Fermare il massacro a Gaza, subito!

A Gaza è in corso ormai da quasi quattro mesi un massacro senza precedenti.


L’iniziativa militare di Hamas del 7 ottobre 2023, che ha provocato una strage indiscriminata di civili israeliani, con la cattura di centinaia di ostaggi, è stata il pretesto per scatenare da parte dell’esercito israeliano una operazione militare terrificante contro la popolazione palestinese di Gaza che la espone ad un rischio genocidario.
Non lo diciamo noi, o i movimenti di solidarietà con la causa palestinese, ma è la formula utilizzata in giudizio dalla Corte di Giustizia Internazionale dell’Aja che ha riconosciuto come fondata nei confronti di Israele l’accusa di essersi assunta la responsabilità di un genocidio dei palestinesi di Gaza.
Il governo di estrema destra israeliano capeggiato da Netanhiau sta approfittando delle stragi compiute da Hamas il 7 ottobre per mettere in atto un progetto di pulizia etnica spietata nei confronti dei palestinesi, a Gaza ma anche in Cisgiordania, dove l’esercito israeliano da quella data ha intensificato la repressione e le rappresaglie contro i palestinesi che provano ad opporsi, distruggendo case, città, villaggi, sradicando ulivi e spalleggiando i coloni sionisti ultra fondamentalisti che vogliono allargare i propri insediamenti illegali a spese del territorio abitato dalle comunità palestinesi.
Il governo israeliano ritiene di poter risolvere così la questione palestinese, soffocando le aspirazioni all’autodeterminazione di quel popolo, perché è forte del sostegno degli Stati Uniti e dei governi europei. Questi ultimi, e lo stesso presidente Biden, provano a nascondere la complicità con il massacro in corso nascondendosi dietro la ipocrita richiesta all’esercito israeliano di “risparmiare vittime civili” continuando però con le proprie operazioni militari a Gaza.
Da una parte spostano le loro portaerei nel Mediterraneo per “coprire” Israele e la riforniscono di aiuti finanziari e militari, dall’altra versano lacrime di coccodrillo sulle vittime civili. Uno spettacolo vergognoso.
Occorre dire forte e chiaro che la radice del problema di questo drammatico conflitto mediorientale con le sue spaventose conseguenze per il popolo palestinese, è rappresentato dall’occupazione israeliana del territorio palestinese, con l’obiettivo dichiarato di espellerne (deportandoli in altri paesi, a partire dal deserto del Sinai egiziano) quanti più abitanti possibili realizzando il progetto nazionalista, fondamentalista e genocida della “ Grande Israele”.
Negando in modo esplicito la possibilità di uno Stato palestinese a fianco di quello oggi esistente di
Israele o qualunque altra soluzione che possa contemplare il riconoscimento dei  diritti nazionali del popolo palestinese-due Stati, uno Stato Binazionale, una Federazione o una Confederazione di diversi popoli.
Occorre quindi sostenere le resistenze del popolo palestinese a questo progetto di pulizia etnica.
Resistenze che possono assumere tante forme e modalità e su cui va riconosciuto il diritto dei Palestinesi stessi a riconoscerne ed utilizzarne quelle ritenute possibili ed efficaci.
Affermare questo “diritto alla resistenza” non significa tacere su quanto avvenuto il 7 ottobre nei villaggi e nelle comunità israeliane colpite dall’iniziativa militare di Hamas.
Quell’iniziativa ha colpito in modo deliberato ed indiscriminato civili, persone inermi, anziani, donne e bambini. Non si è limitata ad una operazione militare contro obiettivi militari.
Ha prodotto una risposta micidiale e genocida da parte dell’esercito israeliano tuttora in corso, che era prevedibile alla luce del carattere fascista e razzista della composizione del governo israeliano e dei rapporti di forza esistenti sul campo.
Il prezzo che i palestinesi di Gaza, e non solo, stanno pagando è altissimo e le contraddizioni nella
società israeliana , che pure esistono, sono mascherate dal trauma subito e dalla mitizzazione dell’unità nazionale che scatta in questi momenti.
In questo momento, il movimento di solidarietà con il popolo e la resistenza palestinese deve concentrarsi intorno alla richiesta del cessate il fuoco immediato, accompagnato dal ritiro dell’esercito israeliano da Gaza, dall’apertura di tutti i corridoi umanitari possibili per garantire il massiccio e necessario afflusso di aiuti umanitari, la liberazione degli ostaggi israeliani detenuti a Gaza in cambio della scarcerazione di tutti i prigionieri politici palestinesi, la fine delle incursioni dell’esercito israeliano in Cisgiordania e il  blocco degli insediamenti illegali dei coloni sionisti.
La recentissima espressione della Corte di Giustizia dell’Aja (come, d’altra parte, le reiterate risoluzioni ONU di condanna), che , con i limiti di una risoluzione che contempla l’equilibrio di potere tra magistrati designati dai governi di diversi paesi, pur non invocando il cessate il fuoco immediato, ha stigmatizzato il rischio genocidario a Gaza e deve quindi essere sostenuta con forza, chiedendone l’immediata applicazione con tutte le sanzioni necessarie nei confronti dello Stato di Israele, nel caso più che probabile  non si attenesse a quelle indicazioni.

In Europa, negli Usa e in Gran Bretagna, e poi in tutto il mondo sta crescendo il sostegno e l’empatia popolare con la causa palestinese. Diventa importante investire il movimento sindacale e i luoghi di lavoro con una campagna di solidarietà che metta al centro le terribili violazioni dei diritti e lo sfruttamento disumano cui sono sottoposti lavoratori e lavoratrici a Gaza e nei territori occupati.

Occorre rilanciare la campagna Bds (Boicottaggio, disinvestimento e sanzioni) nei confronti dell’economia israeliana al servizio di quel complesso militare industriale che sta mettendo in atto un genocidio; occorre sostenere con forza tutte le iniziative che vanno nel senso del dialogo e della cooperazione tra Ebrei e Arabi, sia in Israele che nella diaspora esistente in tutti i paesi.
Occorre ridare senso e prospettiva ad un progetto di soluzione pacifica di quel conflitto, partendo dal riconoscimento del diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese, nel riconoscimento della convivenza necessaria tra entrambi i popoli che abitano quella terra, per costruire in Medioriente una società più giusta e liberata da ogni forma di oppressione e violenza, aperta ad una prospettiva di pace e di  trasformazione sociale.

lì, 28-01-2024