Il 13 giugno il parlamento argentino voterà la proposta di legge per depenalizzare l’interruzione volontaria di gravidanza, oggi illegale. Domenica scorsa una ” marea verde” ha inondato Plaza de Mayo con slogan come “Aborto legale in ospedale”. Il Ministero della Sanità argentino stima che circa mezzo milione di donne abortiscano ogni anno in Argentina nonostante il divieto. Le registrazioni ospedaliere mostrano che nel 2016 almeno 50mila donne sono state ricoverate in ospedale per complicazioni derivanti da aborti, e 43 di queste sono morte.
Il movimento delle donne Ni Una menos è sceso in piazza la prima volta il 3 giugno 2015, per denunciare il femminicidio di una ragazza di 14 anni, Chiara Paez, picchiata a morte dal suo fidanzato di 16 anni, che l’ha poi seppellita nel cortile della casa dei nonni nella provincia di Santa Fe. Nel 2017 le vittime di femminicidio in Argentina sono state 251: secondo l’ultimo rapporto dell’Ufficio sulla Violenza domestica della Suprema Corte di Giustizia. Il 93% degli accusati aveva legami o conoscenze pregresse con le donne uccise e il 71% dei delitti sono accaduti nella casa della vittima.
Documento di NI UNA MENOS – ARGENTINA
Fonte e traduzione: Non Una Di Meno Milano
La marea femminista ha di nuovo inondato le strade di Buenos Aires. Migliaia di donne, lesbiche, travestiti e trans hanno marciato da Plaza de Mayo al Parlamento per chiedere l’approvazione della legge sull’aborto legale, contro le misure economiche, l’indebitamento e per pretendere la fine della violenza sessista. Alla chiusura dell’evento, la giornalista femminista Liliana Dawnes ha letto il documento ufficiale insieme alla leader trans Paula Arraigada, all’attivista afro-americana Sandra Chagas, a Mariana Britos, del collettivo dei migranti e Mónica Berrutti dei lavoratori della metropolitana repressi pochi giorni fa dalla polizia della città (durante uno stop delle attività lavorative per richiedere l’ aumento salariale che è rimasto al di sotto dell’ inflazione che oggi flagella l’Argentina).
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Nel 2015 la forza dei nostri passi e la nostra voce hanno spostato la terra dal suo asse. Abbiamo messo in atto una rivoluzione. In Argentina eravamo 1 milione di persone quelle che abbiamo urlato BASTA DE MATARNOS. NI UNA MENOS. VIVAS NOS QUEREMOS. Il terremoto nonsi fermò lì. Oggi, per la quarta volta, donne, trans, lesbiche, bisessuali, non binarie, travestiti, indigeni, afro-discendenti, migranti, indigenti e donne sieropositive siamo qui e in tutte le province dell’Argentina, per gridare di nuovo NI UNA MENOS.
Siamo un movimento potente, diverso, eterogeneo, che ha saputo dimostrare che ogni violenza esercitata contro di noi nasce dalla violenza esercitata dagli Stati e dai governi ogni volta che ci sottopongono allo sfruttamento dei nostri corpi, ogni volta che vengono violati i diritti umani, ogni volta che ripetono formule economiche neoliberiste e capitaliste che producono più fame e violenza. Siamo quelle che si sono opposte a ogni governo che voleva e vuole imporre un regime di sfruttamento, saccheggio e fame, nei quali i più colpiti sono i lavoratori, i disoccupati e gli esclusi: i poveri dei poveri.
Non siamo vittime, cresciamo nel potere della nostra danza collettiva.
Il nostro femminismo di lotta è latinoamericano e internazionale come lo dimostrano le compagne irlandesi che hanno conquistato il diritto all’aborto. Un debito degli Stati e dei governi che siamo venute a riscuotere, per quelle che in tutti gli angoli del pianeta si ribellano e si organizzano. Noi siamo molte di più di quante siamo oggi qui, siamo le eredi delle Madri e Nonne di Plaza de Mayo, siamo combattenti popolari, siamo donne, trans, lesbiche, bisessuali, non binarie, travestiti, indigeni, afrodiscendenti, migranti, indigenti e sieropositive. Siamo tutte le attiviste che nel 2005 hanno iniziato a combattere per la Campagna Nazionale per l’aborto legale, sicuro e gratuito.
