Vivalascuola. Un NO per difendere la Costituzione

costituzionedal blog La poesia e lo spirito, del 6 novembre 2016

La maggioranza di Governo si esprime insistentemente come se fosse un reato avere una opinione diversa, ad esempio dire NO alla “riforma costituzionale”. Questo è scandaloso, ed è ancor più scandaloso che susciti poco scandalo. Pensiamo ai “padri costituenti”. Forse Togliatti, Parri e Pertini la pensavano allo stesso modo di De Gasperi, Einaudi e La Malfa? Oppure di Calamandrei, Saragat e Dossetti? Eppure sono stati in grado di lavorare per dare alla Nazione una Costituzione che è stato luogo comune definire “la più bella del mondo”. La mancanza di ampie vedute e di capacità di mediazione va tutta a disonore dei “nuovi costituenti” ed è indice di grave incapacità politica. Come persone di scuola, questo ci preoccupa molto, e la “riforma costituzionale” ci allarma al pari della “Buona Scuola”, di cui quest’anno i disastri sono sotto gli occhi di tutti, perché l’una e l’altra prefigurano un paese privato degli spazi di democrazia e di partecipazione che già soffriamo nella nostra quotidianità. Questa puntata di vivalascuola presenta dichiarazioni per il NO di docenti universitari e una riflessione di Giovanna Lo Presti. I docenti universitari che vogliano aderire possono scriverci 10 righe a vivalascuola.appello@gmail.com.
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Dichiarazioni di docenti universitari:
Paolo Acquistapace, Alessandra Algostino, Leonardo Altieri, Massimo Andretta, Pier Giorgio Ardeni, Michela Becchis, Piero Bevilacqua, Paolo Biavati, Lanfranco Binni, Silvia Bodoardo, Pellegrino Bonaretti, Rossella Bonito Oliva, Nadia Cannata, Umberto Capra, Gian Mario Cazzaniga, Valerio Cordiner, Rita Cosma, Antonio D’Andrea, Daniela Danna, Gualtiero De Santi, Alberto Di Cintio, Roberto Escobar, Paolo Ferloni, Cristiana Fiamingo, Guglielmo Forges Davanzati, Franco Frabboni, Silvio Gambino, Rino Genovese, Alberto Girlando, Ferdinando Imposinato, Giorgio Inglese, Teresa Isenburg, Massimo Jasonni, Stefano Levi Della Torre, Gennaro Lopez, Emilio Matricciani, Lodovico Meneghetti, Tomaso Montanari, Anna Painelli, Giuseppe Panella, Andrea Penoni, Ludovico Pernazza, Pier Paolo Poggio, Alessandro Prato, Marcello Rossi, Maria Letizia Ruello, Federico Sanguineti, Silio Scalfati, Giancarlo Scarpari, Mauro Stampacchia, Giorgio Tassinari, Tiziana Terranova, Giovanni Tesio, Vittorio Tomelleri, Angelo Tonnellato, Alberto Vannucci, Maurizio Vernassa.

 

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Si vota una riforma di cui devono ancora definire aspetti essenziali
Paolo Acquistapace

Secondo me la modifica costituzionale è un pasticcio. Non si sa come sarà costituito il Senato, ma certo in modo non elettivo: si parla di metterci dentro sindaci e consiglieri regionali, cioè gente eletta per fare altre cose, non per fare il senatore. E comunque, non si vota sì a una riforma di cui devono ancora definire aspetti essenziali. Poi, è confusa la distinzione delle materie fra leggi che esamina la Camera e leggi che esamina il Senato: ciò sarebbe fonte di infiniti contenziosi fra le due Camere. Inoltre ci saranno un centinaio di senatori e 630 deputati: troppa sproporzione. E se, come dicono, volevano ridurre il numero dei parlamentari, perché non hanno diviso per tre anche il numero dei deputati?

