Newsletter a cura del Collettivo “Prendiamo la Parola” Slai Cobas-Sial Cobas

Senza sicurezza i servizi non possono riaprire

Il sindaco Sala – lo sappiamo – spinge per accelerare la riapertura dei servizi e degli uffici comunali. Noi pensiamo però che – data la natura e l’evoluzione della pandemia in corso – sia necessario essere molto prudenti ed evitare decisioni avventate che possano mettere a repentaglio la salute delle lavoratrici e dei lavoratori.

La riapertura potrà avvenire solo quando la situazione epidemiologica sarà effettivamente sotto controllo, e dovrà essere molto ma molto graduale.

Realisticamente, pensiamo che quel che resta del mese di aprile e tutto il mese di maggio debbano essere utilizzati per preparare la ripresa.

Crediamo poi che non tutti i servizi vadano riaperti contemporaneamente, e che nei servizi via via riaperti il personale dovrà essere contingentato e lavorare in base a precise turnazioni.

Il lavoro agile dovrà ancora per qualche mese continuare ad essere la modalità di lavoro prevalente, e quindi sarà necessario regolamentarlo meglio, includendo i ticket mensa e le indennità di disagio.

La presenza del pubblico negli uffici potrà essere consentita solo su appuntamento e previa misurazione della febbre. Bisogna dunque mantenere e incrementare i servizi online e via telefono.

Prima della riapertura, gli ambienti di lavoro vanno ripensati e riorganizzati per garantire le distanze, sia tra i lavoratori che tra lavoratori e utenti, e vanno garantite la sanificazione periodica e l’igienizzazione costante dei locali. A questo proposito si dovranno anche revisionare gli impianti di aereazione e condizionamento, per evitare che possano costituire un veicolo del contagio. Naturalmente bisogna poi assicurarsi che i dispositivi di protezione (barriere in plexiglass, mascherine, guanti, disinfettanti eccetera) siano del tipo corretto e vengano distribuiti nella quantità necessaria. Prima di tornare in servizio, infine, tutte le lavoratrici e i lavoratori, a partire da quelli esposti al pubblico, devono essere sottoposti a tampone o test sierologico.

Siamo consapevoli del fatto che ogni servizio ha una propria specificità, e che alcuni presentano delle criticità particolari. Pensiamo per esempio agli asili, alle materne, alle scuole del polo Manzoni, ai centri per i disabili.

Per questo è necessario che la riapertura dei servizi sia sempre preceduta da tavoli di contrattazione per ogni area con la presenza dei rappresentanti sindacali e degli RLS (rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza).

Qualora queste condizioni non venissero rispettate sarebbe necessario che tutte le organizzazioni sindacali e la R.s.u. dessero un forte segnale all’amministrazione.

Ricordiamo come in molte fabbriche i lavoratori siano scesi spontaneamente in sciopero chiedendo la sanificazione dei luoghi di lavoro e la distribuzione di idonei mezzi di protezione.

Riteniamo che nessun lavoratore scioperi a cuor leggero, in una situazione di crisi economica scioperare vuol dire un’ulteriore perdita di guadagno.

In questo campo, le organizzazioni sindacali dovranno riuscire a mostrare tutta la fermezza necessaria, mentre da parte dei lavoratori potranno segnalare direttamente le eventuali inadempienze gravi rispetto alle misure di protezione sia agli Rls del Comune, sia direttamente al dipartimento prevenzione del’Ats – l’indirizzo è psal19@ats-milano.it

Un’ultima osservazione. Bisogna vigilare affinché l’amministrazione non utilizzi l’emergenza coronavirus e i problemi da essa causati al bilancio comunale per non rispettare gli impegni assunti in termini di occupazione. I concorsi vanno espletati e le assunzioni effettuate non appena possibile. Anche perché è prevedibile che nei prossimi mesi ci sarà un aumento di richieste di servizi da parte dei cittadini, specialmente in campo sociale e assistenziale.

Age of Covid 19

Era passata da poco metà febbraio quando nel cuore della pianura padana, una delle zone più inquinate d’Europa, esplodeva il bubbone Covid19, il virus che dopo aver messo in ginocchio la seconda potenza economica al mondo stava viaggiando indisturbato nel lodigiano forse da metà gennaio approfittando dello scadente sistema di prevenzione sanitaria di cui si è dotata da tempo la nostra regione, più concentrata su servizi sanitari più profittevoli. (https://www.offtopiclab.org/quello-che-non-bisognava-fare-appunti-sul-sistema-sanitario-lombardo/).Da quel giorno il virus si è diffuso ovunque, in tutto il paese, in tutto il mondo, in tutta la Lombardia, luogo nella quale l’epidemia ha messo radici ed ha imposto una situazione unica in tutto il paese, concentrandovi su per giù la metà dei decessi dell’intero stivale, fra cui due nostri colleghi strappati prematuramente a questa terra.

Nelle fasi iniziali, in quella che veniva chiamata unità di crisi interna all’ente, si è passato il tempo a gestire gli effetti collaterali di quel che veniva considerato un cedimento al “panico irrazionale”. I DPI non c’erano? Si diceva che servivano a poco. La sanificazione era scarsa o assente? Si diceva che i prodotti per pulire erano cambiati.

