Non Una di Meno: prima assemblea a Milano in preparazione dell’8 marzo 2017

assemblea-ri-makeSi è svolta a Milano, promossa da Ri-make, la prima assemblea post 26 novembre, la grande manifestazione nazionale contro la violenza maschile sulle donne. La serata è stata l’occasione per riunire le tante anime del femminismo vecchio e nuovo Milanese, per confrontarsi sulla manifestazione e i suoi contenuti, per riportare alle compagne quanto emerso dai  tavoli di discussione del 27 novembre.

L’idea è quella di costruire un movimento di massa contro la violenza sulle donne e il femminicidio, di cui abbiamo avuto nuovi tragici episodi in queste ultime due ultime settimane. Ma anche quella di estendere la riflessione collettiva e l’elaborazione di nuove rivendicazioni anche nell’ambito della salute riproduttiva della donna, delle discriminazioni sul lavoro e sulla difesa dei centri anti-violenza.

a cura di Silvia Tagliabue

Uno sciopero delle donne l’8 marzo, nonostante i limiti di questo strumento 

Come è già stato annunciato, si è deciso di fare dell’8 marzo 2017 una giornata di sciopero delle donne (e dei solidali). Chiaramente è un percorso da preparare e su cui pesano alcune difficoltà: i tempi sono stretti; ci vogliono dei sindacati che indicano lo sciopero; le donne più marginalizzate (spesso quelle che vivono situazioni di dipendenza dall’uomo) potrebbero non essere inserite nel mondo del lavoro; molte giovani e molte migranti vivono situazioni lavorative ed esistenziali di precarietà che possono rendere difficile la pratica dello sciopero. In altre parole, si è sottolineata l’idea che lo sciopero oggi possa essere uno strumento per situazioni “privilegiate”. Tuttavia, in molte hanno sottolineato l’importanza simbolica di questo strumento di lotta, e l’importanza che chi può lo utilizzi, per dire quello che le donne argentine hanno gridato per le strade contro il femminicidio il mese scorso: “se la mia vita vale così poco, fate a meno di me”.

Uno sciopero dal lavoro, dunque, che può estendersi alle altre sfere della ricchissima vita delle donne. E allora, sciopero del sesso, del lavoro di cura e del lavoro domestico non retribuito. Ma anche sciopero da quelle tante prestazioni gratuite che sono richieste alle donne in quanto donne, basti pensare alle commesse, che devono essere sorridenti, ben vestite, magari devono indossare tacchi pur stando in piedi tutto il giorno etc…, tutti “di più” che si sommano per le donne alla mansione lavorativa standard.

Una notte bianca contro la violenza di genere

Per offrire una possibilità di mobilitazione collettiva anche alle donne che non possono partecipare allo sciopero è stata avanzata l’idea di una notte bianca tra il 7 e l’8 marzo, con tante iniziative sparse per la città, nelle diverse realtà associative e nelle perferie e, ovviamente con uno o tanti cortei notturni che attraversano la città.

Un lavoro collettivo sulla salute riproduttiva della donna e sulla difesa (e rafforzamento) della 194

Il collettivo Ambrosia ha proposto di lavorare insieme sul tema della salute riproduttiva delle donne, a cominciare alla denuncia della chiusura di 5 punti nascita in Lombardia nei prossimi mesi. A tale proposito è stata espressa solidarietà e si è proposto di dare appoggio all’occupazione del punto nascita dell’Ospedale di Angera, nel varesotto, da parte di un gruppo di donne.

Le compagne del neo-nato collettivo Mea Vulva hanno sottolineato la necessita di difendere la 194 portando avanti una campagna e delle azioni contro il dilagare dell’obiezione di coscienza negli ospedali, ma promuovere una proposta migliorativa della legge, su alcuni punti che all’epoca della sua promulgazione non erano contemplati, tipo l’accesso più agevolato alle pillole abortive.

Una piattaforma rivendicativa per lo sciopero

Verrà fatta pressione sui sindacati (confederali e di base) da parte delle compagne che militano nelle organizzazioni perché proclamino lo sciopero l’8 marzo. In generale, l’idea è quella di presentare una piattaforma di rivendicazioni alla cui stesura ci si impegnerà con ulteriori incontri da qui all’8 marzo, anche con assemblee nei luoghi di lavoro in cui le donne lavoratrici possano avere l’occasione di discutere delle condizioni di discriminazione e dei diritti ancora di conquistare. A questa piattaforma verranno aggiunte le rivendicazioni elaborate negli altri tavoli (sulla falsariga di quelli del 27 novembre).

Il Piano Anti-Violenza del governo VERSUS centri anti-violenza delle donne

L’accalorato intervento di Lea Melandri ha puntato il dito sul Piano Antiviolenza varato dal governo lo scorso giugno e su come snaturi il senso stesso dei centri anti-violenza, nati negli anni settanta dalle donne per le donne, come spazio di ascolto e di aiuto al di fuori del controllo normativo e normalizzante delle istituzioni. Il Piano Antiviolenza vuole invece metter mano e bocca sulla gestione di questi centri, li vuole istituzionalizzare, sottraendo loro la portata di autodeterminazione e autorganizzazione dal basso che era il loro punto di forza. In generale Lea ha voluto ribadire come la battaglia sul piano legislativo (per cambiare le leggi o introdurne di nuove) debba sempre andare di pari passo con quella per l’allargamento dell’autonomia e dell’autogestione di spazi ed iniziative delle donne al di fuori del controllo delle istituzioni.