(Professore associato di Elementi di analisi matematica, Università degli Studi, Pisa)

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Asseconda le richieste della governance finanzcapitalista
Alessandra Algostino

Molte sono le ragioni per un “no” alla riforma costituzionale. Il “no” che sento di più muove da un rifiuto della revisione come disegno organico che, nel nome della governabilità, travolge gli argini costituzionali che presidiano la concentrazione del potere: in maniera surrettizia si verticalizza il potere nell’esecutivo attraverso il depotenziamento dei possibili contrappesi (quali Senato, Regioni, organi di garanzia, istituti di democrazia diretta).

La riforma suggella a livello costituzionale il processo di degenerazione della democrazia, politica e sociale, che si può datare dagli anni Ottanta; completa, sul piano istituzionale, la concretezza di condizioni di lavoro sempre più servili e di servizi sociali sempre più assenti, accompagnando l’esclusione politica all’esclusione sociale, la verticalizzazione nel mondo del lavoro (e della scuola) con la verticalizzazione nella sfera politica, assecondando le richieste della governance finanzcapitalista (Gallino) di risolvere il “problema” degli «esecutivi deboli» (J.P. Morgan).

Lo scontro è fra due visioni del mondo: da un lato, un modello fondato sulla competitività escludente della razionalità neoliberista, che richiede un decisionismo funzionale in ultima istanza al perseguimento del massimo profitto (per pochi, ça va sans dire); dall’altro, un progetto di emancipazione sociale, con una struttura fondata sulla partecipazione e la limitazione del potere.

(Professore associato di Diritto pubblico comparato, Università degli Studi di Torino)

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Questo Parlamento non ha il prestigio morale per cambiare la Costituzione
Leonardo Altieri

NO, perché la Costituzione è un insieme di principi e di regole che devono essere condivise da tutti i democratici, di tutti gli orientamenti, come ci hanno insegnato i Padri Costituenti. Invece questa divide i cittadini, gli elettori e i partiti, spacca persino il partito del premier.
NO, perché questo Parlamento eletto con il “Porcellum”, dichiarato anticostituzionale, non ha il prestigio morale per cambiare la Costituzione.
NO, perché la pretesa riduzione dei costi è un inganno, il Senato sopravvive e sarà composto da nominati, ovviamente su indicazione del premier.
NO, perché si darà un eccessivo potere al premier, senza contrappesi, si produrrà una centralizzazione delle decisioni riducendo il ruolo delle Regioni.
NO, perché sarà la conferma della tendenza a togliere sovranità agli elettori ridotti a tifosi ogni 5 anni, per delegarla a un capo.

(Professore associato confermato di Sociologia generale, Dipartimento di Sociologia e Diritto dell’Economia, Università di Bologna)

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NO a una riforma pasticciata
Massimo Andretta

Voto NO ad una riforma costituzionale pasticciata, scritta male e di difficilissima attuazione pratica. Voto NO alla moda dilagante di “rottamare” il passato a prescindere dei valori che vi si possano ritrovare. Sono favorevole al fatto che la nostra Costituzione, dopo 70 anni, debba essere aggiornata, ma certo non con le modalità di questa riforma proposta, votata da una maggioranza in Parlamento formatasi con una legge elettorale incostituzionale, scritta da un Governo NON eletto direttamente dagli Italiani. Governo, che non perde occasione di travisare la verità sulle conseguenze e l’impatto che tale riforma potrebbe avere sulla governabilità della nostra Repubblica.

(Professore a contratto, Scuola di Ingegneria e Architettura, Università di Bologna)

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Una costituzione richiede il massimo consenso, non la spaccatura del paese
Pier Giorgio Ardeni

Un governo, espressione di un parlamento dichiarato eletto con legge incostituzionale, formatosi dopo manovre extra-parlamentari, ha proposto modifiche costituzionali, discutibili e opinabili, ma pur legittime nella sostanza, facendole approvare con voto di fiducia. Saggezza avrebbe voluto che il meno legittimo dei parlamenti della Repubblica non si esprimesse sulle modifiche della Costituzione e che, in ogni caso, avrebbero dovuto risultare dalla massima convergenza delle forze politiche. Invece, provvedimenti approvati a maggioranza con voto di fiducia vengono ora sottoposti a referendum popolare con manovra divisiva. Una costituzione richiede il massimo consenso, non la spaccatura del paese. Chi semina vento… Cosa sarà di una riforma approvata con il 51%? Una Costituzionecondivisa da chi? Votiamo NO, cancelliamo il diktat. Che si approvi una legge elettorale decente, si elegga un parlamento legittimo, democratico e popolare e si ridiscuta, eventualmente, di riformare la Costituzione. Forse che il paese non ha avuto governi che governavano e parlamenti che approvavano leggi per 60 anni con il sistema attuale? Non era stato l’Italicumapprovato con il parlamento attuale? Da che nasce questa urgenza di riformare la Costituzione in questo modo, con una riformetta pasticciata e non consensuale?

