Thyssen: l’armadietto della vergogna

Pubblichiamo l’intervento che riassume la perizia di Massimo Zucchetti, Professore di Sicurezza e Analisi del Rischio al Politecnico di Torino e consulente tecnico di Parte civile, per l’Associazione «Legami d’Acciaio», che riuniva i parenti delle vittime e gli altri lavoratori Thyssen. La sua accorata ricostruzione delle condizioni di sicurezza all’interno della Thyssen Krupp di Torino, totalmente inadeguate perchè il padrone non voleva spendere per una fabbrica in via di dismissione, ci ricordano l’indignazione e la rabbia di Luigi Mara, che una simile valutazione fece insieme ad altri tecnici di Medicina Democratica per lo stesso processo. La Thyssenkrupp era un inferno e quelle morti operaie sono un danno collaterale del capitale.

************

Thyssen: l’armadietto della vergogna

Thyssen: l’armadietto della vergogna

Di Massimo Zucchetti, pubblicato su Il Manifesto il 16 maggio 2016

Alcune foto parlano da sole. Questa l’ho fatta io nel 2009 durante il sopralluogo alla Thyssen Krupp. Ero consulente dei lavoratori al processo. Armadietto con “Attrezzatura antincendio”, o “Attrezzatura antiacido” chiuso da un bel lucchetto, che gli operai cercarono invano di aprire sfondandolo a calci o con un muletto, quella tragica notte, nel rogo. Non fu “tragica fatalità”, fu dolo. Ma questa è solo una foto emblematica.

Alcuni fatti sull’incendio Thyssen Krupp. Scrissi una perizia, e qui sotto riporto il link, come ctp al processo di primo grado. Non fu tragica fatalità, e c’è questa relazione di 7 anni fa, scritta da me di notte, della quale vado tristemente orgoglioso. Di notte, scrivevo: perché, tanto, non riuscivo a dormire, dopo aver visto quello che ho visto, dentro quella fabbrica bruciata.

http://staff.polito.it/massimo.zucchetti/Relazione_Thyssen_Zucchetti.pdf

La Cassazione ha confermato proprio nei giorni scorsi la sentenza della corte d’Assise d’appello per il processo Thyssen.

Sentenza definitiva: quattro dei condannati sono entrati già in carcere. Il pesce più grosso, tuttavia, e principale imputato, l’amministratore delegato Hespenhal, resta in libertà: latitante.

Permane, affiora, sotto la soddisfazione, l’amarezza: la Giustizia ha confermato le condanne del secondo grado, e quindi non fu, secondo i giudici, omicidio volontario con dolo eventuale (come fu proposto dal pm Raffaele Guariniello e confermato in primo grado), ma omicidio colposo con l’aggravante della colpa cosciente.

Ciononostante, a causa delle gravi omissioni della ditta, resta la morte di sette operai; questa diventa comunque una sentenza storica, mai in Italia sono state date pene così alte per un incidente sul lavoro.

Giuseppe Demasi, Angelo Laurino, Rocco Marzo, Rosario Rodinò, Bruno Santino, Antonio Schiavone, Roberto Scola. Sono già passati otto anni.

I sette operai morti

I sette operai morti

Io – tecnicamente parlando – non posso che riportare qui un sunto delle conclusioni della mia Relazione.

1) La linea 5 funzionava in perenne palese violazione delle norme di sicurezza relative agli impianti a rischio di incidente rilevante, in quanto – ad esempio – in costante presenza di olio sul fondo dell’impianto, di residui di carta oleati ovunque, di fiamme libere e piccoli incendi praticamente costanti, in mancanza di squadre antincendio addestrate, con gli estintori scarichi, eccetera.

2) La linea 5 funzionava oltre i normali regimi per sopperire a richieste pressanti di produzione non ottemperabili dal solo stabilimento di Terni. Gli operai erano costretti a turni straordinari massacranti.

3) La linea 5 presentava evidenti malfunzionamenti dovuti ad usura e scarsa manutenzione, primo tra tutti le perdite di olio, e i frequenti guasti di tipo elettrico e meccanico.

4) I vigili del fuoco, gli addetti ai gruppi di lavoro sulla sicurezza, i periti dell’assicurazione avevano ripetutamente raccomandato nel recente passato l’adozione di un sistema automatico di spegnimento per la linea 5, in conformità a quanto previsto per impianti soggetti a rischio rilevante di incendio come quello in esame. Questa raccomandazione, adottata per analoghi impianti presso altri stabilimenti della ditta, era stata disattesa e posposta, in quanto la linea stava per essere chiusa e trasferita a Terni entro breve.

