Tunisia paralizzata da scioperi e proteste: il sindacato UGTT al bivio

The UGTT union observed a general strike in Gafsa, south of Tunisia, on November 27Th 2013. Thousands of people protested and claimed their share in the development from the production phosphate. some protesters stormed the governorate headquarters and burned the Ennahdha headquarters. The police used tear gas on the protesters. (C) Chedly Ben Ibrahim

Nelle ultime settimane la Tunisia è stata percorsa da un’ondata di lotte. Dai distretti minerari in sciopero generale ai giovani laureati disoccupati, anch’essi in stato di mobilitazione, il paese sta conoscendo una nuova ondata di agitazioni. Questa situazione potrà sfociare in una nuova esplosione sociale?

Riportiamo un’interessante analisi di Juan Chingo del 21 maggio 2015, tratta da ccr4.org (traduzione di Il Pungolo Rosso)

Il 13 maggio gli scioperi dei magistrati e dei docenti della formazione primaria hanno paralizzato i tribunali e le scuole di tutto il paese. Quasi 67.000 maestri hanno scioperato per rivendicare salari e condizioni di lavoro migliori, e lo stesso avevano fatto i docenti della scuola secondaria il mese precedente.

Dal canto suo, lo sciopero selvaggio di 5 giorni lanciato senza preavviso dai macchinisti delle ferrovie della città industriale di Sfax, sciopero che ha paralizzato il sistema ferroviario del paese, è stato sospeso «provvisoriamente» fino al primo giugno – questo secondo il comunicato pubblicato il 18 maggio dagli scioperanti dopo aver raggiunto un accordo con il sindacato maggioritario, l’Unione Generale dei Lavoratori Tunisini (UGTT). I macchinisti hanno minacciato di riprendere lo sciopero nel caso che le loro rivendicazioni non vengano soddisfatte, in particolare: l’aumento del salario minimo, la rivalutazione dei bonus e gli avanzamenti professionali per quest’anno.

Nelle miniere i sindacati stanno bloccando la produzione di fosfati, una delle principalimaestri in sciopero Tunisia fonti di ricchezza del paese. A ciò si aggiungono gli scioperi proclamati dagli impiegati di Transtu (il principale operatore per i trasporti urbani) per i giorni 26, 27 e 28 maggio; poi lo sciopero dei dipendenti della società che gestisce i caselli autostradali Mornag, previsto per il 30 e 31 maggio; poi lo sciopero di tutti i centri di formazione professionale, il 26 e il 27 maggio e infine lo sciopero degli impiegati e dei funzionari del ministero dell’Interno, il 19, 20 e 21 maggio.

sciopero medici tunisiaCon questi scioperi sono 474 le azioni di protesta registrate in Tunisia nel corso dell’ultimo mese, secondo le statistiche pubblicate la settimana scorsa dal Forum Tunisino dei Diritti Economici e Sociali. Nel loro insieme queste proteste esprimono un malessere sociale a cui i governi che si sono succdeuti non hannno saputo rispondere.

«Dignità» e «Lavoro»
È dal 20 maggio che Metlaoui, Om Lrayes, Mdhila e Redayf, città della zona mineraria a sud del paese, sono paralizzate da uno sciopero generale. Centinaia di abitanti sono scesi in strada per chiedere lavoro e protestare contro la disoccupazione.

Quest’azione segue e fa nel contempo fare un salto di qualità alla campagna promossa la settimana scorsa a Gafsa per reclamare «Dignità» e «Lavoro». Recita un manifesto: «si compramo e vendono diplomi universitari», che è un’allusione alla disperazione di molti laureati ad ormai quattro anni dalla rivoluzione che rovesciò il dittatore Ben Ali.

La disperazione di questi settori sociali va crescendo e dimostra l’enorme disincanto esistente rispetto alla falsa «transizione democratica» avviata dal regime e salutata da tutti i paesi imperialisti come unico esempio di effettivo cambiamento nella regione. «Siamo rimasti senza soluzioni», così dice Zied Salem, che ha terminato i suoi studi universitari in matematica 9 anni fa, ma si è guadagnato da vivere con il contrabbando, finché la repressione governativa non ha impedito pure quello. «Prima della rivoluzione avevano un sogno, ma ora il sogno è andato i frantumi». Secondo Salem i governanti democraticamente eletti in Tunisia corrono il rischio di fare la stessa fine di Ben Ali. «Se non ci danno lavoro in tempi brevi, la nostra esistenza diventerà ancora più terribile. Allora ci ribelleremo e gli cacceremo», conclude Salem, che ha piantato la sua tenda davanti all’ufficio della compagnia dei fosfati.

Parole molto significative, queste, giacché è noto che in Tunisia e nel mondo arabo il processo rivoluzionario si è innescato dopo che nel dicembre del 2010 Mohamed Bouazizi si è immolato per protestare contro gli arbitri delle autorità locali.

Una crisi dell’autorità dello Stato
La montante protesta sociale è indice della difficoltà che sta avendo il governo a contenere il malcontento economico e sociale, a fronte del forte peso delle misure di aggiustamento economico. Per far fronte agli aumenti salariali concessi ai docenti delle scuole secondarie e ai dipendenti pubblici lo Stato dovrà indebitarsi ancora di più. In parallelo, queste lotte hanno dato coraggio ad altre categorie sociali, riattivando un processo che non ha l’aria di arrestarsi.

