Alain Bihr: i “gilets gialli”, un sollevamento popolare contro il secondo atto dell’offensiva neoliberista

I “gilets gialli”: un sollevamento popolare contro il secondo atto dell’offensiva neoliberista

di Alain Bihr, dal sito Alencontre dell’8 dicembre 2018

traduzione a cura di Il Cuneo Rosso

Non è più necessario ricordare l’ampiezza di un movimento senza eguali, come è senza eguali la sorpresa generale che il suo scoppio ha prodotto, una sorpresa  prolungata dalla sua durata e radicalizzazione. D’altra parte, la sua stessa esistenza e il suo futuro continuano a porre alcune domande teoriche e politiche.

Le caratteristiche sociologiche del movimento

I reportage giornalistici a caldo, così come le testimonianze di attivisti che hanno preso parte al movimento dei blocchi stradali, evidenziano la sua eterogeneità in termini di composizione di classe, cosa che contrasta con la sua concentrazione spaziale [1].

La sua composizione multi-classe è indubbia, però il grosso di esso è formato dal proletariato (operai e impiegati, salariati e non), e in più da membri degli strati inferiori dei quadri di impresa (capisquadra, tecnici), da appartenenti alla piccola borghesia (essenzialmente  artigiani, ma anche contadini e persino intellettuali, per esempio, infermieri/e) e perfino da piccoli imprenditori. La presenza di donne e pensionati è molto più grande di quella che c’è nelle mobilitazioni a cui siamo abituati.

Se questa eterogeneità non ha ostacolato il movimento, è perché tutti condividono un certo numero di punti comuni che hanno reso possibile la convergenza. Si tratta delle vittime delle politiche di austerità praticate da tutti i governi per quasi quattro decenni. Queste politiche hanno provocato il deterioramento delle loro condizioni contrattuali, di lavoro e di retribuzione; la crescente difficoltà a “far quadrare i conti alla fine del mese”; la crescente angoscia per ciò che accadrà il giorno dopo per se stessi e per la propria famiglia (specialmente i bambini); il degrado o persino la scomparsa dei servizi pubblici e delle strutture pubbliche a cui potrebbero accedere; la sensazione di non essere rappresentati (tenuti in conto e considerati) da nessuno (compresi i sindacati, i professionisti, i politici), con la sola eccezione di qualche sindaco (che però ha ben poco potere); la sensazione di essere abbandonati, lasciati a se stessi e disprezzati da governanti che non hanno occhi, orecchie e voce se non per quelli che stanno in alto.

E tuttavia questi “espropriati” hanno ancora la forza collettiva della solidarietà locale, basata sulla parentela e sul vicinato, fatta di reciproca conoscenza e riconoscimento, ma anche di un’intera “economia sommersa” di mutuo soccorso, scambio di servizi, donazioni e contro-donazioni, che garantisce, oltre la sopravvivenza, la possibilità di cavarsela. Altrimenti, non si spiegherebbe come mai molti uomini e donne hanno partecipato alle operazioni svolte dai “gilet gialli” nel freddo di novembre per diversi giorni consecutivi e fino a più di dieci giorni in alcuni casi.

La seconda caratteristica sociologica di rilievo del movimento è che si è sviluppato nelle zone rurali intorno ai centri urbani. Il fatto è che le categorie sociali sopra indicate sono sempre più espulse dai centri urbani e dalle periferie urbane più vicine alle aree metropolitane, per effetto dell’aumento dei prezzi dei terreni e degli immobili e della ripartizione spaziale delle città. D’altra parte, nello spazio peri-urbano, la dipendenza dall’auto individuale è massima: è indispensabile almeno un’auto per famiglia non solo per andare a lavorare, ma anche per fare acquisti, per portare i bambini a scuola ed alle attività extrascolastiche, per andare dal medico ed effettuare le procedure amministrative necessarie, per partecipare alle attività della comunità locale, ecc., a causa della crescente concentrazione di strutture e servizi, pubblici o privati, nei centri e nelle periferie urbane, e dell’assenza o carenza di mezzi di trasporto pubblico, e della preferenza accordata ad alloggi singoli che produce la dispersione delle abitazioni.

