La Privatizzazione di Alitalia è fallita, ricostruiamo la nostra Compagnia di Bandiera
di Fabio Frati, dirigente nazionale della C.U.B. Trasporti, pubblicato il 5 marzo 2017 su www.sinistracontroeuro.it
Oggi siamo di fronte all’ennesima, gravissima crisi di Alitalia.
Le soluzioni che vengono proposte dagli azionisti (Banche e Etihad), ricalcano in peggio quanto già fatto in passato: ulteriore riduzione dell’attività di volo e ridimensionamento del network, esuberi, tagli pesanti ai salari e ai diritti dei lavoratori, creazione di una Low Cost in cui trasferire la maggior parte del personale e dell’attività.
In pratica una vera e propria liquidazione mascherata dell’ex Compagnia di Bandiera.
ALITALIA: NAZIONALIZZAZIONE UNICA SOLUZIONE
Queste strategie oggi riproposte, messe già in atto per accompagnare e favorire la privatizzazione di Alitalia, non solo non hanno risolto nessun problema pregresso, ma hanno addirittura peggiorato le criticità esistenti, gettando la compagnia in una spirale drammatica di fallimenti e crisi continue.
Accompagnata da un triste coro di plauso generale nel paese, la scelta di privatizzare aziende, beni e servizi pubblici, ha causato decine di migliaia di licenziamenti, la perdita del controllo di interi settori strategici, dumping salariale e normativo, aumento dei prezzi e peggioramento della qualità dei servizi offerti alla clientela.
Nello specifico, la privatizzazione di Alitalia ha determinato quello che è sotto gli occhi di tutti:
- un’azienda praticamente “fallita” per la terza volta in otto anni che ha già scaricato miliardi di euro di perdite sulle spalle dei contribuenti.
- La compagnia privatizzata e dimezzata, perde più di quanto facesse l’Alitalia pubblica con il doppio del personale assunto e con un’attività globale degna di questo nome.
- Il costo sociale di queste scelte folli è drammatico: Pesantissimi tagli salariali e normativi; Migliaia di precari ipersfruttati e senza futuro; Ulteriori migliaia di esuberi e terziarizzazioni ipotizzati nel nuovo Piano strategico
- Dumping esponenziale su tutte le altre aziende del comparto e dell’indotto, con la perdita di decine di migliaia di posti di lavoro e un peggioramento generale delle condizioni economiche e normative per tutti i lavoratori del settore.
Questo, ricordiamolo, nonostante abbiamo assistito in questi stessi anni ad un incredibile aumento del traffico passeggeri e merci e dei profitti di tutte le aziende di Gestione Aeroportuale, delle Low Cost e delle altre maggiori compagnie aeree “full carrier”, nonché ad una costante diminuzione del costo del petrolio.
Insomma non esiste crisi del settore in Italia, ma un floridissimo e ricco mercato che assicura, a parte in Alitalia su cui incombono scelte suicide, lauti profitti agli investitori privati, nostrani e stranieri, fatti unicamente sulle spalle dei lavoratori. Visti i costi fissi di queste attività identici per tutti competitori, la concorrenza tra loro viene fatta solamente svalutando e tagliando il costo del lavoro.
Gravissimo è stato anche il vulnus democratico causato dalla scelta di obbedire ai diktat provenienti da Bruxelles che, sulla scia di quanto concordato da Reagan e dalla Thatcher negli anni ’80 quando fu decisa la liberalizzazione mondiale del settore, prevedevano la presenza di soli tre vettori globali in Europa e cioè British Airways, Lufthansa e Air France.
Queste scelte politiche, approvate dai governi succedutisi, hanno causato l’assoluta perdita di sovranità nazionale e democratica in uno dei settori strategici più importanti del paese, totalmente abbandonato, diversamente da quanto accade in altri paesi europei, dall’investitore pubblico: pure questa una decisione che deve essere rivista nelle principali aziende del settore aereo-aeroportuale.
La “politica” italiana, ha poi fatto anche di peggio, consentendo e spianando la strada alla colonizzazione del trasporto aereo in Italia da parte delle Low Cost.
Come? Sovvenzionandole con denaro pubblico attraverso finanziamenti e deroghe da parte di tutte le istituzioni locali, regionali e nazionali, nonché, caso unico in Europa, consentendo la base d’armamento di queste compagnie nel principale Hub del paese.
