest’ultimo è malato il malessere individuale è un sintomo e occorre curare il contesto. In altri termini non vi può essere un individuo sano in un contesto inquinato e quindi l’unico mezzo di salvaguardia reale è, in primis, la prevenzione ovvero l’intervento sul contesto per renderlo “sano” per i viventi (tutti !).

Il tema degli stili di vita non è unicamente un richiamo alla parsimonia (dato il contesto potremmo dire “francescano”) ma si pone all’interno di una “nuova pedagogia degli oppressi”, il riconoscimento della importanza dell’educazione, della corretta informazione e del libero (e consapevolmente critico) sviluppo della persona; una “ecologia della mente” che richiama da un lato gli assunti “rivoluzionari” di Paulo Freire e dall’altro la lotta all’analfabetismo di ritorno che favorisce, anche tramite il “digitale”, forme di controllo e tecnocrazia. Da ultimo ma non per importanza l’altra minaccia planetaria costituita dalla guerra mondiale “a pezzi” con il relativo bacino di terrore costituito dalla minaccia nucleare. Come accennato il testo presenta qualche passaggio che alla tradizione di sinistra può apparire ingenuo, un esempio riguarda il ruolo dei lavoratori. Vale la pena riportare un ampio stralcio : “Tutelare la salute dei lavoratori e degli abitanti delle zone industriali. Non devono essere più permesse attività produttive che si svolgano in condizioni incompatibili con la vita e la sicurezza delle persone, dentro e fuori i luoghi della produzione, e deve essere impedito il ricatto – che venga dallo Stato o da imprese private – che mette le persone di fronte all’alternativa fra morire di lavoro o rimanere prive di mezzi di sussistenza. Poiché i primi a essere esposti alle conseguenze ambientali dei processi industriali nocivi sono gli uomini e le donne che lavorano nelle fabbriche, i loro familiari e i residenti sul territorio limitrofo, la lotta per il miglioramento delle condizioni sui luoghi di lavoro deve comprendere, oltre alla tutela della salute e la protezione dalle malattie professionali, la protezione ecologica dei territori interessati dalla produzione. Il risanamento dei luoghi e degli ambienti di lavoro deve permettere ai lavoratori e alle lavoratrici di contribuire alla conversione ecologica, a partire dai comportamenti minimi che contraddistinguono il cammino verso la sostenibilità: fare la raccolta differenziata, eliminare la plastica, garantire l’accesso a un’acqua veramente potabile, promuovere, in tutti gli spazi disponibili, piantumazioni e de-impermeabilizzazione dei suoli, perseguire la massima efficienza nell’uso dei materiali e dell’energia, promuovere soluzioni di trasporto condiviso nei percorsi casa-lavoro, approvvigionare la mensa aziendale o quella convenzionata con prodotti biologici da agricoltura di prossimità, limitare al massimo il consumo di carne, istituire corsi di educazione ambientale, aperti anche agli abitanti della zona e ai familiari dei lavoratori.”

