di Luisiana Gaita, da Il Fatto Quotidiano dell’8 ottobre 2018
Quattrocento pagine per spiegare cosa accadrà se il riscaldamento globale dovesse superare 1,5°C. In estrema sintesi: sarebbe un disastro da evitare a tutti i costi. Secondo il rapporto Global Warming presentato oggi al summit di Incheon-Songdo, in Corea del Sud, dal Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (Ipcc), la superficie terrestre si è riscaldata di un grado, abbastanza per provocare un’escalation di tempeste, alluvioni e siccità mortali. Andando di questo passo si prevede un ulteriore aumento di tre, quattro gradi. Secondo lo studio, il primo in cinque anni sul cambiamento climatico, se si dovesse continuare a emettere la stessa quantità di CO2, l’aumento di temperatura del pianeta supererà il grado e mezzo già nel 2030. Ma quella soglia non deve essere superata. Sono quattro i percorsi possibili tracciati nello studio per riuscire nell’impresa.
Il rapporto, commissionato e approvato dai governi che nel 2015 avevano firmato l’Accordo di Parigi, arriva proprio alla vigilia della riunione dei ministri europei dell’ambiente, domani a Bruxelles, chiamati ad adottare la posizione europea per la prossima Conferenza sul clima (COP24) di Katowice, in programma a dicembre e nell’ambito della quale i governi rivedranno l’Accordo di Parigi per affrontare i cambiamenti climatici. Lo studio non potrà che essere un punto di riferimento per la stessa Conferenza, perché entra nel vivo delle difficoltà di raggiungere l’obiettivo, vista l’inadeguatezza delle politiche messe in campo finora.
Lo scenario descritto nel rapporto
Il dossier è frutto di due anni di lavoro di 91 ricercatori, provenienti da 44 Paesi, che hanno esaminato 6mila studi in materia e valutato 42mila recensioni di colleghi e governi. Secondo gli esperti dell’Ipcc, le conseguenze del riscaldamento di un grado della superficie terrestre sono già sotto gli occhi di tutti: tra gli altri cambiamenti, condizioni meteorologiche estreme, innalzamento del livello del mare e diminuzione del ghiaccio marino artico. Tuttavia è ancora possibile limitare il riscaldamento globale a un aumento di 1,5 gradi Celsius, ma occorrono “cambiamenti rapidi, di ampia portata e senza precedenti”. Il report mostra come le emissioni globali debbano diminuire di circa il 45% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2010, per poi essere totalmente azzerate al massimo entro il 2050. Questo significa che eventuali emissioni residue dovranno essere compensate rimuovendo CO2 dall’aria con tecniche la cui efficacia non è dimostrata su larga scala e che potrebbero comportare rischi significativi per lo sviluppo sostenibile. Se si dovesse continuare a emettere CO2 ai ritmi odierni, invece, ci si attende che la temperatura del pianeta superi il grado e mezzo di aumento già tra il 2030 (ossia fra appena 12 anni) e il 2052. Per rimanere sotto la soglia, quindi, servono da subito enormi investimenti, con una spesa annua pari al 2,5 per cento dell’intero prodotto interno lordo mondiale per almeno 20 anni.
I benefici: minore innalzamento dei mari e minore scioglimento dei ghiacci
Cosa cambierebbe, in termini concreti, se si superasse il grado e mezzo Celsius, magari arrivando anche alla soglia dei due gradi teorizzata dall’economista di Yale, William Nordhaus, appena insignito del Premio Nobel? Secondo gli autori del rapporto il riscaldamento globale a 1,5°C invece che a 2°C “potrebbe andare di pari passo con il raggiungimento di una società più sostenibile ed equa”. Intanto nel 2100 l’innalzamento del livello del mare su scala globale sarebbe più basso di 10 centimetri con un riscaldamento globale di 1,5°C invece che 2°C. L’Oceano Artico si ritroverebbe senza ghiaccio in estate solo una volta ogni cento anni, invece che almeno una volta ogni dieci anni, mentre le barriere coralline diminuirebbero del 70-90 per cento invece che scomparire quasi totalmente con una riduzione di circa il 99 per cento.
I quattro percorsi suggeriti
Quattro i percorsi possibili per mantenere il riscaldamento globale entro 1,5 gradi dai livelli pre-industriali, l’obiettivo più ambizioso dell’Accordo di Parigi. Tutti e quattro prevedono la riduzione della quantità di gas serra nell’atmosfera prodotto dall’uomo. Due le modalità: attraverso il taglio delle emissioni (passaggio a energie rinnovabili e veicoli elettrici, efficienza energetica, riciclo dei rifiuti, riduzione del consumo di carne) e attraverso la rimozione della Co2 (riforestazione, cattura e stoccaggio del carbonio, procedimento quest’ultimo ancora sperimentale). Il primo percorso indicato dall’Onu prevede di puntare sul risparmio energetico e la riforestazione. Il secondo si pone come obiettivo una elevata sostenibilità di tutti i settori produttivi, con un limitato uso dello stoccaggio di carbonio (che ad oggi è fattibile tecnicamente, ma non ancora sostenibile economicamente). Il terzo scenario vede i settori dell’energia e industriale simili a oggi, ma con una maggiore attenzione alla sostenibilità e un ricorso significativo al ‘carbon storage’. Il quarto percorso (quello più caro all’amministrazione Trump, ma tecnicamente futuribile) prevede uno sviluppo basato sulle fonti fossili, con forti emissioni riassorbite dallo stoccaggio di carbonio.
Il ruolo dell’Italia
Domani i ministri europei dell’ambiente si riuniranno a Bruxelles. “L’Italia può e deve avere un ruolo da protagonista in Europa non solo per tradurre in realtà la promessa di Parigi, ma soprattutto per accelerare la transizione, fondata su efficienza energetica e rinnovabili, verso la decarbonizzazione dell’economia europea” ha commentato, dopo la pubblicazione del rapporto, Edoardo Zanchini, vicepresidente di Legambiente, secondo cui “il Consiglio Ambiente deve impegnarsi ad aumentare entro il 2020 gli obiettivi europei, in linea con la traiettoria di riduzione delle emissioni compatibile con la soglia critica di 1.5°C, così da poter raggiungere zero emissioni nette entro il 2040”.