Germania: attacco al sindacalismo conflittuale e al diritto di sciopero

lavoratori tedeschi 1Ripubblichiamo un’intervista sul diritto di sciopero in Germania a Heiner Köhnen di TIE, un network globale di lavoratori e attivisti sindacali e non che da decenni producono iniziative e organizzazione attraverso i confini.

Da connessioniprecarie.org.

La cosiddetta Tarifeinheitsgesetz è la legge approvata il maggio scorso dal Parlamento tedesco che impone che sia solo il sindacato più rappresentativo a partecipare al tavolo delle trattative per il contratto (il sogno del nostrano Renzi) e, dunque, a poter scioperare, dal momento che lo sciopero può essere legalmente dichiarato solo in concomitanza con il rinnovo del contratto. La legge gode del sostegno di un intero blocco sociale che oltre alla Große Koalition, comprende tanto la DGB, la confederazione dei sindacati, quanto la Arbeitsgeberverband, la Confindustria tedesca. Un fronte che senza troppe difficoltà si è fatto ancora più compatto con l’ondata di scioperi che ha investito la «locomotiva tedesca» negli ultimi mesi, per lo più organizzati da sindacati minori. Il messaggio è chiaro: lo sciopero deve essere un’arma poco affilata ed è necessario impedire che lavoratori e piccoli sindacati abbiano la possibilità di «tenere in ostaggio» la società, non importa per quali ragioni. Come afferma Heiner, questa legge è indicativa della volontà di risolvere per via legale l’insufficienza politica dei grandi sindacati di fronte alle odierne trasformazioni della produzione, sia dal punto di vista della precarizzazione dei rapporti di lavoro, sia della sua dimensione transnazionale. Il motto «un’azienda, un contratto» con cui viene sostenuta la legge riprende un vecchio slogan contro la frammentazione sindacale, il quale proclamato oggi non rivela altro che un colpevole anacronismo. Quell’unità aziendale a cui si fa riferimento non esiste più. Si tratta di una fantasia dunque che fa scivolare nell’ombra la reale organizzazione di fabbrica e la diffusa precarietà che ha frammentato quell’unità. Per non contribuire a questa rimozione e per immaginare lo sciopero non come vuota minaccia né come strumento di gestione tecnica delle controversie è necessario avviare una discussione capace di affrontare le trasformazioni della produzione e i problemi che queste pongono dal punto di vista dell’organizzazione. Ѐ necessario fare i conti con domande quali: cosa vuol dire oggi essere un operaio? Perché lavoratori e lavoratrici vedono sempre meno nei sindacati una loro organizzazione? Come accumulare il potere necessario per non farsi «tenere in ostaggio» da una società che pretende sempre di più e dà sempre di meno? Domande che hanno attraversato l’esperimento di sciopero sociale del 14 novembre scorso in Italia, che attraversano i tentativi di investire attraverso gli scioperi quella società che si pretende estranea alle necessità dei lavoratori, come nel caso degli scioperi negli asili di Francoforte, e che abitano la comunicazione transnazionale tra i magazzini tedeschi di Amazon in sciopero e i nuovi magazzini costruiti in Polonia con l’intenzione di smorzare le conseguenze dei blocchi della distribuzione. Domande che saranno al centro dell’assemblea verso uno sciopero sociale transnazionale, che si terrà a Poznan dal 2 al 4 ottobre.

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Molti vedono la legge sulla contrattazione collettiva unitaria [Tarifeinheitsgesetz] come un attacco diretto al diritto di sciopero. Puoi spiegare perché?

La legge dice che un sindacato che non ha la maggioranza in un’impresa non può né organizzare scioperi né contrattare. Significa che, se non si ha la maggioranza, non ha più senso formare un sindacato, perché se non puoi né scioperare, né partecipare alle trattative sui contratti collettivi, a cosa serve un sindacato? Il diritto di sciopero, così come la libertà di associazione e di organizzazione vengono completamente spazzati via da questa legge. Inoltre, la legge è parte di un progetto più ampio da realizzare in futuro. Questo progetto include la cosiddetta Daseinsfürsorge, cioè l’obbligo di garantire una parte del lavoro laddove viene dichiarato lo sciopero, cosa che al momento è in vigore solo per alcuni settori, come i trasporti e gli ospedali; l’obbligo di annunciare lo sciopero quattro giorni prima e la presenza obbligatoria di un arbitro per dirimere le controversie e raggiungere un accordo. Perciò non è semplicemente una questione tecnica, anche se è spesso discussa come tale: la forza e il potenziale di minaccia dello sciopero è sotto attacco.

La legge ha il supporto sia dell’associazione degli imprenditori, la Confindustria tedesca sia della DGB [confederazione dei sindacati]. Perché i sindacati maggiori appoggiano la legge?

