Brexit: la posizione del “né Brexit, né Remain”

brexit

Pubblichiamo un commento sulla Brexit della redazione de Il Cuneo Rosso, in rappresentanza della posizione di svariate aree della sinistra radicale e internazionalista in Italia e all’estero.

Opposizione intransigente ai promotori dell’una e dell’altra truffa!
Diversi compagni e compagne ci hanno chiesto: nel referendum in Gran Bretagna avreste appoggiato la Brexit oppure il Remain? Abbiamo risposto implicitamente a questa domanda due anni fa nel n. 2 del “Cuneo rosso” in un articolo che si può leggere qui: Uscire dall’euro Lo facciamo ora in maniera esplicita, molto in breve.

La campagna referendaria in Gran Bretagna è stata su entrambi i fronti, Brexit e Remain, voluta e saldamente diretta dalle destre, in difesa, su entrambi i fronti, di evidenti, anche se parzialmente contraddittori, interessi capitalisti e imperialisti. I promotori del Brexit puntavano e puntano ad un recupero di ‘sovranità’ e di libertà di manovra (specie in Asia e nel mondo arabo) di una Gran Bretagna dalla rinnovata potenza imperiale. I promotori del Remain sostengono, invece, che gli interessi finanziari, diplomatici e militari del capitalismo britannico, il suo ruolo di primo piano nel mondo, si possono meglio promuovere all’interno della UE, tenendo dentro di essa la posizione defilata e ricattatoria assunta fin dall’inizio. Non a caso i capofila dell’uno e dell’altro schieramento sono boss del partito conservatore, o fuoriusciti (a destra) dei conservatori, quali l’amico di Grillo e dei 5S Farage.

Ecco perché bisognava, e bisogna, attaccare come anti-proletarie l’una e l’altra ‘soluzione’, rivolgendosi ai lavoratori abbagliati dalle une e dalle altre sirene, tutte e due ingannevoli e funeste, affinché aprissero gli occhi, e non si lasciassero portare allo sbando e al macello né dall’abbinata Cameron/UE, né da quella non certo preferibile Farage/Johnson [o Michael Gose, o Theresa May ecc.].

Ok, non sarebbe stato semplice contrapporsi frontalmente ad entrambi gli schieramenti. Ma nulla oggi è semplice per chi vuole difendere coerentemente gli interessi della classe lavoratrice. Di sicuro, però, questa sarebbe stata l’unica scelta che avrebbe evitato di diventare corresponsabili della semina di veleni nazionalisti o europeisti tra i lavoratori.

Aver accreditato l’UE come un potere ‘amico’ degli immigrati e, quanto meno, non nemico dei lavoratori britannici (e dei lavoratori in genere) – è ciò che hanno fatto i capi del Labour Party e di molti sindacati – è una vergogna, un sicuro danno per i lavoratori. Ma un danno altrettanto grave è aver accreditato l’uscita dalla UE e il recupero della ‘sovranità nazionale’ come vie per migliorare le condizioni dei lavoratori britannici – in antagonismo agli immigrati e in scatenata concorrenza con i lavoratori degli altri paesi!

Non c’era da scegliere il male minore, essendo entrambi mali maggiori.
Se si mantiene la mente lucida, si deve constatare che la campagna referendaria ha prodotto in Gran Bretagna un crescendo di nazionalismo, di razzismo, e anche di sub-nazionalismo, se è vero che ora la Scozia si è messa sul piede di guerra contro l’Inghilterra. E, se questo non bastasse, ha anche rinfocolato le divisioni nazionali dentro le ‘comunità’ degli immigrati, dal momento che quelle di origini asiatiche hanno votato a maggioranza ‘leave’, sognando che possano derivare benefici per sé e per i propri paesi di origine da una Gran Bretagna che si sia ‘liberata’ dai feroci burocrati di Bruxelles (1.200 dei quali, ministri inclusi!, di nazionalità britannica…) e dalla ‘melma’ dei nuovi immigrati est-europei.