Siamo quelle che allo stesso tempo dicono di smettere di vittimizzarci, affermiamo il nostro diritto al piacere, a decidere i nostri destini, a disporre del nostro tempo, a non essere sfruttate o costrette a soddisfare i desideri che non sono i nostri.
Contestiamo energicamente il governo Macri, la sua alleanza di partito Cambiemos e i governatori, gli imprenditori e la giustizia egemonica, patronale, bianca, misogina, eteronormativa, razzista, machista, patriarcale, neoliberista e capitalista dei ricchi e dei potenti.
Oggi veniamo in questa Piazza di fronte al Parlamento Nazionale per dire che non ci disciplineranno più, che non accettiamo che lo Stato e i suoi poteri si credano i proprietari dei nostri corpi, che non accettiamo che ci dicano come, quando, dove e con chi vivere, partorire, fare sesso ma vi diciamo che stiamo facendo la storia!
Noi viviamo e ci siamo assunte la responsabilità di rappresentare coloro che non vivono più. Ci organizziamo per dimostrarci e mostrare a quelle che si uniranno a noi domani che insieme possiamo sconfiggere il patriarcato e dire no al patto illegittimo che ci blocca in debiti che non pagheremo con le nostre vite, e dire di sì, una e mille volte, all’autonomia dei nostri corpi, sì all’aborto legale, sicuro e gratuito.
SIN ABORTO LEGAL NO HAY NI UNA MENOS!
NO all’accordo di Macri con l’FMI!
NI UNA MENOS! VIVAS NOS QUEREMOS! EL ESTADO ES RESPONSABLE!
Senza #AbortoLegal Non c’è #NiUnaMenos.
Vogliamo che sia approvato il progetto della Campagna Nazionale per il Diritto di Aborto Legale, Sicuro e Gratuito, non un altro! Vogliamo l’aborto legale ora! Con la nostra forza e mobilitazione, abbiamo imposto la discussione nel Parlamento Nazionale per il diritto all’aborto legale sicuro e gratuito. E con i nostri fazzoletti verdi in alto chiediamo al Parlamento che approvi la proposta di interruzione volontaria di gravidanza redatta dalla Campagna nazionale per l’aborto legale, sicuro e gratuito. Rifiutiamo i progetti di legge che cercano di confondere proponendo solo la “depenalizzazione”, noi chiediamo la legalizzazione! Non vogliamo che la Chiesa si impossessi dei nostri corpi. Diciamo no all’obiezione di coscienza come scusa per ostacolare i nostri diritti. Chiediamo la separazione della Chiesa dallo Stato e la cessazione delle sovvenzioni alla Chiesa Cattolica e all’educazione religiosa, che quest’anno ammonta a 32.000 milioni di dollari.
La nostra richiesta è integrale: educazione sessuale per decidere, contraccettivi per non dover abortire, aborto legale per non morire. Chiediamo che la legalizzazione dell’aborto ne garantisca la realizzazione e la copertura nel piano medico obbligatorio in ospedali pubblici e privati. Che includa la produzione pubblica di Misoprostol di qualità e autorizzato per uso ostetrico-ginecologico, per finire con il monopolio che fa oggi raggiungere prezzi esorbitanti, che si garantisca l’accesso e la distribuzione gratuita nel sistema sanitario pubblico e la sua vendita a prezzi popolari nelle farmacie.
Basta obbligare le vittime di stupro a partorire! Applicazione immediata del Protocollo Nazionale per l’Attenzione Integrale delle Persone con diritto all’interruzione legale della gravidanza in tutto il paese. Bilancio per garantire l’aborto non punibile in tutti gli ospedali del paese.