Ѐ ovvio che l’associazione degli imprenditori vuole la pace per assicurare la competitività. Ad esempio, nell’industria automobilistica la contrattazione collettiva è condotta con la IG Metal e non vogliono che piccoli nuovi sindacati sollevino improvvisamente problemi. I sindacati forti che sono parte della DGB appoggiano la legge per varie ragioni. Innanzitutto, questo si inserisce nell’eterno conflitto tra sindacati concertativi e sindacati conflittuali. Ora i sindacati maggiori, tra cui ad esempio la IG Metal, stanno lavorando per mantenere il modello della concertazione. Se sei l’unico sindacato a contrattare non devi nemmeno porti il problema di cercare di organizzare quelli che non sono ancora coinvolti, ti basta sedere al tavolo delle trattative e vai diritto alla soluzione. In secondo luogo, ad esempio nel caso della IG Metal, affermano di rappresentare l’industria automobilistica nel suo complesso, cioè l’intera catena della distribuzione, inclusa la logistica. Questa pretesa li pone in conflitto con i Ver.di, che invece considerano il settore della logistica come cosa loro. Quindi, invece di cominciare un processo politico comune di dibattito e organizzazione, pare che vogliano trasformare una questione politica in prassi amministrativa, attraverso una legge, per escludere i possibili concorrenti.

La proposta di legge è arrivata in seguito a un’ondata di scioperi, in particolare nel settore dei trasporti, ma anche nei magazzini Amazon in tutta la Germania. Pensi che sia una reazione a tutto ciò?

Questo è un buon momento perché è abbastanza diffusa nell’opinione pubblica l’idea che ad esempio gli scioperi nel settore dei trasporti sono negativi perché un piccolo gruppo di persone tiene in ostaggio l’intera società. Ѐ un buon momento, inoltre, perché c’è una forte unità politica. In queste condizioni, la legge sarebbe passata di sicuro. Nondimeno, c’è un contesto più ampio che deve essere tenuto in considerazione. Il motto «un’impresa, un contratto» è stato introdotto dopo la seconda guerra mondiale nel contesto della ricomposizione delle forze di sinistra che facevano i conti con la loro sconfitta di fronte al nazismo. Questo ha portato, tra le altre cose, alla nascita dei sindacati unitari, per rafforzare l’unità della classe lavoratrice. Bisogna dire che non si è mai trattato veramente di «unità», innanzitutto perché democristiani e socialdemocratici hanno sempre escluso comunisti e anarchici. Poi, quest’unità non consentiva nella pratica di sollevare questioni come i conflitti sulla razionalizzazione della produzione. Inoltre, escludeva questioni sollevate dalle femministe sul lavoro femminile, sul lavoro part-time etc. Ma, anche se metteva a tacere molte contraddizioni e problemi importanti, aveva quanto meno un terreno reale: si può dire che un sindacato che si impegnava nella contrattazione per un’intera industria stava effettivamente contrattando per l’intera industria. Negli ultimi 30 anni, invece, questo stato di cose è stato completamente messo in discussione dal capitale stesso. Innanzitutto, a partire dagli anni ’80 e ancora di più dopo la caduta del Muro, molte aziende hanno lasciato l’associazione degli imprenditori, che è la controparte della contrattazione collettiva. Lo hanno fatto proprio per sottrarsi agli obblighi imposti dai contratti collettivi. Nelle regioni dell’Est la maggior parte delle aziende non è mai entrata nell’associazione. Inoltre, la logica «un’impresa, un contratto» è messa in discussione dal processo massiccio di deregolamentazione, privatizzazione, precarizzazione, esternalizzazione, lavoro interinale eccetera. La presunta «unità» è ora quanto mai divisa. Anche in fabbriche come la Deimler, dove la IG Metal ha una presenza forte e di lungo termine, i lavoratori per la maggior parte non sono più propriamente lavoratori della Deimler. Sono lavoratori di aziende in appalto, lavoratori interinali e quant’altro. La fantasia «un’impresa, un contratto» aveva senso allora, per essere forti, e avrebbe senso anche oggi se si riuscisse a costruire politicamente un’unità, ma è stata superata dal capitale stesso e le trasformazioni rappresentano le sconfitte della classe lavoratrice. Che cos’è oggi un metalmeccanico? Questo problema non ha solo un versante oggettivo, ma anche uno soggettivo. Anche nei centri della produzione fordista essere un operaio vuol dire qualcosa di molto diverso da allora.

Il quadro che hai appena descritto, il quadro più ampio in cui si inserisce questa legge, quali conseguenze ha sulle lotte sul lavoro e sugli scioperi?