Di qui, il carattere obbligato delle spese di carburante per queste famiglie [2] e, quindi, dato il loro budget precario, l’estrema sensibilità di tali fasce della popolazione ai prezzi dei carburanti. E proprio il loro continuo aumento negli ultimi mesi, a seguito dell’aumento del prezzo del petrolio sul mercato mondiale, e l’annuncio di un ulteriore loro prossimo aumento (dal 1° gennaio: + 6,5 centesimi al litro il gasolio, + 2 9 centesimi al litro il SP95) a seguito dell’aumento dell’imposta sui consumi interni dei prodotti energetici (TICPE), è stato la miccia che ha dato fuoco alle polveri! Tanto più perché, poiché il gasolio è stato a lungo tassato meno degli altri carburanti, il numero di autovetture individuali a diesel rappresenta ancora oggi oltre il 60% del totale. Da qui anche la scelta delle modalità di azione dei manifestanti (bloccare o filtrare il traffico per sensibilizzare gli automobilisti) e la scelta del simbolo della protesta (il famoso gilet giallo).

Caratteristiche politiche e ideologiche del movimento

La composizione sociale del movimento è per l’essenziale sufficiente a spiegare i suoi limiti originari a livello politico e ideologico. Le sue rivendicazioni immediate si sono limitate a chiedere un calo del prezzo dei carburanti, comprese le tasse che rappresentano il 60% di questo prezzo. Ma questa rivendicazione attacca solo un aspetto minore della politica fiscale del governo, senza mettere in discussione l’insieme di quest’ultima, in particolare l’aumento delle imposte indirette e la riduzione di quelle dirette, e all’interno di queste ultime l’aumento della tassazione sui redditi da lavoro a beneficio dei redditi da capitale, e dunque dei redditi più alti e e dei grandi patrimoni: vedi l’abbassamento dell’imposta sulle società (IS), la flat tax sui redditi da capitale, l’abolizione delle aliquote più elevate (IRPP), l’abolizione della tassa di solidarietà sulla ricchezza (ISF) [3]. I “gilet gialli” non hanno neppure messo immediatamente in discussione la ripartizione delle entrate fiscali (la componente della spesa pubblica) a beneficio del capitale (vedi ad esempio il credito d’imposta per la competitività e l’occupazione – CICE – pari a circa centodieci miliardi in cinque anni) e a scapito del lavoro (tagli netti al finanziamento dei servizi pubblici e dei beni pubblici, una parte dei quali è salario indiretto o differito). Ma non c’è da sorprendersi per tali limiti se si pensa a tutti quelli, tra i dimostranti, che non avevano avuto finora, ed è la stragrande maggioranza, nessuna esperienza o formazione politica, e per i quali questa protesta è stata la loro prima mobilitazione.

Approfittando dei limiti immediati del movimento, diverse voci si sono levate per gettare discredito su di esso o, almeno, per avanzare dei sospetti. Vada per il disprezzo ordinario delle “alte sfere” per il “popolo basso”. Più sorprendenti e inquietanti le voci da sinistra e anche dall’estrema sinistra. Il movimento è stato descritto come poujadista. Nella seconda metà degli anni 1950, il poujadismo è stato un movimento composto principalmente da elementi della piccola borghesia (anche commerciale) e da possessori di piccoli capitali minacciati dalla penetrazione del grande capitale (oligopolistico) in alcuni rami di industria, del commercio e dei servizi, e dalla creazione di istituzioni caratteristiche del compromesso fordista tra capitale e lavoro salariato (in particolare, la sicurezza sociale). Il movimento attuale, invece, è composto prevalentemente da elementi del proletariato minacciati dal continuo smantellamento delle conquiste del compromesso fordista. L’unica cosa in comune è l’antifiscalismo; ma mentre questo era un punto fermo per il movimento poujadista, l’attuale movimento dei “gilet gialli” è già andato oltre, come vedremo in seguito.