Lavorare nelle scuole, nei quartieri e con le migranti

Sono state avanzate proposte di lavoro nelle scuole e nelle università, attraverso assemblee organizzate da studenti per conoscere il percorso iniziato da NON UNA DI MENO.
Ugualmente, è stata sottolineata la necessità di elaborare proposte di lavoro nei quartieri popolari e di intercettare le realtà associative femminili e femministe di donne migranti.

Prossimi appuntamenti

Ci si vede il 10 gennaio alla Casa delle Donne di Milano, via Marsala 8.

Sarà l’occasione per:

– portare tutte le proposte di iniziative, attività e azioni sia dei singoli collettivi, sia comuni per costruire un calendario di avvicinamento;

– elaborare proposte su come strutturare la giornata dell’8/03, condividendo idee su come riuscire a scioperare anche in quelle situazioni che lo rendono più complesso.

– stabilire un tema comune su cui attivarsi e rimanere attive e in connessione anche oltre l’8/03

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Pagina facebook: NON UNA DI MENO – MILANO

mailing list: nonunadimenomilano+noreply@googlegroups.com

per tenerci in contatto anche in caso di appelli all’azione immediata rispetto a casi di violenza o discriminazione sul lavoro in cui ci si può attivare come rete di solidarietà.

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Qui il testo dell’introduzione alla serata:

“Non una di meno ha portato in piazza 200.000 persone il che è un dato davvero sensazionale.
Volendo fare una analisi di questo fatto, diremmo che l’eccezionalità di questa manifestazione è insita nel fatto che quel corteo fosse assolutamente autorganizzato; non c’erano aree di movimento che più d’altre tessevano l’organizzazione della manifestazione così come non c’erano specifici sindacati ad occuparsene.
Non una di meno è stata una esperienza corale che ha saputo dare spazio alle varie sensibilità, rispettando la testa di un gruppo non misto ma al contempo legittimando la presenza di soggettività LGBTIQ nello spezzone transfemminista queer e la presenza di uomini biologici che supportano e sostengono la lotta femminista.
Sensazionale è stato il clima che si è respirato a quel corteo. Le pratiche messe in atto hanno permesso a tutte e a tutti di poter attraversare il corteo generando una safe zone. Anche questo è un dato importante. Nel momento in cui le politiche femministe sono protagoniste ecco che si creano spazi virtuosi di interazione, di attraversamento e di inclusione.
Quel corteo è stato la dimostrazione su vasta scala del tanto recitato motto “ le strade libere le fanno le donne che le attraversano”.
All’interno di quella marea è stata inoltre senz’altro interessante la presenza di giovanissime e giovanissimi il che crediamo sia un segnale non solo della necessità di agire un cambiamento attraverso forme politiche collettive – come evidenziano i neonati collettivi milanesi e dell’hinterland – ma anche un segnale forte di una profonda insoddisfazione . La presenza dei giovani e delle giovani al corteo ci mostra come esista un fermento non solo nazionale ma internazionale viste le vicende che ci hanno senza dubbio ispirato e che hanno coinvolto la Polonia, l’ Irlanda, l’Argentina e la Corea.
La massiccia presenza giovanile è stata però sintomo, non solo della necessità di trovare soluzioni alle oppressioni di genere ma anche il sintomo di un, dicevamo, malcontento rispetto a questo mondo in cui vigono dinamiche machiste, patrernaliste ed eteronormate nel campo del lavoro, dell’educazione, della sanità, della cultura.
Il JobsAct e la sua precarietà imposta, le proposte stereotipate e discontinue sul piano educativo della BuonaScuola, le politiche di austerity legate al welfare, al sistema sanitario, ai percorsi di fuoriuscita dalla violenza, non fanno altro che acuire situazioni già di oppressione.
E questi sono solo alcuni dei motivi di questo disagio; di un disagio avvertito dai giovani e dalle giovani in primis.
Il corteo del 26 novembre da voce a questo malcontento ma in senso propositivo; il 26 novembre si è manifestata innanzi tutto una voglia di riscatto e di ricostruire una alternativa che parta dal basso, che parta da rivendicazioni sociali, dalla rivendicazione di alcuni diritti – cosa che un apparato istituzionale non riesce a né a portare avanti né a compiere.
Il 26 novembre il corteo è stato contro la violenza di genere, del maschile sulle donne ma ha mostrato una sfiducia delle giovani generazioni nel sistema capitalista eteropatriarcale.
Il prossimo scopo è di riuscire a portare più persone possibili in piazza, di nuovo, e di influenzare il mondo del lavoro – arrestando la produzione operata dalle donne per un giorno. Non è per mostrare solo quanto le donne siano indispensabili ma per mostrare quanto l’intero sistema non funzioni.
Influenzando e contaminando i luoghi di lavoro facendo emergere le contraddizioni di genere e classe all’interno di questi lo scopo è di riprendere il tema della violenza di genere a 360 gradi – agendo anche al di fuori della sfera di produzione, come movimento sociale.
La proposta è quindi di un percorso milanese di realtà che – ognuna con le sue capacità e col suo portato – costruisca INSIEME la data dell’otto marzo a Milano, data che vorrebbe vedere la realizzazione di uno sciopero delle donne dai luoghi del lavoro, del sapere, della cura domestica.”