Ci sono molti problemi che ne derivano. I conflitti tra i sindacati sorgono perché i sindacati tradizionali di fatto non coprono più un’intera industria e i suoi lavoratori. Molte lotte non riguardano i contratti collettivi. Soggettivamente – e questo va oltre questa specifica legge – è diverso se consideriamo la profonda precarizzazione dei rapporti di lavoro. Perché i precari e le precarie non vedono più il sindacato, o quanto meno questi grandi sindacati, come cosa loro, come soggetti in grado di difendere i loro interessi. Penso che questo sia un problema molto serio, perché il sindacato non è solo un dispositivo che contratta, ma anche un luogo dove la tua esperienza può essere valorizzata o svalutata. Ѐ una forma di spazio pubblico, in cui si forma la coscienza politica, dove le tue rivendicazioni e i tuoi bisogni vengono espressi, in cui diventano importanti o meno (soprattutto se manca un pubblico democratico). In questi sindacati tradizionali sembra esserci poco spazio per far sì che i lavoratori precari costruiscano un movimento. Il problema non è solo che i grandi sindacati non riescono a stringere contratti collettivi anche per loro, ma è che questi non li sentono come loro organizzazione. E questo è un fatto, indipendente dalla Tarifeinheitsgesetz che è stata approvata. Quindi il problema ha due aspetti. Da un lato, è un problema di competizione tra sindacati, che alcuni di loro cercano di risolvere per via amministrativa. Dall’altro, deve essere collocato nel contesto della crisi che, indipendentemente da questa legge specifica e dalla stessa Germania, richiede nuove idee su come organizzarsi, su come cercare un’unità. E di questo non si discute molto.

Un altro elemento di questa cornice più ampia è il nuovo o rinnovato attivismo di alcuni piccoli sindacati.

Sì, la crescita di sindacati più piccoli deve essere inserita in questo contesto. Ad esempio, il sindacato dei medici, il Margburger Bund, se mi avessi chiesto 20 anni fa: «è un sindacato?», ti avrei risposto: «no, è un’associazione di destra». Alla fine sono cresciuti e hanno cominciato ad agire in un conflitto in cui i sindacati non riuscivano più a intervenire. Questo è vero anche per il sindacato dei macchinisti, dei piloti, ed è vero anche per il sindacato anarchico (FAU). Anche loro sono esistiti per molti anni, ma erano molto piccoli, improvvisamente i loro iscritti stanno crescendo in alcuni luoghi di lavoro. Questi sono segnali di un grande cambiamento. Il problema politico è che i sindacati più grandi non sono disposti ad affrontare queste contraddizioni attraverso una discussione politica, chiedendosi: qual è il nostro problema? Com’è cambiata la situazione? Cosa dobbiamo fare di diverso? Qualche mese fa c’è stato un incontro tra IG Metal, il sindacato dei chimici, il BAU, l’EVG, all’interno della DGB, ad esclusione dei Ver.di, che sono parte della DGB ma contrari alla legge. L’incontro doveva decidere quale sindacato è «padrone» di quale settore. Questo mostra che questi sindacati non sono in grado di comprendere il problema che hanno di fronte, ovvero il fatto che i lavoratori e le lavoratrici non li vedono più come le loro organizzazioni.

Com’è stata organizzata l’opposizione a questa legge?

Una parte dei sindacati di base e una parte dei movimenti hanno cominciato una collaborazione. Ѐ buffo perché noi non abbiamo mai stretto simili alleanze. Gruppi con diverse prospettive, come la GDL, il sindacato dei macchinisti, parte del Ver.di, la FAU, qualche gruppo di sinistra si sono uniti. Qualcosa sta accadendo su molti livelli ed è questo nuovo tipo di alleanza che può essere interessante per il futuro.

Da quello che dici è chiaro che il diritto di sciopero ha due facce, una faccia è «amministrativa», può essere parte di una legge che regola lo sciopero e ne limita l’efficacia, l’altra faccia ha a che fare con il potere necessario per scioperare e indica un problema politico più ampio che non è riconducibile a un conflitto intra-sindacale.

Sì, e qui per me lo sciopero sociale entra nella discussione. Ѐ interessante per me collegare queste questioni. Perché, da un lato, se vieni da vecchi sindacati, ora devi collegare le tue istanze con i problemi del sociale. Ad esempio al Kita, la rete di asili pubblici di Francoforte, i lavoratori hanno cercato di coinvolgere i genitori, i clienti in modo tale da diventare più forti. Ma questo non è solo un problema tecnico, cioè che riguarda come siamo tecnicamente in grado di scioperare. Il problema è anche come possiamo mobilitare attorno al problema sollevato dallo sciopero come pratica. Per fare ciò dobbiamo porci molte domande: come ci organizziamo? Come colleghiamo questioni nei luoghi di lavoro con questioni nel sociale?