Il paragrafo comincia “bene” perché riconosce la necessità “prevenzionale” dell’evitare produzioni nocive per l’uomo e l’ambiente; nel linguaggio di Medicina Democratica si potrebbe sintetizzare con la richiesta di MAC ZERO (non esposizione) ai tossici (es. cancerogeni) nei luoghi di lavoro e di vita. Se confrontiamo una dichiarazione del genere (non certo apprezzabile da molti “operaisti”) con quelle della Commissione Colao vediamo una netta differenza tra i due documenti. Cito due aspetti per tutti : nel rivendicare la necessità di un rilancio delle grandi opere il documento individua nella Valutazione di Impatto Ambientale un “laccio” da slegare e di cui sminuirne il ruolo (che include quello partecipativo delle popolazioni) nella migliore delle tradizioni anni ’90: “Ridurre i tempi e semplificare i procedimenti di valutazione di impatto ambientale (VIA)” in particolare per le autorizzazioni di nuovi impianti di produzione energetica (che evidentemente devono essere incrementati “a prescindere”). Nella aprioristica benedizione del “5G” (il nuovo, più potente ed esteso sistema digitale) Colao si preoccupa principalmente della presenza di limiti relativi alle onde elettromagnetiche troppi stringenti per uno sviluppo dello stesso a costi compatibili (profittevoli): “Poiché il 5G si basa su frequenze più elevate (che si propagano a minor distanza) il mantenimento degli attuali limiti implica che una completa copertura 5G richiederà un numero molto più elevato di stazioni radio di quello attualmente in uso per 3/4G, con implicazioni di costo e ambientali estremamente sfavorevoli e un lento sviluppo del servizio”. Dal passaggio sopra citato appare invece, nel documento di Laudato Sì, una visione delle lavoratrici e dei lavoratori come soggetti “da difendere” dalle nocività nei luoghi di lavoro e cui chiedere di essere bravi cittadini rispettosi di stili di vita rispettosi dell’ambiente. Per chi, come il sottoscritto, fa parte di Medicina Democratica, nata nel 1976 sull’onda dei movimenti operai degli anni ’60 e ’70, questa visione della soggettività operaia è certamente riduttiva. In quel contesto erano le lavoratrici e i lavoratori, nel farsi carico delle vertenze per la tutela della salute in fabbrica, che “uscivano” all’esterno per ampliare le vertenze sui diritti sociali nei luoghi di vita e per la tutela ambientale. Un movimento che ha sottoposto a critica la scienza capitalista e il modo di produrre (e il cosa produrre). Lavoratrici e lavoratori protagonisti del cambiamento e non semplici attuatori di azioni certamente condivisibili ma che risultano calate nel contesto lavorativo dopo essere state elaborate all’esterno. Questo ci ricorda un parziale “fallimento” delle vigenti norme sula sicurezza sul lavoro, ben strutturate dal punto di vista tecnico ma, senza disporre di soggetti diffusi e “motivati” per una piena attuazione ed oltre delle norme stesse, non bastando certo RLS “a macchia di leopardo” e sempre meno tecnici della prevenzione nelle ASL. La identificazione della “classe” che, nel combattere per la propria liberazione, libera l’intera società può sembrare superata dalla storia ma anche in questo caso la vicenda Covid ha fatto emergere che la classe dei lavoratori esiste ancora ed è essenziale per tenere assieme l’economia e soddisfare i fabbisogni di tutti. Infatti è stato loro imposto del lavoro forzato e a rischio nel pieno della pandemia per garantire il funzionamento dei cicli produttivi “essenziali” (non sempre tali, come nel caso delle produzioni militari, per non dire delle “deroghe” prefettizie rilasciate con un sistema di silenzio-assenso a piene mani soprattutto nelle zone a maggior rilevanza pandemica e contestuale maggior pressione di Confindustria come nel caso della bergamasca). E per tutelare i lavoratori nell’era postcovid non possono bastare distanziamento, mascherine e igienizzanti, va rimessa in discussione l’organizzazione del lavoro nel suo insieme non certo comunque con lo smart working la cui estensione incontrollata ne ha mostrato i lati alienanti e di autosfruttamento. Tantomeno serve, anzi va respinta nettamente, la “ricetta” Colao, indicata nella prima scheda del documento e quindi suo incipit che recita : Escludere contagio COVID da responsabilità penale e ridurre temporaneamente il costo delle misure organizzative anti contagio. Ogni commento appare superfluo.

IL “MANIFESTO” LA SALUTE NON E’ UNA MERCE, LA SANITA’ NON E’ UNA AZIENDA

Date tutte queste premesse, Medicina Democratica, per la propria storia e obiettivi si è sentita in obbligo di promuovere un dibattito e una condivisione con al centro il tema della salute e di una riforma del servizio sanitario nazionale. Questo dibattito ha prodotto un “manifesto” (https://www.medicinademocratica.org/wp/?p=10110) sottoscritto dal COORDINAMENTO NAZIONALE PER IL DIRITTO ALLA SALUTE che sintetizzo nel seguito nei punti focali e nelle proposte.