Le “anime  belle” della sinistra e di parte dell’estrema sinistra hanno anche accusato questo movimento di essere al traino della destra e dell’estrema destra. Queste accuse sono state lanciate sulla base dell’osservazione di slogan o comportamenti sessisti e razzisti all’interno dei collettivi di “gilet gialli”; della presenza in gruppi di dimostranti di simboli o marcatori della destra o dell’estrema destra nazionalista (la bandiera tricolore, la marsigliese); del sostegno immediato ai “gilet gialli” da parte dei leader dell’estrema destra o della destra estrema (Le Pen, Dupont-Aignan, Vauquiez) che cercano di recuperare il movimento per i propri fini, e della partecipazione dei militanti dell’estrema destra ad alcuni dei loro collettivi.

Anche se molte volte i “gilet gialli” si sono dichiarati “apolitici” (ed è vero che l’apoliticismo è piuttosto di destra), si può comunque rispondere a simili accuse. A parte il fatto che le azioni e le parole razziste o sessiste sono rimaste proprie di una minoranza, i “gilet gialli” non hanno purtroppo il monopolio del sessismo o del razzismo. Da questo punto di vista, gli attivisti e le organizzazioni di sinistra e di estrema sinistra farebbero bene a spazzare il terreno davanti alla loro porta. Inoltre, aspettare che un movimento popolare spontaneo sia ideologicamente puro per sostenerlo e intervenire, equivale a condannare se stessi all’impotenza, e mettere il carro davanti ai buoi: richiedere come punto di partenza ciò che può essere solo un punto di arrivo. Inoltre, sostenere che marcatori come il tricolore e la marsigliese siano dei contrassegni solo della destra o dell’estrema destra, è assai discutibile. Si può facilmente ricordare il retaggio rivoluzionario ad essi collegato, che rimane l’unico a disposizione delle popolazioni private di ogni altra eredità rivoluzionaria. Ultima, ma non meno importante, è la considerazione che nel movimento dei “gilet gialli” non è tanto la presenza di elementi nazionalisti di destra o di estrema destra che deve allarmarci, quanto l’assenza della sinistra e dell’estrema sinistra per controbilanciarli e cacciarli dal movimento.

Critica dell’atteggiamento dei sindacati e della politica della sinistra e di una parte dell’estrema sinistra

Infatti nel loro insieme queste organizzazioni si sono tenute fuori da questo movimento, almeno all’inizio. Sul versante politico, c’è stato un sostegno a fior di labbra da parte del Partito socialista (che non si è ancora ripreso dal crollo dello scorso anno) e del Partito comunista (impegnato nel suo congresso); un maggiore sostegno da parte di France Insoumise, dell’NPA (Nouveau parti anti-capitaliste) e di AL (Alternative Libertaire), ma senza alcuna chiamata alla massiccia partecipazione al movimento – a parte alcuni singoli (Ruffin, Besancenot, Poutou). Per quanto riguarda i sindacati, hanno presentato un gradiente di atteggiamenti che va dalla indifferenza al sospetto all’aperta diffidenza fino all’ostilità (il primato, come al solito, va alla CFDT, il cui segretario generale ha visto nel movimento “una forma di totalitarismo”) – con l’eccezione di alcune strutture locali o federali (CGT metallurgia, le branche industria e poste di Sud-Solidaire, e il ramo trasporti di Force ouvrière) e, naturalmente, dei loro membri o soci che più o meno rapidamente hanno fatto una scelta contraria a quella delle loro direzioni.