5) La manutenzione sulla Linea 5 era insufficiente ed era peggiorata nell’ultimo periodo, in vista della prospettata chiusura entro breve tempo. Le squadre di manutenzione si erano ridotte e le frequenze degli interventi riguardavano per lo più la riparazione di guasti. Ancora, la sostituzione di alcuni pezzi meccanici non avveniva con il montaggio di pezzi nuovi ma con recuperi da altre linee o spostamenti sulla linea stessa

6) Le squadre di sicurezza e antincendio erano insufficienti o inesistenti, erano costitute da personale che non aveva completato (in nessun caso, neppure una persona) l’addestramento antincendio previsto dalla legge. Le procedure di emergenza e antincendio erano carenti e l’intero apparato di sicurezza al riguardo era in patente violazione con le prescrizioni di legge.

7) Gli operai della linea 5 dovevano frequentissimamente intervenire con estintori manuali per spegnere incendi che continuamente si formavano sulla linea, senza sospendere la produzione, in violazione con il loro mansionario e le procedure.

8) In caso di incendio di “grave entità” la procedura prevedeva non già l’immediato appello dei VVFF, ma la composizione di un numero di telefono per la chiamata della squadra antincendio, peraltro inadeguata in quanto non formata con appositi corsi completi e sprovvista di mezzi adeguati di spegnimento.

9) Non vi era alcuna prescrizione o specifica scritta o procedurale che indicasse quando un incendio era di “grave entità”. Le indicazioni dell’azienda erano di provare a spegnere con ogni mezzo l’incendio da parte degli operai con gli estintori prima di dare l’allarme. Era fortemente radicato il concetto per cui si doveva sopperire a qualsiasi problema evitando di interrompere la produzione. I pulsanti di emergenza non dovevano mai venire azionati per evitare la interruzione della produzione. Gli operai avevano ricevuto espresse indicazioni al riguardo dall’azienda. Emerge chiaramente, anche dall’analisi di alcuni incidenti, che vi era la indicazione generalizzata ad affrontare situazioni di rischio particolarmente elevato in modo autonomo e non in ottemperanza alle misure di sicurezza, che non erano state comunicate ai lavoratori.

10) Il pulsante di emergenza non toglie l’alimentazione elettrica alla pompa oleodinamica , quindi l’olio rimane sempre in pressione fino ai banchi valvole anche in caso di attivazione dei pulsanti di emergenza. Anche la pressione di questi pulsanti, fortemente sconsigliata dall’azienda per non interrompere la produzione, non avrebbe evitato comunque l’incendio e l’incidente.

11) I sistemi individuali di spegnimento (estintori) erano al momento dell’incidente per la maggiorparte scarichi o inutilizzabili.

12) Nessuno dei presenti all’incidente aveva ricevuto alcuna formazione specifica sul tipo di intervento da effettuare e sulle procedure da seguire in caso di un incendio di tale entità.

13) Si erano verificati nel recente passato eventi incidentali analoghi presso altri stabilimenti dell’azienda, senza che nessun rimedio venisse adottato a seguito di questi incidenti sulla linea 5.

14) Alcuni sistemi di sicurezza automatici che segnalavano la presenza di carta spuria (costituente grave pericolo) nell’impianto a seguito di malfunzionamento erano al momento dell’incidente esclusi manualmente o addirittura guasti, in palese contrasto con le norme di sicurezza.

15) Nel luogo ove si è verificato l’incendio non vi era sistema automatico di rilevazione incendi

In ultima analisi, lo scrivente si stupisce come l’evento incidentale che ha causato la morte dei sette operai si sia verificato con tale ritardo, viste le condizioni in cui funzionava l’impianto, ovvero in palese violazione con ogni norma di sicurezza.

Tutto quanto era umanamente possibile per rendere probabilissimo il disastro era stato fatto o omesso dall’azienda con incredibile e costante pervicacia.

Una volta partita, la dinamica dell’evento incidentale è stata inevitabile, dati gli strumenti e la formazione dati agli operai, ai quali nulla si può imputare se non l’aver accettato, per non perdere il posto di lavoro, di lavorare in un impianto in simili condizioni.

Questo ho scritto nel 2009, questo continuo oggi  a pensare.

Linea 5 – Quando si ruppe il tubicino dell’olio e partì l’incendio