Per i lavoratori l’”Europa sociale” è una colossale truffa. Tant’è che in Italia ha rilanciato questa prospettiva nientemeno che Giorgio Napolitano, il padrino del fiscal compact e dei governi ‘tecnici’! Ma anche l’uscita volontaria dall’euro e dall’UE come soluzione vantaggiosa per i lavoratori è un’altra colossale truffa. E non ha senso preferire la Brexit per il fatto che ha accresciuto il caos nei mercati finanziari e nei due grossi partiti dell’establishment britannico; in quanto, contemporaneamente, ha accresciuto il caos anche nel nostro campo, il campo dei lavoratori salariati, dividendolo e slabbrandolo più di quanto già non fosse diviso e slabbrato prima.

Se la Brexit servisse solo a indebolire l’UE e l’imperialismo europeo, si potrebbe dire: ok, ne possiamo trarre un beneficio indiretto; ma il fatto è che tutta questa vicenda ha ulteriormente indebolito la già scarsissima autonomia e unità delle classi lavoratrici, dentro e fuori l’UK, e non possiamo nascondercelo. Ed è questa la cosa che deve contare per noi più di qualsiasi altra.

Si può e si deve comprendere per quali ragioni molti lavoratori si sono fatti trascinare sulla via della Brexit, e si farebbero trascinare anche in altri paesi d’Europa nella stessa direzione; e non è poi che si debba essere dei super-scienziati per comprenderlo, trattandosi della abituale illusione di ‘salvare la pelle’ con il minimo sforzo, mettendo la scheda a sostegno della soluzione che appare migliore o meno peggiore (qui in Italia basta pensare alla ‘mobilitazione’ referendaria sulla scuola, i beni comuni, le pensioni, etc., che propone di riprendere con la scheda, e magari con il voto digitale sul web, postazioni e diritti perduti senza combattere). Ma non per questo si può, da comunisti, avallare in una maniera qualsiasi un’illusione del genere.

Proprio per questo due anni fa, nel n. 2 della rivista, distinguemmo tra l’uscita volontaria dall’euro, sempre e comunque interna a un’ottica capitalista e di mercato (anche quando condita di “anti-imperialismo”, alla maniera della Rete dei comunisti), e l’uscita coatta, imposta dalla BCE e dall’UE a un paese ‘ribelle’, ovvero a un movimento dei lavoratori di questo o quel paese europeo che respingesse fermamente le regole strangolatorie dettate dai poteri forti dell’euro. Allora (nel 2013-’14) questa seconda possibilità si prospettava in Grecia e per la Grecia, prima che Syriza cedesse di schianto, allineandosi alla Troika. Allora la ‘questione Brexit’ era tutta in fieri, ma crediamo che quanto scritto sulla Grecia e altri paesi del Sud dell’Europa valga in pieno oggi per la Gran Bretagna o la Francia. Nel caso britannico, anzi, è ancor più forte la valenza prettamente imperialistica del cosiddetto ‘recupero di sovranità’, dal momento che l’UK conta nel mercato mondiale qualcosina in più della Grecia – indipendentemente dal fatto che possa poi realizzarsi per  davvero un simile sognato recupero, dal momento che la cosa più probabile è, invece, un’ulteriore soggezione di Londra nei confronti del capo-bastone yankee.

Del resto, nel dopo-Brexit si tocca con mano quale impulso abbia dato tutta questa vicenda ai nazionalismi sciovinisti in Francia, in Olanda, in Italia. Qualche sostenitore di sinistra della Brexit può forse dimostrare il contrario?

Crescente è il caos che la più grande crisi storica del capitalismo sta determinando, a tutti i livelli. Ma se non vogliamo essere travolti da questo caos, dobbiamo demarcarci risolutamente da tutte le false e tragiche ‘soluzioni’ borghesi ad esso, e avere il coraggio di prospettare, in contrapposizione ad esse, la nostra soluzione generale totalmente alternativa. Non ci salverà uscire dall’euro e/o dall’UE per navigare ‘liberi’ e ‘sovrani’ (!?) nell’oceano in burrasca del mercato mondiale; serve, è sempre più urgente, ‘uscire’ dal capitalismo, delineare il cammino e il lavoro per preparare questo che è l’unico esito realmente liberatorio.

2 luglio 2016
La redazione de “Il cuneo rosso”