Le ragioni di tale atteggiamento sono molteplici. Hanno avuto la loro parte le  precedenti critiche del movimento, insieme con l’accusa di spianare la strada al padronato … dell’industria del trasporto su gomma, che ha sostenuto il movimento  nella sua rivendicazione-chiave, prima di ritirargli rapidamente il suo appoggio e protestare contro i blocchi stradali. Andando più in profondità, c’è da chiamare in causa l’ostilità di principio nei confronti dei movimenti sociali spontanei (il movimento di “gilet gialli” è partito da una petizione che è circolata nelle “reti sociali”) da parte degli stati maggiori sindacali che hanno l’abitudine di far sfilare le proprie truppe solo dove e quando hanno deciso loro di farlo. Infine, è necessario sottolineare la loro esternità rispetto a tutta quella parte degli strati popolari in cui queste organizzazioni non hanno più nessuna presenza e che è diventata perciò per loro estranea e invisibile tanto quanto lo è per il potere. Il che dice molto sulla loro mancanza di radicamento nel “paese reale”, e ha costretto queste sedicenti avanguardie a ritrovarsi al traino del movimento popolare, almeno ai suoi inizi.

Ovviamente, un tale atteggiamento non è solo un errore, è una grave colpa politica. Il movimento dei “gilet gialli” è certamente composito, diviso tra tendenze divergenti, e porta dentro di sé possibili linee di evoluzione opposte. La sua piattaforma iniziale era decisamente povera di contenuti e il suo orizzonte politico limitato (se non inesistente). Ma il suo potenziale di lotta era e rimane enorme, come già dimostrato dall’arricchimento della prima e dall’allargamento del secondo [4]. Ed è compito proprio delle organizzazioni sindacati e politiche anti-capitaliste intervenire all’interno di esso e al suo fianco per amplificare questo duplice processo e orientare il movimento in un modo generalmente favorevole agli interessi di classe dei suoi membri. Resta da determinare come.

Proposte per sostenere, estendere e rafforzare il movimento

Anzitutto non intervenire con la presunzione di dare lezioni e, ancor meno, dando l’impressione di voler recuperare il movimento a vantaggio di una qualsiasi organizzazione o di un programma politico definito. Al contrario, si tratta di difendere l’autonomia integrale del movimento in relazione al mondo esterno e alla sua democrazia interna. Ci si accontenti di difendere, al suo interno, una serie di proposte – io ne fornisco qui alcune per la discussione.

Per quanto riguarda le forme di organizzazione

Promuovere la democrazia assembleare nei collettivi. Fare di ogni riunione un luogo di discussione e di deliberazione. Difendere l’autonomia dei collettivi locali sostenendo il più ampio coordinamento possibile tra i collettivi locali su una base territoriale definita da loro. Dare un mandato vincolante ai delegati ai coordinamenti in questione. Non accettare l’istituzione dei cosiddetti rappresentanti nazionali incaricati di negoziare con il governo. Ma, per quanto possibile, favorire l’avvicinamento con le organizzazioni e i movimenti che hanno sostenuto il movimento, senza nessun tentativo di un utilizzo strumentale dall’una parte o dall’altra, a cominciare da quelle/i (principalmente le organizzazioni sindacali e i movimenti delle scuole e degli studenti) che sono già impegnati in azioni di protesta sul loro stesso terreno. Nel paese il potenziale di malcontento e di ribellione è enorme, come dimostrano i fatti di sabato 1° dicembre, con sommosse a Parigi, ma anche nelle province (Marsiglia, Saint Etienne, Le Puy-en-Velay, Tours), che non hanno avuto per protagonisti solo i soliti “casseur”.

Per quanto riguarda il contenuto della protesta

Proporre l’elaborazione di una piattaforma rivendicativa che incorpori le richieste immediate del movimento, mentre difende la necessità di espanderle e approfondirle. Qualche esempio:

*Immediato ribasso del prezzo del carburante attraverso un intervento sul TICPE, che è attualmente la quarta fonte di entrate fiscali per lo stato (dopo IVA, IRPP e SI). Fissazione di un prezzo amministrato del carburante al fine di evitare il suo incremento alla pompa.

