di Roberto Ciccarelli, da Il Manifesto del 18 marzo 2021
Al «reddito di cittadinanza» è stato riconosciuto il ruolo di freno a un’emergenza sociale conclamata, ma che rischia di essere sottovalutata. Senza sarebbe stato peggio, si dice. Ma non sembra essere considerato il fatto che i suoi criteri patrimoniali ristretti escludono un’ampia fascia di poveri assoluti oltre che di poveri relativi come i lavoratori precari, intermittenti; quelli travolti dalla crisi economica innescata dalle misure prese per contenere il contagio del Covid; i cittadini extracomunitari residenti in Italia da meno di 10 anni sanzionati da una norma razzista del governo «Conte 1» con Lega e Cinque Stelle. La stima dell’Istat è ormai tristemente nota: un milione di poveri in più solo nel 2020 (Il Manifesto del 5 marzo). Se intesa come un reddito di base, estesa in termini universali, slegata dalle condizioni imposte nel 2019, e liberata dalle «politiche attive del lavoro» che il governo Draghi intende azionare sulla spinta del «Recovery plan» della Commissione Europea, la misura impropriamente definita come «reddito di cittadinanza» avrebbe potuto contenere la prima onda di una crisi sociale che durerà anni.
L’Osservatorio Inps ieri ha evidenziato gli effetti contingenti di una norma che restringe e non allarga il «reddito di cittadinanza», importo medio di 564 euro. Napoli è la provincia con più beneficiari (143 mila). A febbraio le famiglie che lo percepiscono sono diminuite per il mancato aggiornamento della dichiarazione sostitutiva unica che certifica ogni anno la situazione economica. I nuclei percettori del sussidio sono stati 1.009.000 (2,3 milioni di persone). A gennaio erano 1,2 milioni. 110 mila nuclei sono decaduti dal diritto. «Una flessione fisiologica, come l’anno scorso» spiega l’Inps. Con la differenza che c’è una pandemia in corso. Per ora, sostiene l’Inps, il costo di questa misura è stato superiore ai 12 miliardi di euro a partire da aprile 2019.
Un’altra causa di esclusione è stata la titolarità di auto o moto da parte di qualche componente del nucleo. Tra gennaio e febbraio 2021 il «reddito di cittadinanza» è stato revocato a 36mila nuclei. «Chiaro effetto – si legge nel rapporto – dei controlli generati grazie alla convenzione Inps con l’Aci. Se si è poveri non è possibile avere una macchina o un ciclomotore. Al massimo si può avere una casa, ma entro certi limiti. E attenzione a quanto si guadagna. Nel 20% dei casi il «reddito» è stato revocato perché le dichiarazioni non erano conformi al patrimonio mobiliare posseduto e ai redditi da attività lavorativa (18%). Ora pare che il nuovo governo prevede la sospensione del «reddito» in caso di lavoro precario e la ripresa della sua erogazione dopo la fine del contratto.
Questo accade perché la misura è stata concepita per selezionare i poveri non per includerli in un Welfare universale. L’approccio generale è stato confermato da un’altra misura del governo «Conte 2» che sarà confermata nel decreto «sostegni» del governo Draghi: il «reddito di emergenza» (Rem), un duplicato del «reddito di cittadinanza» che risponde a criteri più laschi, ma pur sempre condizionati. Invece di estendere la misura principale, si continuerà a finanziare un’altra secondaria, tra i 400 e gli 800 euro, per tre mensilità. Il risultato sarà quello di segmentare, frammentare e rendere il più possibile temporaneo il riconoscimento di un diritto di esistenza anche in un periodo di emergenza come quello pandemico. Nelle intenzioni del nuovo governo tali mensilità dovrebbero andare a chi ha esaurito la Naspi e la Discoll tra luglio e febbraio. Invece di prospettare una riforma generale si continua con lo Stato sociale all’italiana: categoriale, escludente, diseguale.