Il Covid19 uccide? Anche l’influenza. Meno male che nessuno ci ha ricordato che uccide anche il tabacco, negli ultimi giorni molti rilanciano l’impatto negativo del Covid sui fumatori, parte di una campagna imponente il cui obiettivo è farci sembrare che è colpa nostra se si muore di Coronavirus. La corsa al tenere tutto in funzione, tutto aperto ha negato per molti giorni il più importante diritto alla salute, sia quella pubblica sia quella interna al luogo di lavoro.

Poi è arrivato lo smart working generalizzato, concesso in cambio di un sistema di reporting quotidiano che in alcuni casi ha imposto addirittura un aumento della mole di lavoro per gli smart workers.

Di questi giorni è la discussione della Fase 2, una fase che dovrebbe iniziare mentre l’emergenza è tutt’altro che superata, mentre i numeri in Regione continuano a parlare di centinaia di morti e migliaia di contagi quotidiani.

Se volessimo ragionare in maniera impulsiva dovrebbe essere la rabbia a determinare le nostre azioni, acclarata la precedenza concessa alla produzione anziché alla salute.

Ragionando a mente fredda, questo ci sembra il momento per rimettere in discussione proprio questo assioma che prima del Virus campeggiava sottotraccia ma che ora è emerso prepotentemente.

Proprio la nostra attività, inserita nel contesto della pubblica amministrazione, potrebbe oggi essere la chiave per la ricostruzione di un mondo in cui il servizio pubblico svolga una funzione proattiva in direzione della salute pubblica, della riduzione delle disuguaglianze (anch’esse emerse prepotentemente) e della garanzia dei diritti e dei bisogni della cittadinanza.

Se in fondo al tunnel saremo in grado di vedere una luce, questa ci potrà indicare una nuova prospettiva, un nuovo fare servizio pubblico meno coinvolto nelle pieghe affaristiche di chi detiene il potere economico della città e più utile alle necessità della base di questa città. Non fosse così, ci troveremo davanti ad una voragine la cui profondità è potenzialmente infinita.

Il re è nudo

Può un virus mettere in ginocchio l’economia mondiale e mettere in pericolo la vita di centinaia di migliaia di persone? Evidentemente si! Anche se dobbiamo dirlo, tutta una serie di “errori” dei governi dei vari stati hanno agevolato la diffusione della pandemia. Perché hanno dato più importanza all’economia che alla salute dei loro cittadini. Per troppi governi, per questo sistema, era più importante continuare la produzione piuttosto che mettere in sicurezza la popolazione.

I ritardi nel prendere le opportune misure di sicurezza, la mancata tempestività nella chiusura dei luoghi di lavoro, la sciagurata decisione di mettere in convalescenza malati di covid 19 nelle Rsa, la scarsità dei mezzi di protezione hanno agevolato la diffusione del contagio.

Ora, visto che si prolunga la discesa della curva epidemiologica, gli industriali fanno i loro calcoli (i morti per loro sono solo numeri, un banale effetto collaterale) e chiedono di far ripartire a pieno ritmo la produzione, anche se ciò potrà causare altre tragedie.

Le grandi aziende aumentano i loro solleciti e trovano degli ascoltatori compiacenti nei governatori regionali, nei prefetti e nel governo centrale, che ha messo in piedi un comitato guidato dal neoliberista d’assalto Colao per passare alla “Fase 2”. 

Le politiche seguite dalla classe al potere hanno messo in primo piano la salvaguardia dei profitti, la stabilità del sistema capitalistico e del suo Stato, non hanno messo al centro la vita e la salute dei lavoratori e delle masse popolari.

Non si tratta solo di incapacità e di errori madornali, ma di politiche calcolate in base al costo che la borghesia ha deciso di far pagare ai lavoratori pur di mantenere la produzione e reggere la concorrenza internazionale.

Queste gravissime responsabilità si sommano a quelle di una classe dirigente che negli ultimi decenni ha distrutto la sanità pubblica a favore di quella privata, tagliato decine di migliaia di posti letto, ridotto il numero dei lavoratori della sanità, con le conseguenze drammatiche che tutti hanno visto.

Nel frattempo, cresce il numero di aziende italiane (Fiat, Mediaset, Ferrari, Eni, Enel, Campari, Cementir del costruttore Caltagirone, ecc) che spostano la sede legale in Olanda per sottrarre decine e decine di miliardi al fisco italiano, soldi che potevano essere utilizzati per rafforzare la sanità e lo stato sociale.

Nel mentre, industriali ed enti pubblici battono cassa preparandosi a far pagare la crisi ai lavoratori.

I lavoratori pubblici e privati devono organizzarsi, per pretendere il rispetto della loro salute e la tutela dei loro diritti. 

Certo oggi ci diranno che questa pandemia ha messo in ginocchio l’economia, che non ci sono soldi. Intanto continua senza sosta la produzione di armamenti, come gli ormai famigerati F35 o due nuovi sottomarini U-212 NFS il cui costo complessivo previsto è di 2,3 miliardi (tranne futuri ed imprevisti aumenti della spesa). Senza voler fare gli antimilitaristi a tutti i costi, ma in questo momento storico cosa è più impellente, rafforzare la sanità e lo stato sociale o rafforzare gli armamenti? Ad esempio quest’anno la dotazione prevista al ministero della difesa è di 22.9 miliardi circa 1,5 miliardi in più all’anno scorso.