Esigiamo il sostegno dei Programmi di Educazione e Salute Sessuale e Procreazione responsabile. Chiediamo la regolamentazione e l’attuazione della legge di Educazione Sessuale Integrale. Vogliamo un’educazione sessuale completa, laica e di genere a tutti i livelli e in tutte le province del paese.
FUORI la chiesa dell’educazione!
Denunciamo lo Stato ipocrita che ci costringe ad abortire nella clandestinità, tante volte rischiando le nostre vite per le stesse condizioni di vita di miseria e precarietà in cui siamo costrette a vivere in questo regime sociale.
Esigiamo il diritto di accedere alle condizioni economiche e sanitarie in modo da poter decidere se vogliamo o meno essere madri.
Ripudiamo i governi che vietano l’aborto in America Latina e in particolare i governi di El Salvador, Honduras, Nicaragua, Haiti, Suriname e Repubblica Dominicana che continuano a penalizzare il diritto all’aborto. Chiediamo che venga riconosciuto in quei paesi, e in tutto il mondo, il diritto di decidere sui nostri corpi.
La maternità è un’opzione e il diritto di una donna, non un’imposizione. Noi vogliamo che l’approvazione dell’aborto legale in Argentina sia l’inizio di un movimento che attraversi tutta l’America Latina, non una morta in più per aborti non sicuri! Siano rispettate le nostre decisioni se non vogliamo partorire!
No al patto di Macri con il FMI. No al pagamento del debito estero. No alle misure economiche di risanamento economico di Macri e dei governatori dettate dal FMI.
Basta con i licenziamenti, sospensioni e repressioni.
Ripudiamo la decisione del governo di Mauricio Macri di firmare un accordo con il FMI che significa FAME. Un patto che significa risanamento economico, licenziamenti, povertà e precarizzazione per tutta la classe operaia e soprattutto per le donne, trans, lesbiche, bisessuali, non binari, travestiti, indigeni, afro-discendenti, migranti,
indigenti e sieropositive. Denunciamo le esigenze di quell’organismo, come il taglio del bilancio già scarso per la salute e l’istruzione, aree storicamente femminilizzate, e l’ eliminazione dei regimi speciali di pensionamento. NO alla riforma delle pensioni!
No al CUS (Copertura Universale della Salute) e al progetto ospedaliero SUR, che puntano a privatizzare la salute pubblica.
NO all’UNICABA insieme alle studentesse e agli studenti dell’istruzione terziaria.
Esigiamo di non pagare il debito estero e al suo posto applicare un bilancio maggiore per l’ implementazione di politiche di genere che contribuiscono alla realizzazione dei nostri diritti. Il debito è con noi!
Siamo qui contro l’adeguamento del neoliberismo che Macri e i
governi provinciali applicano. Le misure economiche ci tagliano, ci precarizzano, vogliono indebolirci ma siamo insieme e ci uniamo alle lotte dei lavoratori dello Stato, della metropolitana, di Telam, Radio Del Plata,degli insegnanti, dell’INTI, dell’ Ospedale Posadas, della linea 144, ecc. e sosteniamo tutte le lotte contro il tetto salariale che il governo intende imporre con il silenzio complice della burocrazia sindacale. Chiediamo l’apertura delle trattative salariali e rifiutiamo il tetto salariale che ci vuole imporre, un aumento ben al di sotto della inflazione che finora per quest’anno supera già il 10% dei salari.
Rifuitiamo gli items di presenteismo e produttività che si traducono in una riduzione dei salari, in particolare per le lavoratrici e respingiamo la persecuzione dell’attivismo combattivo da parte della burocrazia sindacale e dei governi nazionali e provinciali. NO al patto fiscale. NO alla modifica degli accordi collettivi. Diciamo NO alla riforma del lavoro che rende precarie le nostre vite!
Da questa piazza chiediamo lo SCIOPPERO GENERALE ORA! Come diciamo in ogni Sciopero Internazionale delle donne, ogni 8 Marzo, se noi ci fermiamo si ferma tutto!
