di Beppe Scienza, da Il Fatto Quotidiano del 16 marzo 2016
Che il Sole 24 Ore abbia gonfiato il numero delle copie vendute è ormai fuori discussione. Anche da ciò la perdita sul 95% per quei poveretti che avevano sottoscritto le sue azioni.
Ma non è mica la sola volta che l’organo di stampa di Confindustria gonfia i numeri. Sulla prima pagina del 20 febbraio, ad esempio, compare un ampio servizio, firmato Marco Lo Conte, a consuntivo dei dieci anni dal semestre di silenzio assenso per il Tfr, gennaio-giugno 2007. Leggiamo: “Fondo pensione batte Tfr 4 a 2. I versamenti alle gestioni di categoria hanno reso in media il 44% in più”. Potremmo smontare anche la prima affermazione, ma concentriamoci sulla seconda, che richiama esplicitamente i fondi pensione sindacal-patronali, quali Cometa, Fonchim, Priamo ecc.
Nel decennio inizio 2007-inizio 2017 in realtà 100 euro messi nei fondi sono diventati in media 138 rispetto a 125, se mantenuti nel Tfr. Lo attestano le performance riportate in “Dati di 1003 fondi e sicav italiani (1984-2015)” di Mediobanca e per il 2016 quelle comunicate dalla Covip. Quindi le gestioni di categoria non hanno affatto reso il 44% in più, bensì solo il 10,3%. Che corrisponde poi solo all’1% annuo.
Come arriva allora il Sole 24 Ore a quel fantasmagorico 44%? In parole povere dov’è l’imbroglio? Nello spacciare per rendimenti i versamenti aggiuntivi. Come dire che il mio conto corrente in banca ha reso il 50%, perché prima avevo 10mila euro e poi ne ho versati altri 5mila. È vero che ora ne ho 15mila, ma mica mi ha reso il 50%. Il di più non sono interessi, plusvalenze o simili, ma soldi aggiunti. Solo andando a leggere una nota di un grafico del Sole 24 Ore, composta in caratteri piccoli, si scopre come stanno le cose.
Certo che ad alcuni risulta nel fondo una somma nettamente più alta rispetto al Tfr accantonato da chi non ha aderito. Ma ciò dipende soprattutto dai soldi in più, versati da loro stessi e dai datori di lavoro, fra l’altro a discapito di quanti non hanno aderito. È il cosiddetto contributo datoriale che comunque, cosa regolarmente taciuta, è sicuro al massimo per quattro anni.
Per chi poi ancora lavora, il vantaggio è solo contabile. È tutto da vedere se la situazione non si ribalterà prima della pensione, perché i tassi di mercato congiurano a favore dei Tfr e contro la previdenza integrativa. La quale comunque è fiscalmente davvero conveniente con redditi alti e in prossimità della pensione. Non per i giovani, che saggiamente ne stanno alla larga.
Ultima cosa: mi hanno segnalato che quell’articolo del giornale della Confindustria è stato affisso da premurosi sindacalisti nelle bacheche aziendali e diffuso per e-mail. Non è la prima volta che ciò capita e soprattutto non stupisce, visto che sindacati e associazioni imprenditoriali si spartiscono fra di loro le poltrone dei fondi pensione chiusi o negoziali (presidenze, organi di gestione ecc.).