REFERENDUM TRIVELLE: vota SI’, non credere alle bufale!

notrivelleChi dice che se passerà il referendum si perderà “da un giorno all’altro” il 60-70% della produzione di gas naturale fa terrorismo mediatico: se vincesse il sì si impedirebbe soltanto la proroga delle concessioni di estrazione in mare entro le 12 miglia che scadono a partire dal 2017. Stiamo parlano di 17 concessioni: una parte esigua rispetto al grosso delle piattaforme presenti oltre le 12 miglia o entro le 12, ma che hanno già richiesto la proroga. Insomma, non finiremo senza riscaldamento nè con bollette stratosferiche. Iniziamo solo a mettere un primo tassello verso una lenta transizione energetica necessaria e improrogabile!

Articolo da ASPO ITALIA (Risorse, Economia, Ambiente) di Dario Faccini

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Si dice che, se passerà il referendum, saremo costretti a chiudere i rubinetti al 60-70% della produzione nazionale di gas naturale. Sarà vero?

Il 17 Aprile si terrà il referendum sull’estrazione di idrocarburi in Italia. Per ora è sicuro solo un quesito, mentre altri due potrebbero aggiungersi dopo il 9 marzo, in base a quanto deciderà la Consulta.

Concentriamoci allora per ora solo sull’unico quesito sicuro.

CHIUDERE O NON CHIUDERE?

Innanzitutto va chiarito che, contrariamente a quanto si crede, non sono coinvolte le nuove perforazioni, bensì le sole concessioni marine già in essere. Per capire cosa prevede, si deve fare un passo indietro, al periodo 2010-2013, quando tre distinti decreti hanno ridotto drasticamente le aree marine aperte a nuove perforazioni, vietando nuove concessioni marine entro le 12 miglia dalla costa e dalle aree protette e aprendo un’unica nuova area nel mar Balearico, contigua ad analoghe aree spagnole e francesi (zona E). [1] In figura 1, si può osservare la variazione intervenuta.

grafico trivelle 1

Figura 1: zone marine aperte alle attività minerarie, prima del 2008 e dopo il 2013. Fonte: DGRME-MISE, Il Mare, edizione speciale del Bollettino Ufficiale delle Risorse e Degli Idrocarburi, Marzo 2015.

 Tali divieti si applicano solo alle richieste di concessioni successive al 20/6/2010. Per tutte le concessioni richieste prima di questa data, è possibile ottenere proroghe alla loro scadenza sino a quando il giacimento non sia esaurito.

E qui si inserisce il quesito referendario, il cui significato si può riassumere così:

Volete che, quando scadranno le concessioni, vengano fermati i giacimenti in attività nelle acque territoriali italiane anche se c’è ancora gas o petrolio?

In pratica, se il quesito dovesse passare, alla scadenza delle concessioni nelle aree ora vietate, le piattaforme e i pozzi ancora attivi dovranno cessare le attività.

Ma quanto petrolio e gas rimarrebbe nei giacimenti in questione? Parecchio a sentire le voci che circolano in rete:

…in pratica con già tutte le strutture fatte, i tubi posati sul fondo del mare e senza dover fare nessuna nuova perforazione, saremmo costretti a chiudere i rubinetti delle piattaforme esistenti da un giorno all’altro rinunciando a circa il 60-70% della produzione di gas nazionale (gas metano stiamo parlando e non petrolio). Non potendo da un giorno all’altro sopperire a questo fabbisogno con le fonti rinnovabili il tutto si tradurrebbe in maggiori importazioni ed incremento di traffico navale (navi gassiere e petroliere) nei nostri mari, alla faccia dello spirito ambientalista che anima i comitati promotori e con sostanzioso impatto sulla nostra bolletta energetica.

A parte l’errore ortografico (“gasiere”), la contraddizione (afferma che non perderemmo petrolio ma ci sarebbero più petroliere in transito) e la scarsa conoscenza di come avvengono i trasporti per il gas naturale (per la quasi totalità attraverso metanodotti), rimane interessante capire se quel 60-70% di produzione persa “da un giorno all’altro” è credibile oppure no.

