Francia: dopo la manifestazione del 26 maggio, quale sindacalismo?
Di Christian Mahieux, militante SUD-Rail, dell’Union Syndicale Solidaires, pubblicato sul sito A L’encontre il 26 maggio 2018
Traduzione a cura di Sial Cobas
Abbiamo già avuto modo di spiegare lo sciopero dei ferrovieri in Francia: il suo essere orientato alla durata, ma anche le sue difficoltà legate alla scelta delle federazioni sindacali CGT, UNSA, SUD-Rail e CFDT di costruire un movimento che non si fonda veramente sulle assemblee generali dei lavoratori in sciopero. Dopo di che, questa lotta sta proseguendo. Le federazioni sindacali mantengono la loro tattica dello sciopero alternato su date preannunciate tre mesi prima; hanno inoltre organizzato un referendum interno alla SNCF che, senza stupirci troppo, ha confermato che il 95% dei votanti (con il 61% di partecipazione) rifiutano il “patto ferroviario” del governo. Una conferma netta, ma a che serve? Decine di migliaia di ferrovieri avevano già espresso il loro parere fin dall’inizio di aprile partecipando allo sciopero!
Il governo tenta di mettere fine al conflitto sociale annunciando “un’assunzione parziale del debito di SNCF da parte dello Stato”.
Ma questo “debito” non è della SNCF, ancor meno dei lavoratori. Il debito corrisponde per gran parte al finanziamento delle infrastrutture pubbliche necessarie al sistema ferroviario! In questo ambito sono state sicuramente fatte delle scelte di investimento criticabili, ma la responsabilità non è certo nostra!
In ogni caso, questo annuncio del governo non risponde alle rivendicazioni principali dei lavoratori in sciopero. La mobilitazione quindi prosegue, con i suoi grandi limiti enunciati sopra.
Parallelamente, il 22 maggio, tutte le federazioni sindacali del pubblico impiego hanno indetto sciopero e manifestazioni. La giornata è riuscita, con una partecipazione allo sciopero e ai cortei buona, ma non enorme.
L’assenza di prospettiva di questo sciopero di 24 ore ha limitato la partecipazione. La scelta delle federazioni dei ferrovieri di CGT, UNSA e CFDT di non cambiare il calendario prestabilito degli scioperi per essere in piazza a fianco dei lavoratori del pubblico impiego ha pesato.
Anche in questa giornata di manifestazioni la repressione dello Stato è stata forte: arresti e condanne arbitrarie, anche di giovani liceali “colpevoli” di aver occupato i loro istituti!
Altrove, a Notre-Dame-des-Landes, proseguono le espulsioni degli occupanti della ZAD (Zona da difendere), uno di loro ha perso la mano per una granata della polizia…Su questo punto, va ricordato che molte associazioni e collettivi continuano a denunciare le violenze della polizia, soprattutto nelle periferie, dove non mancano gli episodi di razzismo tra le forze dell’ordine.
Sabato 26 maggio, una sessantina di organizzazioni (associazioni, sindacati, movimenti e partiti politici) hanno indetto una giornata di manifestazione in tutto il paese. Anche in questo caso, anche se non c’è da disperarsi per il numero dei partecipanti, tuttavia è sotto gli occhi di tutti che non c’è stata quella “marea” che a detta di alcuni avrebbe sommerso il paese.
Queste manifestazioni sono utili, perché sono dei momenti di espressione del malcontento e di costruzione di convergenze. Ma non si possono sostituire all’azione diretta dei lavoratori dentro le aziende e i servizi e in particolar modo allo strumento di lotta per eccellenza che è lo sciopero. Non si tratta assolutamente di rigettare una forma di azione, ma c’è una questione di priorità nelle scelte di lotta: come si fa a costruire, difendere, rafforzare oggi? Facendo appelli a manifestare senza il sostegno dello sciopero o creando strumenti per l’organizzazione delle classi popolari e per la loro azione diretta?
Queste “maree” hanno confermato i disaccordi fondamentali sulla concezione dei movimenti sociali e del rapporto da tenere con la politica ufficiale. Certe forze, anche se con un discorso rinnovato, non hanno rotto con un modello di sindacalismo e di associazionismo che fa da cinghia di trasmissione di un partito politico; quest’ultimo, quand’anche si presenti nella forma di un Fronte di un raggruppamento ancora più ampio, viene considerato come l’unico preposto a “fare politica”. Al contrario, noi riaffermiamo che l’autonomia del movimento sociale è una necessità vitale. E non si deve pensare che il movimento sociale debba essere esonerato dal portare avanti un progetto di società alternativa, di superamento del capitalismo, come del razzismo e del patriarcato.
In un testo recente, Théo Roumier ci ricorda : «Di questi tempi si parla molto di 68. Bisognerebbe interessarsi nello stesso modo anche agli anni che l’hanno seguito e al peso che ha avuto il “Programma comune di governo” della sinistra. Piuttosto che credere in se stesse, le lotte sociali degli anni 70, quelle delle fabbriche come tutte le altre, si sono progressivamente arenate»
Il sindacalismo è politica. Riunisce chi decide di organizzarsi collettivamente sul solo presupposto di appartenere alla stessa classe sociale. Si agisce così insieme per difendere le proprie rivendicazioni immediate e per lavorare ad una trasformazione radicale della società. Un grande numero di associazioni giocano un ruolo considerevole nel movimento sociale. Quasi tutte sono nate perché il sindacalismo ha abbandonato dei campi di battaglia o li ha ignorati e, di fatto, fanno del “sindacalismo” come definito poco sopra: associazioni di disoccupati/te, per il diritto alla casa, di difesa dei migranti senza documenti, coordinamenti di lavoratori precari…Altre forme di associazionismo intervengono su delle “questioni” che sono pienamente nel campo sindacale: il femminismo, l’antirazzismo, l’ecologismo, l’antifascismo, l’antissessismo etc. Si pone anche la questione del legame con i lavoratori agricoli. Ci sono anche i movimenti anticoloniali, che rivendicano il diritto dei popoli a decidere di se stessi, antimilitaristi, pacifisti etc…Tutto questo riguarda gli interessi e l’avvenire della nostra classe sociale ed è da questo punto di vista che vanno affrontati.
Se noi mettiamo avanti i movimenti sociali, è perchè sono loro che organizzano le lotte, l’azione diretta dei lavoratori e delle lavoratrici. In mezzo a questi movimenti, il sindacalismo rappresenta una specificità essenziale: come detto precedentemente, ha la facoltà di riunire sulla sola base dell’appartenenza alla stessa classe sociale. Questo è fondamentale. Un sindacalismo di lotta ovviamente, ma anche un sindacalismo che osa delle rotture con l’esistente per poter avanzare.
La questione dell’unità, dell’unificazione, è importante. Si tratta anche di ridefinire i contorni dell’organizzazione sindacale. La nozione di “centrale sindacale e popolare” non è senza attrattiva…