Imparate dall’esempio del movimento femminista che scende in piazza per frenare una a una queste politiche che provocano la miseria economica e affettiva delle maggioranze!
Rifiutiamo tutte le forme di violenza sulle donne nei posti di lavoro, contro donne, trans, lesbiche, bisessuali, non binari, travestiti, indigeni, afrodiscendenti , migranti, indigenti e sieropositive. Perché le lavoratrici sono esposte al taglio dei loro diritti, dei loro stipendi e soggette alla minaccia della disoccupazione e alla disciplina della produttività. Perché la disoccupazione aumenta di due punti quando si parla di donne, perché il divario salariale è, in media, del 27% e sale al 40% nel lavoro informale.Chiediamo l’accesso a tutte le categorie alle stesse condizioni dei maschi. Basta discriminazioni sul lavoro, chiediamo tutti i diritti per le lavoratrici.
Le donne sieropositive chiedono l’approvazione della nuova legge sull’HIV, l’ IST e l’epatite virale. Basta con la riduzione del bilancio che garantisce prevenzione, profilassi, farmaci, aderenza al trattamento e reagenti Basta con la violenza contro la libertà riproduttiva
Basta con violenza ginecologica e ostetrica contro di noi. Siamo più di
40.000 !! L’Hiv non uccide, la discriminazione Sì. NON C’E’ PIÙ TEMPO!
Siamo tornate a dire che la migrazione non è un crimine! Non una migrante meno!
Rifiutiamo tutte le forme di violenza sul posto di lavoro, contro donne, trans, lesbiche, bisessuali, non binari, travestiti, indigeni, afro-discendenti, migranti, indigenti e donne con HIV. Perché le lavoratrici sono esposte al taglio dei loro diritti, dei loro stipendi e assoggettato alla minaccia della disoccupazione e alla disciplina della produttività. Perché la disoccupazione aumenta di due punti quando si parla di donne, perché il divario salariale è, in media, del 27% e sale al 40% nel lavoro informale. Chiediamo l’accesso a tutte le categorie nelle stesse condizioni dei maschi. Basta discriminazioni sul lavoro, chiediamo tutti i diritti per le lavoratrici.
Per le donne sieropositive, chiediamo l’approvazione della nuova legge sull’HIV, le IST e l’epatite virale. Basta con la riduzione del bilancio che ora garantisce prevenzione, profilassi, farmaci, aderenza al trattamento e reagenti. Basta violenza contro la libertà riproduttiva. Basta violenza ginecologica e ostetrica contro di noi. Siamo più di 40.000 !! L’Hiv non uccide, la discriminazione Sì. NON C’E’ PIÙ TEMPO!
Siamo tornate a dire che la migrazione non è un crimine! Non una migrante meno!
Chiediamo l’annullamento del Decreto di Necessità e Urgenza 70/2017 e l’eliminazione del Centro di detenzione per migranti. Ripudiamo il violento esproprio delle terre delle comunità indigene e contadine, contro la estrazione intensiva di risorse naturali, contro l’intossicazione da parte degli agrotossici (glisofato e altri)che ci avvelenano e ci uccidono. Contro il razzismo, la discriminazione e la xenofobia nei confronti delle donne afro-discendenti, afro-indigene e afro-argentine le quali il commercio degli schiavi ha costretto a partecipare alla crescita del sistema capitalista che stiamo affrontando oggi. Chiediamo il risarcimento storico che ancora ci dovete secondo la legge 26.856 “Maria Remedios del Valle, Capitano della Matria che, grazie al suo coraggio, ha contribuito all’indipendenza di questo Paese”.
Basta repressione. Esigiamo la fine dei processi e la libertà di tutti e tutte le prigioniere politiche.
Libertà a Milagro Sala e a tutte le compagne della Tupac detenute.
Non vogliamo che le Forze Armate prendano in mano questioni di sicurezza interna, questo è un modo di aprire il cammino per reprimere la protesta sociale.
Santiago Maldonado e Rafael Nahuel: presente!
