Marocco: la morte di un giovane precario infiamma il paese

da Global Project del 31 ottobre 2016

La sera di venerdì 28 ottobre ad Al Hoceima, città portuale del Rif, le forze dell’ordine sequestravano un carico di pesce al 31enne precario Mouhcine Fikri. Poco dopo, il giovane decedeva di una morte atroce, schiacciato all’interno del camion compattatore della nettezza urbana che stava distruggendo la merce confiscata. Le circostanze della morte di Fikri non sono affatto chiare. In un primo momento i media avevano riferito che Fikri si era volontariamente lanciato nell’autocompattatore acceso, in un gesto di disperazione che non può non ricordare quello di Mohamed Bouazizi, il venditore ambulante che dandosi fuoco accese la scintilla della rivoluzione tunisina. Ma un video che ha cominciato a circolare sui social media sabato fa pensare all’ipotesi, ancora più grave, dell’omicidio volontario. Fikri sarebbe salito sul camion in un tentativo di recuperare la sua merce, quando il conducente ha attivato il compattatore, secondo un testimone dietro ordine di un responsabile della polizia. Quest’ultimo dettaglio non è per ora confermato, ma è ovvio che in Marocco come altrove non ci sarà una seria inchiesta se non dietro fortissime pressioni popolari. Pressioni popolari che si sono manifestate con una rapidità e una magnitudine sorprendenti.

La regione del Rif, a maggioranza berbera, è da sempre considerata “territorio ribelle” e nella storia del Marocco è stata teatro di molteplici episodi di insubordinazione. Per citare i più famosi, la Guerra del Rif contro l’occupazione spagnola (1920-1926) e la Rivolta del Rif contro le politiche del governo centrale (1958-1959) la cui repressione guidata dal futuro re Hassan II fece 3,000 vittime. Da allora il Rif è rimasto una sorta di regione pariah, esclusa dai grandi investimenti, martoriata da alti livelli di sottoccupazione e alquanto dipendente dalla coltivazione di hashish e dal contrabbando tra Algeria ed Europa. Fu proprio un tentativo di repressione del contrabbando nel 1984 che accese la miccia di una nuova rivolta, spenta ancora una volta nel sangue. Nel 2011 il Rif si è distinto per la determinazione delle mobilitazioni legate al Movimento 20 Febbraio. Proprio ad Al Hoceima, il 20 Febbraio 2011, le proteste diventarono violente e al termine furono rinvenuti i corpi bruciati di cinque persone all’interno di una banca chiusa. Secondo la versione ufficiale si trattava di un tentativo di rapina finito male, ma nei circoli militanti si ritiene più probabile che fosse uno stratagemma mirante a coprire l’omicidio di manifestanti.

Il fatto che la popolazione di Al Hoceima abbia immediatamente visto nella morte di Fikri un’incarnazione della marginalità e delle successive umiliazioni del Rif, mobilitandosi di conseguenza, sembrava anche potersi inscrivere all’interno di un quadro di solidarietà localistiche. Impressionanti sono le immagini del funerale, che hanno visto la partecipazione di migliaia di persone e la chiusura di molti negozi come dimostrazione di empatia. Ma una linea di interpretazione esclusivamente localistica mostra tutta la sua parzialità alla luce delle manifestazioni su scala nazionale che hanno avuto luogo nella giornata di domenica 30 ottobre, toccando Casablanca, Rabat, Marrakesh, Tangeri, Fes, Meknes e altri centri minori. Le foto mostrano grandi numeri, molto maggiori rispetto a quelli che possono normalmente mettere in campo i militanti già politicizzati. Gli slogan, in nome della dignità e della giustizia sociale, si scagliano direttamente contro il “makhzen” (termine marocchino che designa il sistema di controllo dell’establishment politico ed economico) e la “hogra” (gli abusi di potere e l’arroganza delle autorità).