(Professore di Economia Politica e dello Sviluppo, Dipartimento di Scienze Economiche, Università di Bologna)

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Non credo alla retorica del cambiamento
Michela Becchis

Voto NO perché una riforma della Costituzione deve essere scritta da un legittimo Parlamento e questa “deforma” è stata scritta da un Parlamento delegittimato insieme a poteri finanziari che non tollerano una Costituzionedemocratica che prevedeva al suo interno il conflitto per la salvaguardia dei diritti. Voto NO perché non credo alla retorica melmosa del cambiamento: questa “deforma” porta a compimento un intollerabile attacco ai principi della Costituzione cominciato già alcuni decenni fa. Voto NO perché questa “deforma” si associa ad attacchi alla Costituzione che questo governo le infligge sistematicamente a partire dalla legge 107 e dalla riforma del MIBACT, leggi che hanno sfregiato l’art. 9 della Carta.

(Docente a contratto di Storia dell’arte medievale, Università degli Studi di Tor Vergata, Roma)

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Toglierebbe una consistente fetta di libertà agli italiani
Piero Bevilacqua

Al prossimo referendum confermativo della riforma costituzionale occorre votare no, sia per le modalità con cui la riforma è stata realizzata, sia per i suoi contenuti. Occorre ricordare, in via assolutamente preliminare, che la riforma è stata votata da un parlamento eletto con una legge elettorale che la Corte costituzionale ha dichiarato incostituzionale. Un Parlamento delegittimato, tenuto in vita dalla Corte per mera opportunità politica, non aveva quanto meno l’autorevolezza per avviare una riforma della nostra Carta. Nel corso dell’iter parlamentare il presidente del Consiglio, che doveva lasciare al Parlamento la sua sovranità deliberativa, ha agito con continue forzature – come quando ha sostituito i parlamentari dissidenti del suo partito in Commissione costituzionale – facendo del processo della riforma un’azione incalzante dell’esecutivo. Negli ultimi mesi il presidente del Consiglio e segretario del partito di maggioranza ha letteralmente sconvolto lo spirito e la lettera della Costituzione, promuovendo in prima persona una campagna referendaria cui ha dato i caratteri di una sfida politica personale. Così una riforma della nostra Costituzione, che avrebbe dovuto raccogliere i consensi della maggioranza del Parlamento, del ceto politico e degli italiani, è diventata occasione di divisione e lacerazione politica del paese, che è oggi è spaccato in due.

Non poche sono poi le ragioni di contenuto per dire no a questa confusa e pasticciata riforma. Il Senato non viene di fatto abolito, ma sostituito con un organismo di serie B. Come faranno i consiglieri regionali e i sindaci nominati dal Presidente della Repubblica a svolgere contemporaneamente due ruoli istituzionali diversi? Quale lotta si aprirà tra i consiglieri regionali per accedere al Senato e avere così garantita l’immunità parlamentare? Hanno bisogno i nostri Consigli regionali, che già non brillano per efficienza e correttezza istituzionale, di tale nuovo terreno di contesa? Perché la riforma ha lasciato intatti gli assurdi privilegi delle Regioni a statuto speciale, mentre ha tolto alle Regioni a statuto ordinario alcune prerogative rilevanti, come la sovranità sul proprio territorio? Lo sanno o no i cittadini italiani che se il governo decide di impiantare una centrale atomica in qualunque sito della Penisola nessuna autorità locale può più opporsi? Infine, la riforma costituzionale è legata all’Italicum, una legge elettorale fondata su un premio di maggioranza senza precedenti nella storia dei nostri ordinamenti, con un numero spropositato di candidati nominati e che prefigura una sorta di presidenzialismo camuffato. La legge elettorale comporta un mutamento della forma di governo, e sconvolge di fatto l’assetto della nostra Costituzione. Se dovesse essere approvata, questa riforma toglierebbe una consistente fetta di libertà agli italiani.