*Forte rivalutazione delle principali entrate di cui vivono gli strati popolari che si sono mobilitati: portare lo SMIC (salario minimo) e le pensioni di anzianità al livello del salario medio attuale (circa € 1.700); operare una equivalente rivalutazione di tutte le prestazioni sociali; aumentare i minimi sociali al di là dell’attuale soglia di povertà (ad esempio a € 1200).

*Adozione e attuazione urgente di un piano per combattere la povertà. Trasferimento di tutti i senzatetto nelle abitazioni vuote come è permesso dalla legge.

*Stabilire una regolamentazione degli affitti. Lanciare un programma pluriennale, finanziato con fondi pubblici, per isolare tutti gli alloggi, sociali o meno, a partire da quelli occupati dalle famiglie in uno stato di precarietà energetica.

*Riduzione delle imposte indirette (ad esempio ampliamento del paniere di beni e servizi soggetti all’aliquota IVA ridotta, con l’imposizione di un prezzo massimo – per evitare che i commercianti intaschino la differenza). Riduzione della tassazione diretta sul lavoro. Aumento della tassazione diretta sul capitale, sui redditi alti e sulle grandi fortune: reintroduzione degli scaglioni più alti dell’IRPP; aumento della tassazione dei redditi da capitale a titolo di protezione sociale; forte tassazione degli utili distribuiti sotto forma di dividendi; aumento del tasso dell’IS; reintroduzione dell’ISF. Rimozione del CICE e di tutte le scappatoie fiscali, il cui importo servirà a  finanziare le misure ecologiche e sociali indicate altrove.

*Adozione di una moratoria sul debito pubblico. Apertura di una procedura di audit per questo debito per determinarne la parte illegittima, che non sarà rimborsata.

*Elaborazione di un cahier contro il degrado dei servizi pubblici e per il loro rafforzamento, in particolare nel settore dei trasporti (riapertura di linee ferroviarie locali chiuse, trasporto pubblico gratuito), della sanità (istituzione di un periodo di presenza obbligatoria di giovani medici nei territori privi di presidi medici, riapertura degli ospedali e dei servizi ospedalieri chiusi, fornendo loro risorse aggiuntive) e dell’istruzione (nessuna chiusura di classi nella scuola primaria, istituzione di una distanza minima da percorrere per gli alunni della scuola secondaria e di un sistema di scuolabus, risorse aggiuntive per le attività extracurricolari).

*Abrogazione di tutte le misure volte allo smantellamento della protezione sociale: abrogazione delle misure che non prevedono il rimborso del costo delle medicine; piano di emergenza per attribuire agli ospedali pubblici risorse aggiuntive, con l’abbandono di qualsiasi sussidio alle cliniche private; introduzione di un diritto alla pensione per tutti dopo 30 anni di lavoro, sulla base del 75% del miglior reddito lordo di attività limitato a due volte lo SMIC [5].

Per quanto riguarda le forme di azione

Senza abbandonare le operazioni di blocco o di filtraggio del traffico intorno alle città (per discutere con gli automobilisti, incoraggiarli ad aderire al movimento, e far conoscere loro le rivendicazioni), adottare forme di azione coerenti con le precedenti rivendicazioni (ad esempio, il blocco o l’occupazione di servizi pubblici per sostenere le rivendicazioni del personale di questi servizi e informare il pubblico delle loro rivendicazioni; coinvolgimento dei sindaci, dei consigli dipartimentali e regionali; fare pressione su deputati e senatori per costringerli a rilanciare le precedenti rivendicazioni).

Ma, soprattutto, mi sembra necessario privilegiare azioni decentralizzate e coordinate nelle province piuttosto che puntare sulle azioni centralizzate a Parigi: questo, per permettere al massimo numero di persone di partecipare; per permettere ai collettivi locali di mantenere il controllo delle loro decisioni e del loro programma; per paralizzare gradualmente il paese; per esaurire il governo e le sue cosiddette “forze di polizia” costringendoli a moltiplicare i loro punti di intervento e i loro spostamenti.