  • Il Servizio Sanitario Nazionale deve essere universale, senza discriminazioni di accesso e finanziato dalla fiscalità generale (e progressiva per reddito); l’efficacia va misurata in termini di salute collettiva, anziché di volumi e tempi di prestazioni erogate.
  • La spesa sanitaria pubblica deve essere adeguata e indirizzata verso la prevenzione primaria. Il sistema sanitario pubblico deve essere costituito da personale stabile, numericamente congruo, con livelli retributivi consoni e con una disponibilità di posti letto ospedalieri in linea con le esigenze di prevenzione, assistenza, cura e riabilitazione che si vogliono perseguire.
  • I Livelli Essenziali di Assistenza devono essere rimodulati e finanziati sulla base della appropriatezza e sostenuti da prove di efficacia.
  • La prevenzione deve avere come perno una medicina territoriale coordinata con gli ospedali, sottoforma di “case della salute punti di incontro delle esigenze locali (servizi sanitari, socio-sanitari e sociali), con anche una funzione di “sentinelle” dell’ambiente e comprendere servizi di medicina del lavoro; vi troveranno sede i Centri di Salute Mentale, eliminando ogni forma di contenzione anche in caso di TSO.
  • Va superata l’impostazione aziendalistica fondata sulle “compatibilità” economiche, slegata dai reali risultati di salute, basata sulla figura monocratica dei direttori generali; va eliminata anche la catena del “rapporto fiduciario” dei lavoratori ridotti al silenzio. Va azzerata la normativa che permette la libera professione intramoenia, altro fattore di diseguaglianza.
  • Va rimosso ogni finanziamento alla sanità privata, abolire le agevolazioni fiscali per la spesa sanitaria privata eliminare ogni commistione pubblico-privato.
  • Realizzare un’industria pubblica del farmaco, dei reattivi di laboratorio e dei dispositivi biomedicali contro le speculazioni e i ricatti delle multinazionali farmaceutiche.
  • Intervenire nella formazione universitaria e delle specializzazioni eliminando la precarietà dei giovani medici laureati bloccati nell’ “imbuto formativo” e poi dell’imbuto lavorativo
  • La salute della donna va promossa riconoscendo la specificità, con la medicina e la farmacologia di genere; attuando i diritti e le pari opportunità in tutti i campi: all’autodeterminazione nelle scelte di vita, alla partecipazione, al lavoro rafforzando le azioni di prevenzione, attraverso servizi territoriali a partire dai consultori.
  • Ripristinare i servizi di medicina scolastica, rivalutandoli come Centri per la Salute nelle Scuole.
  • Rinnovare una regia centrale, non centralistica, di un servizio sanitario per diffusione e qualità dei servizi, rimuovendo ogni ipotesi di “regionalismo differenziato”, garantendo uniformità di accesso, e di qualità, alle cure.
  • Le residenze sanitarie assistenziali come quelle per disabili fisici e psichici vanno poste in carico al SSN: va riconosciuta la necessità di cura della persona anziana, cronica, non autosufficiente; con la partecipazione di Comitati di familiari; le strutture devono essere
    aperte al territorio.
  • Anche la sanità animale e le produzioni alimentari sono decisive; bisogna procedere ad una trasformazione agro-ecologica delle produzioni riconvertendo gli allevamenti intensivi, estendendo le coltivazioni biologiche e riducendo l’uso di concimi chimici e pesticidi.
  • La tutela della salute (dentro e fuori i luoghi di lavoro) e dell’ambiente sono connesse e interdipendenti e vanno affrontate in modo unitario e non distribuite su competenze diverse.
  • Il riconoscimento delle malattie professionali deve passare dall’INAIL alle USL/ASL; il medico competente deve essere convenzionato con il SSN. Gli infortuni dei medici di base devono essere riconosciuti dall’INAIL.
  • Adottare una nuova organizzazione del lavoro che sia fonte di benessere per i lavoratori e non di stress. Dovrà essere rafforzato il ruolo dei Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS)
  • Va affermato l’obiettivo del MAC zero (cambio delle produzioni, eliminazione dalle produzioni delle sostanze tossiche).

Questi sono i temi per una nuova riforma che inverta il declino e la progressiva riduzione dei servizi e la deviazione dalle finalità costitutive della riforma sanitaria del 1978. Chiamiamo le associazioni, i comitati, le lavoratrici e i lavoratori, i sindacati, ad una collaborazione a un impegno fattivo e partecipato per il raggiungimento di questi obiettivi, con una nuova stagione straordinaria di lotte per l’affermazione e la piena realizzazione del diritto alla salute per tutti, nell’ambito di un SSN pubblico dove tutela ambientale, diritto e difesa della salute, diritti sociali e del lavoro siano l’espressione della riconversione complessiva del SSN nell’interesse dei cittadini in una società più equa e rispettosa dei loro bisogni e della salute collettiva e individuale.

Marco Caldiroli – Presidente di Medicina Democratica Movimento di Lotta per la Salute Onlus