Sosteniamo le lotte e l’autorganizzazione dei braccianti contro il “sistema” agroalimentare

Riportiamo questo articolo tratto dal sito www.combat-coc.org, per avere alla mano qualche dato sui lavoratori impiegati nel settore agricolo in Italia: migliaia e migliaia di individui che lavorano sfruttati, sottopagati, spesso in nero, in una condizione di precarietà e isolamento dovuta anche alla quasi totale assenza di organizzazione sindacale. Anche in questo caso, occorre sostenere le lotte dei lavoratori quando ci sono e aiutare a svilupparle quando mancano.

braccianti 4Si potrebbe immaginare che lo sviluppo di scienza e tecnica consenta anche nell’agricoltura industriale un lavoro meno pesante, più pulito e dignitoso, e anche rispettoso dell’ambiente naturale.

Così non è. C’è chi riceve 20 euro al giorno in nero, per 12 ore di lavoro nei campi dall’alba al tramonto, corrispondenti a 1,60 euro l’ora, un quinto del minimo sindacale. I lavoratori in nero dei campi di tanta parte del territorio italiano sono i nuovi schiavi; altamente ricattabili soprattutto se sono immigrati irregolari, vivono spesso in alloggi fatiscenti dei numerosi ghetti lontani dai centri urbani, in molti casi senza servizi igienici ed acqua potabile, di cui devono pagare l’affitto.

Gli occupati del settore agricolo nel 2014 erano in Italia 812mila, pari al 3,6% del totale; la metà di questi (406mila) erano lavoratori dipendenti, circa il 2,42% del totale dei dipendenti italiani. In realtà a questi si deve aggiungere la quota del lavoro sommerso calcolata dal 32%-al 43%, una cifra in aumento negli ultimi anni, e quantificata in circa 400mila, di cui un quarto in una situazione di supersfruttamento, di tipo schiavistico. L’aumento del lavoro nero trova terreno favorevole nella crisi economica, quando pezzi consistenti dell’economia stanno reagendo alla crisi e alle difficoltà “immergendosi” e alimentando quel sommerso strutturale che è una caratteristica del nostro Paese. Sul lavoro nero prospera non solo il “normale” sfruttamento del lavoro salariato da parte del capitale, ma anche il parassitismo delle cosiddette agromafie per un giro d’affari calcolato in circa €14miliardi l’anno. In crescita, dato che è in crescita il fenomeno del caporalato che garantisce loro la forza lavoro da spremere. Secondo un’indagine delle forze dell’ordine esistono almeno 80 centri di sfruttamento da parte dei caporali in 18 regioni e 99 province. Da un’indagine sul bracciantato agricolo nelle Puglie risulta che le nuove schiave dei campi sono italiane, più ricattabili e più facili da piegare alla volontà dei caporali, più “mansuete” delle lavoratrici straniere, protagoniste in passato di proteste e denunce.

I 7 miliardi di € erogati ogni anno dalla UE all’Italia per il settore agricolo rappresentano un ulteriore incentivo per le organizzazioni criminali che cercano di accedervi.

Sul fenomeno “scandaloso” del caporalato è in corso una campagna di denuncia da parte delle istituzioni amplificata dai mass media. Ci siamo chiesti quale sia il reale motivo di tanto interesse per i soliti sfruttati.

Forse si tratta di un tentativo di assicurare le autorità della UE che il governo italiano sta combattendo il fenomeno che, essendo presente in misura maggiore rispetto ad altri paesi europei, rappresenta una “concorrenza sleale”. La posta in gioco potrebbe essere i suddetti 7 miliardi di contributi.

E forse si vuole far mostra di recuperare quei €600 milioni di mancato gettito fiscale derivante dal lavoro nero agricolo.

Da non sottovalutare le recenti morti di tre braccianti per sovraffaticamento nel giro di un mese in Puglia. Le inchieste e la campagna contro il fenomeno del bracciantato supersfruttato dai caporali servirebbero alla borghesia e ai suoi rappresentanti democratici a pararsi da nuovi episodi di ribellione, con il rischio che “l’infezione” della lotta di classe nelle campagne si propaghi e si generalizzi.

In ogni caso la preoccupazione non riguarda le condizioni umane dei lavoratori. I quali per difendersi non possono far conto sulle varie indagini, proposte e dichiarazioni di intenti di istituzioni o su leggi come quella strappata dalla coraggiosa lotta dei braccianti africani di Nardò nell’estate del 2011. Legge che, sulla carta, rende il caporalato un reato penale, mentre esso è di fatto prosperato.  Ma i braccianti non possono neppure contare su organizzazioni sindacali come Flai-CGIL, che si guarda bene dal chiamare alla lotta coloro che ha intervistato.

E’ invece da un lavoro metodico e continuo, come quello condotto da Campagneinlotta, che può essere stimolata tra questi compagni di classe l’auto-organizzazione e l’auto-difesa, e con essa una coscienza politica.