FUORI I DATI

Gli unici dati ufficiali in proposito sono quelli della Direzione Generale per le Risorse Minerarie ed Energetiche(DGRME), che fa capo al Ministero per lo Sviluppo Economico. Di seguito ne forniamo una sintesi ragionata e semplificata. Per chi è interessato a saperne di più, c’è la nota [2].

Le “concessioni di coltivazione” sono licenziate per un minimo di 20 anni, con possibilità di ulteriori proroghe di 10 o 5 anni. Anche un paio d’anni prima che una concessione (o una sua proroga) scada, è possibile chiederne un’ulteriore proroga, il cui rilascio potrà avvenire anche dopo molti mesi dalla data di scadenza.

Ci sono quindi tre categorie di concessioni in mare.

A. Le concessioni oltre le 12 miglia, che non saranno toccate dal referendum. Su di esse insistono 43 piattaforme, di cui 31 eroganti, 9 non eroganti e 3 di supporto. Nel 2015 hanno prodotto 2,48 miliardi di metri cubi di gas, il 36% della produzione nazionale.

B. Le concessioni entro le 12 miglia, il cui permesso è già scaduto e di cui hanno già richiesto la proroga da mesi, se non da anni. Sono 9 concessioni in tutto, su cui insistono 39 piattaforme che nel 2015 hanno prodotto 622 milioni di metri cubi di gas, circa il 9% della produzione nazionale (1,1% dei consumi 2014). Queste concessioni, verosimilmente, saranno prorogate ancora una volta anche in caso di vittoria dei “si” al referendum, in quanto l’istanza di proroga è stata depositata quando era valida la vecchia normativa.

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Figura 2: Produzione storica di gas naturale dalle concessioni poste entro le 12 miglia, scadute e per cui è già stata richiesta la proroga.  Per la fonte vedere la nota [2].

 La produzione storica di queste concessioni evidenzia un picco nel 1994, quando aveva raggiunto valori pari a circa 10 volte quello attuale (vedi figura 2) .

C. Le concessioni entro le 12 miglia, i cui permessi inizieranno a scadere a partire dal 2017 e termineranno nel 2027. Sono 17 concessioni [3], che nel 2015 hanno prodotto 1,21 miliardi di metri cubi di gas, circa il 17,6% della produzione nazionale (il 2,1% dei consumi 2014). Tra queste, 4 concessioni hanno permesso anche una produzione di petrolio pari a 500.000 tonnellate, circa il 9,1% della produzione nazionale (0,8% dei consumi 2014). Queste concessioni, nel caso vincano i “si” al referendum, non potranno essere prorogate.

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Figura 3: Produzione storica di gas naturale dalle concessioni poste entro le 12 miglia, ancora non scadute. La legenda riporta, prima del codice della concessione, l’anno in cui essa scadrà.  Le concessioni sono ordinate dal basso verso l’alto secondo l’ordine con cui scadranno. Per la fonte vedere la nota [2].

 La produzione storica di gas naturale di queste concessioni evidenzia un picco nel 1998, quando aveva raggiunto un valore oltre 4 volte quello attuale (vedi figura 3) . In questa categoria, spicca la concessione D.C 1.AG (scadenza 2018) che da sola produce 557 milioni di metri cubi, l’8% della produzione nazionale nel 2015.  Per la vicinanza delle scadenza e l’ancora ingente livello produttivo, la chiusura di questa concessione rappresenterebbe una perdita significativa a livello nazionale.

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Figura 4: Produzione storica di petrolio dalle concessioni poste entro le 12 miglia, ancora non scadute. La legenda riporta, prima del codice della concessione, l’anno in cui essa scadrà.  Le concessioni sono ordinate dal basso verso l’alto secondo l’ordine con cui scadranno. Per la fonte vedere la nota [2].

 La produzione storica di petrolio di queste concessioni evidenzia un picco nel 1988, quando aveva raggiunto un valore oltre 6 volte quello attuale (vedi figura 4). Pur essendo in fase declinante da moli anni, queste quattro concessioni presentano una produzione ormai piuttosto stabile che non dovrebbe variare molto approssimandosi alle date di scadenza.