Questi sviluppi hanno maggiore risonanza internazionale perché si dipanano a pochi giorni dall’inizio della COP22, la conferenza dell’ONU sul cambiamento climatico che si terrà a Marrakesh tra il 7 e il 18 novembre. Sono poi a maggior ragione significativi perché avvengono meno di un mese dopo le elezioni parlamentari [1]. Se queste ultime avevano già visto alti livelli di astensionismo, l’esplosione di malcontento dimostra che ampie fasce della popolazione non danno nessuna fiducia alle promesse dei principali partiti politici, addomesticati al sistema autoritario e al policy regime neoliberista. La rabbia diffusa smentisce anche l’immagine del Marocco come paese della stabilità e della crescita economica, copincollata in Italia da Repubblica e Corriere direttamente dalla propaganda di regime. Come già sottolineato, il Marocco è invece il paese nordafricano più povero e con lo stato sociale più debole [2].

È quindi proprio il cleavage di classe – ovviamente non teorizzato in modo esplicito e in quanto tale dai più – che si interseca con le solidarietà etnico-locali per superarle in mobilitazioni con una portata molto più ampia. In linea con la tendenza mondiale, il Marocco ha vissuto un declino di lungo termine nell’impiego in agricoltura e pesca, anche se si distingue per livelli ancora relativamente elevati (39% nel 2015), essendo il mondo rurale storicamente il fulcro della base sociale della monarchia [3]. L’industria è stata quindi sempre sacrificata rispetto agli altri paesi della regione, per non creare minacce sociali per il regime conservatore. Dalla crisi del 2008 in poi l’impiego industriale è andato addirittura declinando e oggi è a solo 21% contando anche edilizia e artigianato. L’amministrazione pubblica, almeno stando ai dati ufficiali, è straordinariamente limitata e costituirebbe solo l’8% dell’impiego.

Rispetto per esempio alla Tunisia, abbiamo dunque un quadro abbastanza diverso, con impiego in agricoltura e pesca molto più alto e impiego in industria e amministrazione pubblica molto più basso. Questo contribuisce a spiegare perché il Marocco sia un paese più povero, più ineguale e meno istruito rispetto al suo “cugino rivoluzionario”. Ciò che accomuna le due formazioni sociali, tuttavia, è un’espansione del settore terziario privato come conseguenza dell’automatizzazione di agricoltura e manifattura. Espansione che però, a differenza dei paesi a capitalismo avanzato, vede una componente cognitivo-creativa enormemente limitata. È per questo che – nella quasi totale assenza di sussidi di disoccupazione – i giovani precari sono costretti, con la forza coercitiva invisibile di cui solo i mercati sono capaci, a cercare una fonte minima di reddito nell’autoimpiego nel terziario, e spesso proprio nel piccolo commercio.

I giovani precari del terziario sono una componente quantitativamente e qualitativamente cruciale nella composizione di classe contemporanea del mondo arabo, come dimostra il loro protagonismo nelle mobilitazioni sociali più radicali. Non è un caso che la loro morte sul lavoro possa assumere dimensioni così virulentemente politicizzate e conflittuali quando le autorità statali sono coinvolte. Un’ampia componente della popolazione vede in un ragazzo come Fikri il proprio figlio, fratello, amico – o semplicemente l’immagine di se stessa.

La sfida politica è quella di trovare una forma organizzativa adatta a dare continuità alle lotte di una soggettività di questo tipo. Le esperienze europee, per quanto possano fornire spunti interessanti, non sono applicabili da un lato perché sono le lotte sul posto che devono trovare la loro forma di espressione più appropriata e dall’altro perché la debolezza della componente cognitivo-creativa nonché l’influenza delle potenze reazionarie del Golfo creano un contesto ancora più ostico, soprattutto alla luce della capacità di queste ultime di esasperare la dimensione etnico-settaria attraverso la quale la conflittualità sociale può purtroppo esprimersi in determinati casi. Eppure è proprio da questa regione che provengono alcuni degli esempi di lotta più coraggiosi e degni del nostro tempo. La storia che ha trovato un nuovo inizio nel 2011, nonostante i suoi drammatici tornanti, è lungi dall’essere conclusa.

Aggiornamento: le manifestazioni sono continuate lunedì 31 ottobre in particolare con lo sciopero degli studenti di Al Hoceima e un presidio davanti al parlamento nella capitale. È prevista una manifestazione nazionale a Rabat per mercoledì 2 novembre.