DDL Pillon: fine dell’assegno di mantenimento e canone d’affitto per la casa familiare. Come se non ci fosse disparità salariale e di carriera uomo-donna!

Il disegno di legge sulla riforma dell’affido condiviso del Senatore Pillon si ispira alla cosiddetta «bigenitorialità perfetta» e punta a riscrivere la legge del 2006 sull’affido condiviso dei figli dopo separazioni e divorzi stabilendo che i figli trascorrano metà del tempo con il padre e metà con la madre e abbiano due residenze. L’assegno di mantenimento viene quindi a cadere in favore del “mantenimento diretto”, nonostante in Italia più di metà delle donne non abbia un’occupazione. Per non parlare del fatto che chi mantiene la residenza nella casa familiare – ora assegnata quasi sempre alle madri “tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli” – debba versare all’altro, se ne è proprietario, un canone di affitto. La rete «Dire» dei centri antiviolenza ha lanciato una petizione su Change.org e indetto, contro la proposta di Pillon, una grande manifestazione a Roma il 10 novembre prossimo. Il timore, per le associazioni che difendono i diritti delle donne vittime di violenza domestica, è quello che la legge, se approvata in questo modo, «comporterebbe per le donne, con minori risorse economiche, l’impossibilità di chiedere la separazione e mettere fine a relazioni violente».

Proponiamo qualche dato sulla disparità salariale uomo-donna e sull’ineguale accesso al reddito e alla carriera che ancora rende in salita la vita in Italia delle donne – e delle donne separate con figli in particolare.

un estratto dall’articolo di Nadia Somma, da Il Fatto Quotidiano del 18 ottobre 2018

Il gap tra uomini e donne esiste eccome, caro Mazzola. E ha radici economiche

(…) L’Istat ha rilevato finalmente qualche anno fa anche la povertà delle donne separate di cui non si parlava mai. La fine di un matrimonio impoverisce entrambi i coniugi ma ad essere maggiormente a rischio di povertà sono le donne (24% contro il 15% degli uomini). Il 40% delle donne sposate sono disoccupate e il 60% che lavora, ha redditi più bassi di quelli dei mariti ed è per questo che rivelano i dati Caritas, la popolazione di separati o divorziati che si rivolge ai servizi del circuito ecclesiale è composta da un 53,5% di donne e un 46,5% di uomini (parlando di famiglie o ex famiglie con figli minori). In Italia da decenni sono state abbandonate politiche per cambiare le relazioni tra donne e uomini e il lavoro di cura è stato lasciato sulle spalle delle donne che svolgono lavoro domestico a scapito di carriera e lavoro. Esiste una mole di lavoro di cura che le donne svolgono senza alcun riconoscimento e anzi spesso sono state tacciate con violenza di parassitismo.

Sempre grazie ad una indagine Istat pubblicata del 2016 e che traccia un identikit del Paese si evince che le donne hanno effettuato 50 miliardi e 694 milioni delle ore di produzione familiare pari al 71% del totale. “Le casalinghe, con 20 miliardi e 349 milioni di ore – ci dice Istat – sono i soggetti che contribuiscono maggiormente al lavoro di cura. Il numero medio di ore di lavoro non retribuito svolte in un anno è pari a 2.539 per le casalinghe, 1.507 per le occupate e solo  826 per gli uomini (considerando sia quelli occupati, sia quelli non occupati)”. Tutte le indagini svolte negli ultimi dieci anni, ci dicono che le donne sono penalizzate nel mondo del lavoro e non solo da pregiudizi ma anche dalla maternità. I dati dell’Ispettorato del lavoro basati su una ricerca del 2016 rivelano che le dimissioni volontarie sono state 37.738 e che le donne lasciano il lavoro per assenza di servizi, impossibilità di conciliare lavoro e cura dei figli e assenza di rete parentale. Nel nostro Paese da anni si tagliano risorse per il welfare, tanto sono le donne ad assumerlo sulle loro spalle: curano figli, gli anziani, i famigliari ammalati o con handicap e pure mariti.

L’avvocato Mazzola dovrebbe sapere che uno dei principi del diritto è che non si possono trattare in maniera disuguale soggetti che sono su un piano di uguaglianza ma neppure trattare in maniera uguale soggetti tra cui esiste una disuguaglianza. Il carico di cura dei figli è sulle madri e quando nelle separazioni i giudici intervengono per aumentare la frequentazione tra padri e figli, suscitano spesso l’opposizione dei padri non delle madri, lo ha dichiarato in un comunicato contro il ddl PillonMagistratura democratica. E’ ovvio che in una società dove gli uomini dedicano la vita a lavoro e carriera (e lo possono fare grazie al lavoro di cura svolto dalle mogli) il tempo per occuparsi dei figli è minore. Un modo per cambiare le cose sarebbe una proposta di legge per introdurre in Italia, come è avvenuto in molti Paesi, la legge sui congedi dal lavoro per paternità e maternità, di pari durata e non cedibili. Nel 2012 invitai Mazzola ad occuparsene insieme alla sua associazione e alle associazioni dei padri separati. Mi rispose che era favorevole ma non mi risulta che se ne sia interessato sul suo blog o con la sua associazione.

Infine, uno sguardo su alcune delle meravigliose carriere delle donne.

Aumentano le magistrate ma solo una minima percentuale arriva ai vertici. Ne scriveva sulla Stampa, un anno fa circa, Linda Laura Sabbatini con l’articolo “La lunga marcia incompiuta delle donne in magistratura“: “I vertici sono rigidamente maschili. Nessuna donna è mai stata presidente della Corte di Cassazione, tra i membri del Csm solo tre sono donne e una sola espressione dei giudici togati. Tre magistrati su quattro, tra coloro che esercitano funzioni direttive, sono uomini e poco meno di due terzi di quelli che esercitano funzioni semidirettive”. Non splende il sole sui cammini delle donne nemmeno in altre professioni. Ieri Vincenzo Barone, rettore della Normale di Pisa, ha denunciato come sia impossibile promuovere delle donne all’Università perché  appena ad un concorso si presenta una donna arrivano lettere anonime concalunnie sessiste. Le solite accuse che investono la sfera della sessualità delle donne con particolari che non hanno nulla a che vedere con la loro competenza e professionalità come se la moralità delle donne dovesse influenzarne le carriere.