Agenzia europea del farmaco, peccato averla persa. Ma cosa volevamo farci?
di Vittorio Agnoletto, da Il Fatto Quotidiano del 20 novembre 2017
L’Agenzia Europea del Farmaco andrà ad Amsterdam, l’ha deciso un sorteggio, resta l’amaro in bocca a tutto il sistema Italia che ha sostenuto la candidatura di Milano.
Da milanese oltre che da italiano non c’era motivo da parte mia per non sostenere la candidatura della mia città, certamente la presenza dell’Ema avrebbe potuto portare a Milano non solo un surplus di immagine, ma anche dei posti di lavoro nell’indotto dell’industria del farmaco.
Ma il mio sostegno è stato in queste settimane tiepido, privo di entusiasmo; il dibattito sulla collocazione geografica dell’Ema, così come si è svolto, è apparso monco e specchio di una logica che al centro poneva ancora una volta l’interesse del mondo industriale che ruota attorno alla fabbrica dei medicinali.
Si è infatti discusso del contenitore ma non del contenuto; oltre che a litigare sul nome della città che avrebbe dovuto ospitare la nuova sede sarebbe stato bene che i governi avessero discusso anche sul ruolo e sul modo di lavorare di tale Agenzia che, per la funzione che svolge, ha un ruolo fondamentale per la salute dei 500 milioni di cittadini europei, se non altro perché decide quali farmaci possono entrare in commercio e per quali patologie.
Ad esempio, come è stato denunciato recentemente da un pool di scienziati di tutta Europa, l’Ema non conduce delle ricerche indipendenti per valutare l’efficacia di un farmaco, né per analizzare gli effetti collaterali di un medicinale o di un vaccino segnalati dalle agenzie nazionali preposte al rilevamento di tali effetti (nei Paesi dove tali agenzie ci sono); i giudizi dell’Ema si fondano solo sulle ricerche presentate dalle aziende farmaceutiche produttrici del farmaco o del vaccino in discussione. Non vi è alcuna possibilità che l’Agenzia europea possa svolgere una ricerca indipendente e confrontarne i risultati con quelli presentati da Big Pharma, per il semplice motivo che gli Stati europei non l’hanno dotata dei fondi necessari.
Sarebbe opportuno anche conoscere quali sono le garanzie sull’assenza di un conflitto d’interesse tra chi lavora per le agenzie internazionali nel campo della salute, come l’Ema, e chi lavora per le multinazionali del farmaco.
La vicenda della falsa influenza epidemica H1N1 è ancora troppo recente; nel 2009 gli Stati spesero centinaia di milioni per acquistare farmaci contro un’epidemia inesistente, salvo poi scoprire che nelle commissioni dell’Oms che avevano lanciato l’allarme siedevano i rappresentanti delle aziende farmaceutiche coinvolte.
La vicinanza geografica a Milano tra la collocazione dell’Ema e il futuro progetto Human Technopole, affidato ai colossi di Big Pharma e alle grandi aziende multinazionali con interesse nei brevetti sul genoma, sarebbe stato elemento di grande preoccupazione e non certo motivo di entusiasmo, come lo era invece per Diana Bracco, rappresentante degli industriali nel comitato per portare Ema a Milano.
Non dimentichiamo che la prima mossa verso il nuovo insediamento è stato l’accordo – scoperto da il Fatto Quotidiano – con il quale il nostro governo ha garantito all’Ibm di fornirgli tutti i dati sanitari prima della popolazione lombarda e poi di tutta la popolazione italiana. Grandi banche dati nelle mani dell’Ibm che, insieme con i colossi dei farmaci e delle sementi, potranno sviluppare ricerche sul genoma e temo che non siano lontani i tempi nei quali parti dell’essere umano verranno privatizzate come lo sono stati semi e piante che da secoli erano presenti nella natura.
Questi enormi progetti oltretutto si sviluppano fuori da qualunque controllo democratico; parlano di un futuro fondato su una medicina personalizzata ma personalizzata per chi? Futuro per chi? Quando la maggioranza della popolazione umana non può accedere alle terapie già disponibili oggi.
In campo farmaceutico oggi abbiamo necessità di una ricerca anche sovranazionale ma pubblica, indipendente, orientata verso le urgenze della salute pubblica; di regole aggiornate sulla sperimentazione clinica e sui criteri per l’approvazione dei nuovi farmaci; di Stati e di agenzie internazionali che abbiano il coraggio di denunciare le tremende conseguenze degli accordi sui brevetti, i TRIPs (Trade Related Aspects of Intellectual Property Rights) che garantiscono il monopolio ventennale della produzione di un farmaco all’azienda che per prima l’ha prodotto, permettendo quindi di arrivare alla follia di antitumorali che costano oltre 100.000 euro a ciclo.
Di tutto questo, durante il dibattito sulla nuova sede dell’Ema, nessuno ha discusso eppure questi sono i temi dai quali dipende la possibilità o meno di curarsi per i cittadini europei. E sono gli argomenti sui quali la società civile organizzata che si occupa di salute insiste da anni scontrandosi con l’indifferenza dei governi, compreso quello italiano.