La cosa più grave, per la borghesia, è che si viene manifestando una crisi dell’autorità dello Stato. Ne dà conto El Watan descrivendo l’atteggiamento del governo contro gli scioperanti «[…] venerdì scorso il governo ha emanato un ordine di precettazione [contro i ferrovieri], rendendoli passibili di persecuzioni penali se manterranno questo sciopero non riconosciuto dalla potente centrale sindacale UGTT». «Il proseguimento dello sciopero, malgrado la precettazione dei dipendenti e il non-riconoscimento della mobilitazione da parte dell’UGTT, riflette le difficoltà dello Stato ad imporre la sua autorità», sottolinea El Watan citando il segretario generale del partito Al Massar, Samir Taïeb.

Lo stesso smottamento dello Stato si osserva nel bacino minerario di Gafsa, che entra ora nella terza settimana di blocco totale di tutte le miniere di fosfato e delle fabbriche di acido fosforico della regione, la principale mineraia del paese. In effetti il capo del governo Habib Essid ha annunciato numerose misure sociali ed economiche in favore delle località del bacino minerario, per attenuare la disoccupazione, la povertà e la marginalità sociale che colpiscono la regione. Il problema, secondo Samir Taïeb, è che «sono state promesse delle cose da parte dei tre governi saliti al potere dopo Ben Ali (Jebali, Laârayedh, Jomaâ), ma non sono state realizzate».
L’opposizione inizia ad agitarsi: «se il governo non prende delle misure concrete nelle prossime settimane la situazione può complicarsi e può essere che non riusciamo a controllarla», afferma Ammar Amroussia, capo del partito del Fronte popolare.

Un test difficile per il regime post-rivoluzionario tunisino: il ruolo chiave dell’UGTT
La Tunisia è stata la culla della Primavera araba. Come l’Egitto, è un paese in cui la classe operaia, più o meno organizzata, ha agito come forza reale. Dopo la caduta di Ben Ali nel gennaio 2011 si è aperto un periodo di grande instabilità politica, manifestazion e scioperi, che l’ha fatta finita con il governo di transizione composto da figure del vecchio regime.

Nell’ottobre 2011 si sono tenute le elezioni per l’Assemblea Costituente che hanno rivelato una forte frammentazione politica, con una prevalenza relativa del partito islamista Ennahda; partito che ha formato un governo provvisorio insieme ai tre partiti laici maggioritari. La situazione è però diventata sempre più instabile, con una crescente divaricazione tra partiti laici e partiti islamisti, e l’ulteriore deteriorarsi delle condizioni di vita delle classi popolari.

Nel 2013 è stato asssassinato Chokri Belaid, un sindacalista della sinistra radicale. Questo delitto di matrice politica ha provocato un’ondata di proteste e anche uno sciopero generale, intensificando la contrapposizione tra forze laiche ed islamiste. L’abbandono del potere da parte degli islamisti ha permesso di trovare una via d’uscita politica dalla crisi, con l’UGTTT che ha giocato un ruolo chiave.

Di recente, nel 2014, è stata approvata la nuova Costituzione. Con le elezioni dell’ottobre scorso il partito borghese liberale e laico Nidaa Tounés si è importao su Ennahda. Infine, all’inizio del 2015 i laici e gli islamisti moderati hanno costituito un governo di coalizione, alla testa del quale c’è un vecchio uomo di Ben Ali.

Questo nuovo governo si trova oggi davanti ad un test sociale difficile, nel quadro di una situazione economica scottante. Gli elementi fin qui menzionati condurranno effettivamente ad una nuova esplosione rivoluzionaria? Nulla è sicuro. D’altra parte, il fatto che ad appena qualche mese dalla sua formazione il nuovo governo venga già contestato da una mobilitazione di tali dimensioni dimostra ancora una volta la vitalità delle masse e del movimento operaio tunisini, malgrado i duri colpi subiti e le disillusioni. La questione chiave nelle prossime settimane è la formazione di un’ala rivoluzionaria capace di scalzare la direzione centrale dell’UGTT – questa enorme e potente centrale sindacale, che dai tempi dell’indipendenza ha assunto un ruolo importante nel paese, e il cui peso e ruolo politico e rivendicativo è venuto crescendo dalla caduta di Ben Ali. Il ruolo dell’UGTT di fronte al radicalizzarsi dei settori e territori in lotta e rispetto al controllo esercitato sugli stessi, esercitato evitando scrupolosamente la contrapposizione con il potere, è un ruolo nodale per capire come mai in Tunisia sia stato possibile deviare il processo rivoluzionario con metodi di reazione democratica; ciò a differenza dell’Egitto, dove c’è stato il colpo di Stato contro-rivoluzionario dei militari.

Superare la direzione burocratica dell’UGTT ed estendere la sindacalizzazione alle donne lavoratrici e ai salariati del settore privato trasformando l’UGTT in un reale contro-potere operaio e popolare: ecco i compiti fondamentali per il prossimo futuro affinché i segni di un nuovo risveglio rivoluzionario nelle masse tunisine non vengano ancora una volta frustrati e messi in scacco.