Al di là delle precedenti proposte, che possono e devono essere discusse collettivamente all’interno del movimento, è soprattutto la necessità e l’urgenza di intervenire al suo interno per consentirgli di andare il più lontano possibile, che non deve più essere messo in discussione nelle organizzazioni sindacali e politiche anti-capitaliste. E, qualunque sia il risultato, questo movimento avrà rivelato l’esistenza di un immenso campo di strati popolari che deve costituire una campo di intervento per queste organizzazioni nei mesi e negli anni a venire. In caso contrario, non ci sarà da sorprendersi né da lagnarsi nel vedere questi strati popolari cedere ancora un po’ di più di oggi alle sirene dell’estrema destra che, a sua volta, sapranno suscitare risentimento, seminare la xenofobia e il razzismo, e promuoverlo il ripiegamento identitario. (2 dicembre 2018)

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[1] A queste due fonti di informazione, mi permetto di aggiungerne una terza, più ristretta nello spazio ma anche più diretta e completa, di carattere più soggettivo. Da diversi anni passo due terzi del mio tempo in un piccolo villaggio della Déodatie (la regione di Saint-Dié-des-Vosges), e questo mi ha permesso di osservare direttamente molti fenomeni che chiarificano lo scoppio del movimento dei “gilet gialli”. Durante il primo fine settimana di mobilitazione, nel raggio di dieci chilometri dal villaggio, si sono verificati non meno di cinque blocchi stradali (i due ingressi principali a Saint Die, uno a Moyenmoutier, uno a La Petite Raon, uno a Raon-L’Étape). I Vosgi hanno conosciuto nel fine settimana circa ottanta blocchi, per lo più concentrati nella regione orientale, ai piedi dello stesso massiccio dei Vosgi, alcuni in località che sarebbe difficile trovare su una carta geografica: Provenchères-sur-Fave, Frapelle, Anould, The Union, ecc.


[2] Come giustamente ha ricordato Michel Husson,  http://alencontre.org/economie/les-fondements-microeconomiques-de-la-connerie.html

[3] Secondo una stima del OFCE, sarà il 5% più ricco delle famiglie il principale beneficiario della politica socio-fiscale del governo attuale, che (a parte altri fattori) avrà già guadagnato un aumento del potere d’acquisto entro il 2019 del 2,2% rispetto al 2017, mentre quello del 5% delle famiglie povere sarà cresciuto solo dello 0,2%, undici volte di meno! Cf. M. e R. Aereo Sampognaro, Policy Brief OFCE, n ° 30, gennaio 2018. https://www.ofce.sciences-po.fr /pdf/pbrief/2018/Pbrief30.pdf

[4] Si veda ad esempio la piattaforma rivendicativa adottata il 28 novembre in previsione di un incontro di un certo numero di delegati a palazzo Matignon, la residenza del primo ministro francese (che alla fine non è si è fatto)  https://www.francetvinfo.fr/economie/transports/gilets-jaunes/zero-sdf-retraites-superieures-a-1-200-euros-salaire-maximum-a-15-000-euros-decouvrez-la-longue-liste-des-revendications-des-gilets-jaunes_3077265.html?fbclid=IwAR0JFfwjPHMqH28JEzSiLtdKp3_YuHGxEPoZAIhNBznMn6OIC4qaZXydFeA

Cf. anche il video visibile al seguente indirizzo:

https://www.youtube.com/watch?v=gJV1gy9LUBg .

E la lista delle rivendicazioni contenuta  nei «cahiers de doléances» publicati, questo 2 dicembre 2018, sul sito di alencontre.org [https://alencontre.org/europe/france/france-debat-les-cahiers-de-doleances-des-gilets-jaunes.html ]

[5] Molte di queste misure fanno già parte della piattaforma di richieste riportate nella nota precedente.