CONCLUSIONI

Gli allarmismi che circolano in rete su una perdita “da un giorno all’altro” del 60-70% della produzione di gas naturale, in caso vincano i “si” al referendum del 17 Aprile, sono esagerati.

Innanzitutto la maggior parte della produzione di gas in Italia è a terra (34%) o in mare oltre le 12 miglia (36%).

La tempistica sarebbe poi dilazionata nei prossimi anni, sia tra le concessioni già scadute (hanno da tempo richiesto una proroga che verrà probabilmente loro concessa in ogni caso) che pesano per circa il 9% della produzione di gas, sia tra le concessioni che scadranno d’ora in poi (le uniche a subire un eventuale effetto del referendum) che pesano ora per circa il 17,6% del gas e circa il 9% del petrolio prodotti. Queste percentuali vengono ridotte di un fattore 10 se si considerano i consumi nazionali, anziché la produzione.

Complessivamente le percentuali citate corrispondono all’anno sui mercati a circa 360 milioni di dollari di gas naturale e a 180 milioni di dollari per il petrolio.[4]

Una concessione che produce gas naturale e gasolina, la D.C 1.AG, presenta una produzione la cui interruzione, nel caso il quesito referendario passasse, rappresenterebbe una perdita significativa a livello nazionale.

Le perdite produttive imputabili ad una eventuale vittoria dei si, sarebbero del tutto trascurabili a livello continentale ed internazionale, e non produrrebbero quindi una variazione sensibile nei mercati dei prezzi del gas o del petrolio. E’ quindi difficile pensare ad una ripercussione sui prezzi praticati al consumatore italiano.

Note

[1] Decreto legislativo n. 128/2010, Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, Decreto Ministeriale 9 agosto 2013. Per un sintesi si veda l’edizione speciale del Bollettino Ufficiale delle Risorse e Degli Idrocarburi, Marzo 2015, Il Mare, pubblicata dal DGRME-MISE.
[2] La DGRME-MISE mette a disposizione l’elenco delle piattaforme entro ooltre le 12 miglia marine. Varie piattaforme fanno poi capo ad una stessa concessione, e solitamente ogni concessione ha tutte le piattaforme o dentro o fuori il limite delle 12 miglia (tranne che per la B.C 3.AS, vedi nota [3]). Per ogni concessione il DGRME-MISE fornisce i dati della scadenza, delle proroghe e i dati storici di produzione, benché a volte con alcuni errori. Nella presente trattazione si è deciso di considerare per brevità solo le concessioni marine aventi piattaforme e pozzi marini eroganti. Alcune concessioni hanno però solo pozzi marini, senza piattaforme, o solo piattaforme che raccolgono la produzione di pozzi a terra. Tali concessioni non sono state qui mappate. Ecco perché la somma delle varie percentuali attribuite al gas naturale vede un ammanco di 3-4 punti percentuali.
Ci sono poi concessioni che presentano dati anomali, come la B.C 18.RI,(scadenza 2018) senza piattaforme e senza pozzi, che ha una produzione di gas (molto bassa) solo nel 2014 e nel 2015.
Non viene poi citata, ma c’è anche una piccola produzione di petrolio da concessioni scadute e di cui è stato richiesto il rinnovo.
Per la produzione di petrolio e di gas totali 2015, sono state usati i dati DGRME-MISE di produzione mensile distinti per concessione. Per i dati di consumo di metano e petrolio 2014 nazionali,  stato usato il BP Statistical Review 2015.
Molte piattaforme di produzione di gas naturale, producono anche gasolina (le cosiddette benzine naturali, ottenute dalla condensazione della frazione più pesante del gas naturale) che nono sono state trattate perché comunque prodotte in quantità modeste.
[3] Una concessione, con codice B.C 3.AS, presenta una delle cinque piattaforme oltre le 12 miglia. Nella presente trattazione la produzione erogata tramite questa concessione è stata considerata tutta “entro le 12 miglia”.
[4] Supponendo un prezzo di 5$/MBtu per il gas naturale e di 50$/Barile per il petrolio.