Quando resistevamo davvero, articolo di Marina Valcarenghi, apparso sul Fatto Quotidiano il 20 aprile 2015:
Il nostro fu l’unico paese occupato dai nazisti a organizzare in un anno due scioperi generali accelerando il crollo del regime. Il primo dopo diciotto anni cominciò il 5 marzo 1943 a Torino e si estese in tutta la Repubblica Sociale coinvolgendo più di 200mila lavoratori; le agitazioni durarono nel loro insieme 40 giorni. “Pane, pace e libertà” era la parola d’ordine, tutto ciò che il fascismo non poteva dare. Le fabbriche erano militarizzate e l’OVRA ci inseriva i suoi agenti; gli scioperi, sempre illegali durante il fascismo, con la guerra divennero crimini contro lo Stato e si finiva davanti al Tribunale Speciale, con il rischio della deportazione e della condanna a morte.
Il 1° marzo del ’44 arrivò la seconda ondata di scioperi. I nazifascisti sapevano che dietro lo sciopero c’era la Resistenza clandestina che collegava le fabbriche e che imprimeva una carica politica alle agitazioni. Se veniva a mancare la produzione dei prodotti meccanici, chimici e della gomma, e cioè di interesse bellico, i nazisti non potevano più requisirla e trasferirla in Germania e si indeboliva il regime fascista. Così la Guardia Nazionale Repubblicana scriveva a Mussolini: “Lo sciopero, che sarebbe giustificato da motivi economici, in realtà avrebbe invece carattere politico e verrebbe effettuato di concerto con il movimento dei ribelli”. Dal 1° all’ 8 marzo 1944 la Repubblica Sociale fu paralizzata: 500mila lavoratori coinvolti, fabbriche, servizi pubblici, linee ferroviarie e tranviarie bloccate. Ne parlarono e ne scrissero in tutto il mondo. A niente erano serviti i mezzi corazzati nazisti a presidiare le fabbriche, nè i licenziamenti e le deportazioni, nè la fame, nè la spaventosa repressione e la morte di tanti esponenti della Resistenza e delle avanguardie operaie che quegli scioperi avevano organizzato.