Mentre da una parte lo stato deteneva, tutta o in parte, la proprietà di Alitalia dall’altra finanziava i suoi concorrenti!
Una vera follia, troppo manifesta per non far pensare ad un vero e proprio tradimento consapevole degli interessi della nazione.
Vale la pena di ricordare che siamo stati l’unico paese europeo a fare questo, infatti gli altri si sono ben guardati di svendere i propri interessi nazionali agli speculatori che operano nel mercato del Trasporto Aereo.
È ora di fare un bilancio severo di tutte queste scelte e dei risultati prodotti!
Di fronte al fallimento manifesto della Privatizzazione di Alitalia, con tutto il suo carico di devastazione aziendale, commerciale e sociale che abbiamo di fronte, occorre fermarsi e valutare bene cosa fare.
Noi riteniamo che le proposte fin qui ventilate dall’attuale dirigenza Alitalia siano, al di là dei pesantissimi costi sociali che ne deriveranno, di fatto una liquidazione definitiva, attraverso un ulteriore ridimensionamento e la sua trasformazione in una Low Cost, della nostra ex compagnia di bandiera.
Un piano non certo funzionale a favorire l’interesse del nostro paese, dei suoi cittadini e dei suoi lavoratori.
Noi pensiamo che per andare avanti adesso occorra tornare indietro.
Sembra un gioco di parole ma secondo la CUB Trasporti è l’unica possibilità: la Nazionalizzazione è oggi l’unica soluzione.
Asseriamo da anni che un paese come il nostro non può perdere la sovranità in un settore strategico come questo.
Averlo fatto ha significato causare danni pesantissimi:
- per i cittadini, 4 mld di euro di perdite scaricate sui contribuenti per ripulire dai debiti l’Alitalia privatizzata
- per il mondo del lavoro tutto, generando in un settore in forte crescita e non in crisi uno stato di sofferenza e miseria diffusa per tutti i lavoratori
- nessun miglioramento sulla qualità e quantità dei servizi erogati alla clientela.
Di fronte al terzo “fallimento” in otto anni e l’ipotesi di un ulteriore salvataggio diretto o indiretto fatto con finanze pubbliche, riteniamo che questo intervento dovrà prevedere una sua materializzazione all’interno delle quote azionarie di Alitalia.
Serve un investimento finanziario così importante che nei fatti questo è oggi possibile solo con un intervento pubblico.
Servono ingenti finanziamenti per acquistare aeromobili, per garantire l’occupazione e per dare una prospettiva industriale al settore e una speranza di vita alle migliaia di precari senza futuro che tutti i giorni svolgono la maggior parte delle attività operative di Alitalia.
Ricordiamo che senza di loro non decollerebbe nessun volo, nessun bagaglio sarebbe caricato in stiva e nessuna carta d’imbarco sarebbe emessa…
Alitalia è stata in questi anni un simbolo negativo di privatizzazione, licenziamenti, dumping e precarizzazione. Occorre farla ritornare al suo vecchio ruolo di compagnia sana, trainante per l’economia del settore e biglietto da visita prestigioso del nostro paese nel mondo.
Serve una compagnia di bandiera!
La “Politica” non può continuare ad abdicare al proprio ruolo. Non possiamo più sentire rappresentanti delle istituzioni asserire che in Italia la politica NON è in grado di gestire, controllare e pianificare una strategia complessiva dei trasporti democraticamente decisa che garantisca gli interessi strategici del paese, dei suoi cittadini e dei suoi lavoratori.
Chi asserisce questo ha abdicato al proprio ruolo e dichiara pubblicamente la sua incapacità. Per questo dovrebbe dimettersi e andarsene.
È tempo che la politica, quella con la P maiuscola, riprenda il posto che gli compete e cacci gli speculatori, gli incapaci e i parassiti che stanno distruggendo questo come altri settori del paese.
- Per un’Alitalia di nuovo all’Italia
- Per riprenderci la sovranità in tutti i settori strategici del paese
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Farlo è un dovere delle forze politiche, del sindacato, dei lavoratori, dei cittadini.
* Fabio Frati, dirigente nazionale della C.U.B. Trasporti