Il flop del risparmio gestito, meglio disinvestire
di Beppe Scienza, da Il Fatto Quotidiano del 4 gennaio 2017
Gli sfasciacarrozze del risparmio gestito pensavano di averla farla franca. Dal 1999 era sempre uscita entro l’estate la ricerca dell’ufficio studi di Mediobanca sui fondi comuni di diritto italiano, aggiornata al precedente 31 dicembre; e regolarmente li faceva a pezzi. L’anno scorso no.
Qualche potere forte aveva convinto il nuovo direttore dell’area studi di Mediobanca, Gabriele Barbaresco, ad affossare l’iniziativa voluta da Fulvio Coltorti? Per fortuna questa volta la dietrologia era fuori luogo. Anzi, all’assemblea degli azionisti di Mediobanca del 28 ottobre scorso il testo era già stato messo a disposizione dei partecipanti, che però non ci avevano fatto caso o avevano sperato che la cosa finisse lì. Invece è ora finalmente accessibile anche on line l’indagine “Dati di 1003 fondi e sicav italiani (1984-2015)”. Frutto del lavoro di analisi coordinato da Matteo Pizzingrilli, è l’unica ricerca sui fondi comuni italiani, che non sia pubblicità mascherata o manipolazione bell’e buona, come le tante classifiche, rating e insulse stelline, sfornate da soggetti in conflitto d’interesse (o peggio).
La pubblicazione di Mediobanca evidenzia molte magagne dei fondi comuni e dei fondi pensione (le sicav, citate per completezza nel titolo, in Italia sono una realtà marginale). Ma è anche una banca dati, utile per opportuni approfondimenti. Ci limiteremo a due ambiti: la previdenza integrativa e i costi totali del sistema.
Prendiamo dunque i rendimenti medi dell’insieme dei fondi pensione negli ultimi 15 anni (2001-2015). Abbiamo un 30,4% per quelli aperti, rifilati da banche, assicuratori e sedicenti consulenti, e quindi molto meno del 44,7% del TFR.
Ma grida vendetta anche la performance dei fondi negoziali, cioè di Cometa, Fonchim, Fonte, Fopen ecc. In apparenza un 59,3% è buono. Ma non solo esso “beneficia delle buone performance dell’ultimo quadriennio”, come commenta Mediobanca. Andando a vedere i titoli obbligazionari e in particolare quelli di Stato italiani, scopriamo un 135% lordo pari al 112% netto complessivo per i tre lustri esaminati. Morale, i fondi pensione sindacal-padronali si sono persi gran parte dei vantaggi del calo dei tassi e per altro ora sono pieni di obbligazioni dai rendimenti irrisori, che pongono una grave ipoteca sui risultati futuri.
Altra questione, le commissioni complessive di 3,5 miliardi nel 2015 che sommate già solo a quelle del 2014 fanno 6,4 miliardi. Ovvero circa quanto potrebbe bastare per salvare il Monte dei Paschi di Siena. Per di più è da prendere come una stima per difetto, per forte difetto.
Primo, perché non comprende le gestioni spostate all’estero per applicare clausole capestro, in Italia proibite. Secondo, mancano tutti i costi di sottoscrizione, molti oneri d’intermediazione ecc. e ovviamente tutte le creste, malversazioni, ruberie ecc. possibili e anzi probabili in assenza di trasparenza.
Assogestioni, associazione di categoria, vantava un patrimonio gestito dall’intero sistema di 1.833 miliardi di euro rispetto ai 292 miliardi dei soli fondi di diritto italiano, esaminati da Mediobanca. Se tanto mi dà tanto, la ricchezza sottratta ai clienti nel solo 2015 ammonterebbe a 22 miliardi. Sono conti a spanne, ma sufficienti per evidenziare la gravità della situazione. Conclusione, un normale risparmiatore è bene che faccia d’ogni erba un fascio. Cioè disinvesta qualunque fondo comune o gestione, senza andare troppo per il sottile. Si può scommettere che nel 99% delle volte è la scelta giusta. Per sé e per l’economia italiana.