Rifiutiamo il tentativo di Macri di riformare il Codice Penale per imprigionare le/i combattenti. Accompagniamo le lavoratrici e i lavoratori della metropolitana della Città di Buenos Aires duramente represse/i per aver difeso il loro stipendio. Urliamo contro i licenziamenti dei delegati sindacali della metropolitana e contro le violenze subite da tutte le compagne represse, picchiate e imprigionate dalla Polizia Municipale. Chiediamo la chiusura dei processi di tutti e tutte le detenute del 14 e 18 dicembre. Basta con el “grilletto facile” nei quartieri popolari. Non vogliamo più repressione nelle baraccopoli, né incursioni illegali, pestaggi e arresti come quelli di Iván e Ezequiel, compagni di La Poderosa.
Abrogazione della legge anti-terrorismo, dei protocolli e di tutte le leggi repressive.
Smantellamento delle reti della tratta e delle forze repressive dello Stato e dei loro complici. Effettiva condanna degli sfruttatori. Creazione di politiche pubbliche che affianchino la legge sulla tratta e tutti gli strumenti mirati all’accompagnamento legale e alla protezione completa delle vittime e delle loro famiglie
Denunciamo la chiusura dei rifugi per le vittime. Basta repressione, persecuzione, abuso ed estorsione da parte della polizia alle lavoratrici sessuali e alle persone in situazioni di prostituzione. Chiediamo l’abrogazione degli articoli che consentono di mantenere in stato di fermo senza ordine giudiziario qualsiasi persona e che criminalizzano l’esercizio della prostituzione in 18 province. Soprattutto l’articolo 68 del codice di contravvenzione della Provincia di Buenos Aires.
Denunciamo l’invasione dello stato genocida nei territori indigeni, basta criminalizzarci e rimetterci a giudizio per il recupero del territorio ancestrale, basta con la violenza istituzionale contro le/i combattenti indigeni, basta con il razzismo e la xenofobia. Rifiutiamo il modello estrattivo che porta solo benefici a multinazionali e a governi complici del furto. Basta femminicidi e femminicidi territoriali. Ci vogliamo plurinazionali!
#Non una di meno. Basta con i femminicidi e i transvesticidi: l’odio verso le donne, lesbica, travestita, bisessuale e trans è assassinio. Il machismo è fascismo. Siamo in questa piazza per pronunciarci contro tutte le forme di violenza sessista. Una donna viene uccisa ogni 30 ore e il governo di Macri e Fabiana Túñez congelano il bilancio dell’Istituto Nazionale per le Donne e assegnano solo $ 8 per la cura di ogni donna. Chiediamo un bilancio per l’applicazione della legge 26.485 per sradicare la violenza contro le donne. Rifugi sicuri per le vittime di violenza con un’adeguata attenzione psicologica e legale. Lavoro autentico e alloggio per le vittime della violenza e dei loro figli. Chiediamo la riapertura e il finanziamento degli spazi di attenzione a chi subisce violenza di genere nei comuni, nelle università e in ogni spazio comune in cui la legge 26.485 prevede che le vittime siano assistite. C’è una legge, vogliamo che si rispetti!
Denunciamo il potere giudiziario della Repubblica Argentina come l’esecutore legale del patriarcato. Il sistema giudiziario è machista, misogino, razzista, lesboodiante, transodiante e ci rende invisibile, ci discrimina. Chiediamo allo stato di attivare immediatamente le procedure di rimozione e licenziamento di tutti i giudici, pubblici ministeri e funzionari giudiziari che praticano la violenza istituzionale di genere e che per tanto infrangono sistematicamente la legge 26.485 quasi 10 anni dopo la loro sanzione.
Di fronte alla violenza, l’indurimento delle sanzioni giudiziarie non scoraggia i crimini contro la vita.
È solo demagogia punitiva di fronte allo sdegno sociale.
Nessuno si permetta di invocarla nel nostro nome.
