Sial Cobas. Ilva: senza chiusura degli impianti inquinanti e con l’immunità penale per Arcelor Mittal non c’è nessuna garanzia su salute ed occupazione

I cittadini di Taranto e non pochi lavoratori dell’Ilva hanno lottato in questi ultimi dieci anni per liberare la città da uno stabilimento vetusto dal punto di vista degli impianti e della produzione e talmente inquinante da essere stato posto sotto sequestro dalla magistratura. Ogni anno in città si registrano più di mille nuovi casi di cancro. Eppure sono stati emessi ben 12 decreti salva-Ilva dai governi passati che di fatto creano un pericoloso precedente, ossia la possibilità per un’azienda di non rispettare le leggi ambientali che valgono sul resto del territorio nazionale.

Il 6 settembre scorso si è siglato un pre-accordo tra il nuovo acquirente Arcelor Mittal (il colosso indiano dell’acciaio) e i sindacati (Fim-Cisl, Fiom-Cgil, Uilm Uil, Usb, UGL metalmeccanici, Filctem-Cgil, Flaei-Cisl, Uiltec-Uil, Ugl Chimici, Filt-Cgil, Uiltec Uil, Fit Cisl, Federmanager) con l’intervento del Ministro del Lavoro Di Maio. Si promettono 10.700 riassunzioni immediate e dirette, un piano volontario di incentivi all’esodo (con l’aumento di soldi pubblici da 200 a 250 milioni di euro), zero esuberi (perchè ci sarebbe l’impegno ad assumere i lavoratori rimanenti entro il 2025), la salvaguardia dei diritti acquisiti (no Jobs Act) e il mantenimento degli stipendi. Sul fronte occupazionale l’accordo, che in realtà si distanzia di poco da quello tentato dal Ministro Calenda e bocciato dai sindacati, può apparire di primo acchito accettabile, perchè non introduce il Jobs Act e strappa più assunzioni direttamente dalla multinazionale. Non viene però specificato come avverrà la scelta dei lavoratori che saranno assunti immediatamente. Sarà la solita occasione per lasciare a casa gli operai più attivi e scomodi? Altro punto: quali garanzie vengono date dall’Arcelor Mittal sull’assunzione nei prossimi anni di chi rimane fuori?

Ma è sulla questione dell’ambiente e della sicurezza dentro e fuori la fabbrica che vanno le critiche più nette, perché non c’è nessun vero cambiamento in grado di invertire le sorti di una città che è stata nei decenni divorata da una fabbrica tre volte più grande di lei.

Occorrerà leggere bene il piano previsto dall’accordo, ma già il fatto che si parla di miglioramenti (per esempio si promette l’anticipo dei lavori di copertura dei parchi minerari) e non di chiusura degli impianti inquinanti, e il fatto che la sua realizzazione è in mano alla multinazionale e non allo Stato tradisce tutte le aspettative dei tarantini che in campagna elettorale hanno votato in massa il M5S. Il movimento che prometteva il “cambiamento” parlava di “nazionalizzazione, di riconversione economica basata sulla chiusura delle fonti inquinanti (…) di bonifica e sviluppo della green economy, di energie rinnovabili e di economia circolare”, mentre il Ministro Di Maio definiva criminali i decreti salva-Ilva e parlava persino di chiusura dello stabilimento. Ci si aspettava almeno che venisse rispettata la legge, che prevede che quando un impianto non è a norma, mette a rischio la salute e danneggia l’ambiente ci sia il fermo degli impianti. Invece la legge non viene fatta rispettare perché non vengono tolti i decreti salva-Ilva e nemmeno l’immunità penale per i nuovi proprietari subentranti, che non potranno essere messi sotto accusa anche in caso di accertamento di danno. Come potrà la magistratura sorvegliare ed intervenire? Questo governo non ha cambiato neanche una virgola di tutto quello che hanno fatto i governi precedenti. Può bastare la promessa della proprietà che all’aumento della produzione non corrisponderanno maggiori emissioni inquinanti?

In questo momento oltre 13mila lavoratori Ilva stanno votando a favore o contro l’ipotesi di accordo: un referendum ingiusto perché esclude la cittadinanza dall’esprimere il proprio parere su un accordo che non dà nessuna garanzia di giustizia e sicurezza ambientale e non permettere ad altre attività di svilupparsi sul territorio, ponendo gli attuali dipendenti Ilva in contrapposizione ai cittadini. E’ un referendum ingiusto anche perché questi lavoratori sono chiamati a scegliere ancora una volta tra lavoro e salute, dal momento che non ci sono garanzie che vengano raggiunti parametri ambientali adeguati ad un ambiente di lavoro e di vita salubre. Un referendum, infine, in cui i lavoratori sono chiamati a mettere il sigillo ad una trattativa che si è svolta senza mandato dei lavoratori e senza alcun percorso di lotta. Tavoli di trattativa come questi producono sempre più risultati per il capitale che per i lavoratori.

Il Sial Cobas è vicino ai tarantini e a tutti gli operai chiamati a votare: solo legami di solidarietà e l’unità di cittadini e lavoratori organizzati insieme potrà porre fine ai disastri dell’Ilva e ridare un futuro a tutto il territorio.