India: 100 milioni di lavoratori in sciopero contro le riforme anti-sociali e pro mercato

india 1Decine di milioni di lavoratori in tutta l’India hanno aderito alla giornata di sciopero generale indetta il 2 settembre da una decina di organizzazioni sindacali contro la bozza di riforma del lavoro allo studio dell’esecutivo. Si tratta della più grande manifestazione di forza organizzata dai sindacati dall’arrivo al governo del primo ministro Narendra Modi, del BJP (Bharatiya Janata Party). Queste riforme comportano una riduzione dei diritti dei lavoratori per attrarre gli investimenti esteri e per assecondare i bisogni del libero mercato. Il governo ha dichiarato di voler condensare in 4 semplici codici le 44 leggi sul lavoro vigenti nei vari stati della Federazione Indiana. Lo slogan del governo è rendere l’India un posto dove sia facile fare business. Le misure renderebbero più facili  i licenziamenti e le chiusure degli stabilimenti meno produttivi. Finora, un’azienda con più di 100 lavoratori necessitava di un permesso dello stato per poter licenziare. Con la riforma questo permesso va richiesto solo dalle aziende con più di 300 lavoratori. Rimane invece irrisolto la questione della forte corruzione che questa legge genera, visti i numerosissimi episodi di tangenti ai politici per poter ottenere il permesso di licenziare.

La riforma prevede inoltre un ulteriore privatizzazione del patrimonio pubblico, la riduzione del valore dei sussidi e il taglio della spesa pubblica. Vi è poi una legge che sancisce l’acquisizione di terra a scapito dei contadini per destinarla alle multinazionali.

Secondo le stime dei sindacati più di 150 milioni di lavoratori hanno partecipato facendo dello sciopero  di mercoledì scorso uno dei più partecipati degli ultimi anni. Hanno scioperato lavoratori sia del settore  pubblico che privato, delle banche, assicurazioni, posta, telecomunicazioni, elettricità, porti, carbone, acciaio, dell’industria della iuta fino al settore delle costruzioni e dei trasporti. Hanno partecipato in massa anche i taxisti e i guidatori di risciò, così come i contadini e i braccianti più poveri.

Le banche, le assicurazioni e i trasporti su strada sono stati i settori più colpiti dallo sciopero in molte parti del paese, comprese le maggiori città come Nuova Delhi, Mumbai, Calcutta e Bangalore. 
Ha scioperato circa 1 milione e trecentomila impiegati di 25 banche pubbliche, 11 private e 9 straniere. Si sono uniti alla protesta anche molti lavoratori della Banca Centrale d’Inda, così come delle banche cooperative e rurali.
I disagi più forti si sono riscontrati nello stato del Bengala Occidentale, dove il partito al governo, il Trinamool Congress (TMC) ha cercato di impedire lo sciopero mobilitando la polizia e i suoi scagnozzi contro gli scioperanti. Ha anche mandato una circolare ai dipendenti statali minacciando il taglio  del salario e il declassamento di ruolo a chiunque si fosse assentato il 2 settembre. Nonostante le intimidazioni, milioni di lavoratori dello Stato del Bengala hanno preso parte allo sciopero bloccando il trasporto pubblico nella maggior parte dello Stato e lasciando gli uffici governativi con pochissimo personale presente. Nella capitale Calcutta, la polizia armata di bastoni ha istigato gli scioperanti allo scontro. I servizi televisivi hanno mostrato un sit-in di donne  travolto dalla polizia. Ci sono stati 200 arresti tra i manifestanti.
Nell’India del Sud intere fabbriche, banche uffici governativi e megastore sono rimasti chiusi nello stato del Kerala, così come il porto di Cochin e le fabbriche ad alto contenuto tecnologico di Technopark ed Infopark. Molte università statali hanno spostato le sessioni di esame.
L’ampia partecipazione allo sciopero ha mostrato il crescente sdegno verso il Primo Ministro Narendra Modi e il suo governo, così come la determinazione di lavoratori e braccianti a difendere il loro lavoro e le loro condizioni di vita.
Tuttavia, non si deve pensare che i sindacati abbiano indetto lo sciopero generale per aprire un vero fronte di lotta contro il governo e le sue politiche anti-sociali. In realtà il loro obiettivo è quello di cavalcare la crescente rabbia popolare per incanalarla nelle fila dell’altro maggior partito politico, il Partito del Congresso, che rappresenta la borghesia ormai nemmeno più progressista. Il maggior ruolo politico nello sciopero l’hanno avuto la Center of Indian Trade Unions (CITU) e il All India Trade Union Congress (AITUC ), affiliate ai due maggiori partiti Stalinisti che risiedono in Parlamento, il Communist Party of India-Marxist (CPM) e il Communist Party of India (CPI). Entrambi hanno avuto un ruolo di puntello delle politiche liberiste bipartisan.

Gli stalinisti hanno usato lo sciopero generale per rafforzare il loro legame col partito del Congresso  e con altri partiti borghesi. Tutto questo serve a tenere la classe lavoratrice indiana legata ai partiti politici istituzionali.

Il governo Modi, invece, non ha nessuna intenzione di cambiare la sostanza delle sue politiche. L’economia indiana sta rallentando sotto l’impatto della persistente crisi globale e il governo viene messo sotto pressione dal grande business  affinchè acceleri la sua agenda pro-mercato. L’unico modo per difendere il lavoro e le condizioni di vita è rompere politicamente con i partiti comunisti che risiedono al Parlamento e che ormai non rappresentano più i poveri e i lavoratori, e organizzare le lotte in una prospettiva politica socialista.

Liberamente tratto da World Socialist Web Site