Invocare una carcerazione più lunga non serve a risolvere il problema di fondo. Chiediamo politiche di prevenzione contro la violenza sessista, educazione con una prospettiva di genere, formazione a chi imparte giustizia ed efficace risposta dello Stato di fronte alle denunce. Siamo solidali con le compagne prigioniere perché intendiamo che il sistema le opprime doppiamente: stigmatizzate per essere detenute e per essere donne. Diciamo no alle torture psicologiche in carcere.
Basta con la repressione, la persecuzione, l’abuso e l’estorsione da parte della polizia alle persone in situazione di prostituzione. Lottiamo per lo smantellamento delle reti della tratta, la ricomparsa delle ragazze sequestrate. Prigione per i protettori, i poliziotti e i politici coinvolti. Risarcimento dei danni fisici, psicologici ed economici causati alle vittime e alle loro famiglie.
Siamo venuti per gridare che l’eterosessualità obbligatoria è violenza! Basta con i crimini di homo-lesbo-bi-trans. Chiediamo l’implementazione della legge sull’identità di genere: accesso reale al diritto alla salute integrale, alle procedure di rettifica del registro, al rispetto per la propria identità. Chiediamo quota di lavoro per i transessuali come legge nazionale e una protezione speciale per la loro infanzia e vecchiaia. Risarcimento storico e riconoscimento di genocidio per i travestiti e i trans, lo Stato è responsabile. Per l’integrità, il rispetto e l’autonomia dei corpi grassi e intersex stigmatizzati e patologizzati.
Chiediamo che le donne con disabilità siano prese in considerazione nelle politiche pubbliche.
Denunciamo la precarizzazione subita dalle lesbiche più anziane che raggiungono l’età adulta senza alloggio e senza famiglia.
Basta con la violenza ginecologica.
Siamo in questa piazza per dichiarare che ci vogliamo vive, che abbiamo il diritto al piacere, a vivere la notte con libertà e senza paura, a godere delle nostre sessualità senza repressioni, senza mandato, senza molestie, senza gerarchie. Abbiamo il diritto alla festa e all’amore, abbiamo diritto al tempo libero e di dire sì ogni volta che vogliamo dire di sì, proprio come quando diciamo no, quando ci ribelliamo a ciò che ci viene imposto!
Siamo venute in questa piazza perché siamo stufe e siamo organizzate! E ora che siamo tutte insieme chiediamo giustizia per il travesticidio di Diana Sacayán e di tutte le compagne assassinate per crimini d’odio! Siamo qui per gridare che non c’è Ni Una Menos senza esigere l’assoluzione per Higui, per Mariana Gómez, per Yanina Faríaz, accusata dalla giustizia misogina che la stigmatizza come una cattiva madre e per Joe Lemonge, un ragazzino trans detenuto per essersi difeso dal trans-odio patriarcale. Non c’è Ni Una Menos senza la richiesta di giustizia per Marielle Franco, crivellata dalle forze di sicurezza in Brasile sotto il governo di Temer né senza richiedere fortemente la Libertà per l’adolescente palestinese Ahed Tamimi.
Non permetteremo che questo regime sociale capitalista bianco, misogino, eteronormativo, razzista e sessista ci rubi il nostro diritto di abitare il mondo essendo quello che vogliamo essere.
Contro ogni forma di sfruttamento e oppressione, chiamiamo le nostre sorelle di tutto il mondo a continuare a lottare per le nostre vite. Il nostro movimento continuerà a difendere il suo carattere anticapitalista, antipatriarcale e indipendente dallo Stato e dai governi. Siamo state le prime che abbiamo fatto uno sciopero nazionale a questo governo neoliberalista e ora diciamo NO al patto di Macri con il Fondo Monetario Internazionale e esigiamo che Sindacali indicano uno sciopero nazionale e formulino un piano di lotta.
Conquisteremo il nostro diritto all’aborto legale sicuro e gratuito. Chiediamo la separazione tra Chiesa e Stato.
Che questo 13 giugno, ci trovi tutte davanti al Parlamento e che si dipinga di verde tutta l’America Latina.
Senza #AbortoLegal non c’è #NiUnaMenos.