(Professore ordinario di Storia Contemporanea, Università La Sapienza, Roma)

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L’obiettivo è avere un Parlamento depotenziato
Paolo Biavati

A mio avviso, la riforma costituzionale sposta in modo sensibile l’equilibrio fra potere esecutivo e potere legislativo, fra Governo e Parlamento, a tutto vantaggio del primo. L’obiettivo è quello di avere un Parlamento depotenziato, che risulti rapido esecutore dei disegni di legge governativi. Gli stessi fautori del Sì indicano la semplificazione come uno dei pregi della riforma.

Ora, i cittadini si devono chiedere: una società civile e moderna ha bisogno di molte leggi o di poche leggi? La risposta è ovvia: poche e chiare. Per fare poche e chiare leggi, è meglio una sola Camera o due, con la seconda che può correggere gli errori della prima? Ovvero, è meglio fare le leggi in fretta o pensarci bene? Anche qui è ovvio: due camere, entrambe elette dai cittadini, assicurano un percorso più accurato e condiviso.

Mi pare che questo argomento sia semplice, pacato e sottratto alla polemica politica.

(Professore ordinario di Diritto processuale civile, Dipartimento di Scienze Giuridiche, Università di Bologna)

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Un colpo di Stato postmoderno e postdemocratico
Lanfranco Binni

La sedicente «riforma» della Costituzione, con il suo unico obiettivo di rafforzare l’esecutivo, è un colpo di Stato, postmoderno e postdemocratico, fascistoide e mediatico, che ha due cause principali: l’implosione di un sistema politico corrotto e corruttore (in alto e in basso), e il ruolo geopolitico dell’Italia nelle strategie atlantiche. All’implosione in corso del sistema politico si tenta di reagire concentrando il potere, verticalizzando e occultando le catene di comando, eliminando i corpi intermedi, liberando la «politica» dai «lacci e lacciuoli» del sistema parlamentare, scatenando contro gli oppositori (non certo la destra con cui si traffica, ma l’opposizione parlamentare del Movimento 5 stelle e i movimenti di opposizione sociale) campagne di comunicazione affidate a un esercito di sbirri dell’informazione. Ai compiti assegnati all’Italia dalla Germania e dagli Stati Uniti nella guerra a Est e a Sud, dall’Ucraina all’Iraq alla Libia, si risponde con la svendita della sovranità nazionale, con la partecipazione servile alle operazioni militari della Nato.

(«Il Ponte» e Fondo Walter Binni)

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La Costituzione è la carta di tutti
Silvia Bodoardo

Non credo che la Costituzione sia una legge immodificabile, ma ritengo che i cambiamenti debbano andare nella direzione di un miglioramento e al limite verso una semplificazione del sistema.

La Costituzione è la carta di tutti: uno strumento di unità le cui modifiche non dovrebbero essere fatte da un solo partito e neppure dalla sola maggioranza parlamentare.

In questo periodo di propaganda le parole chiave sono state: “immobilismo”, “conservatorismo” e “lentezza”, le stesse parole che vengono sistematicamente utilizzate verso coloro che si oppongono a riforme non coerenti o peggiorative dello stato sociale come sono state il Jobs Act o la famosa “Buona Scuola”.

Di fatto la riforma costituzionale, come le leggi ora citate, stanno portando ad una chiara riduzione degli spazi di democrazia. Il diritto di tutti i cittadini e delle cittadine a incidere sulle decisioni politiche attraverso il voto, è di fondamentale importanza e nessun sostenitore del SI finora è riuscito a spiegare perché una votazione di secondo livello possa essere migliore di una votazione diretta, grazie alla quale conosciamo gli eletti e possiamo con loro colloquiare, possiamo rivotarli o no a seconda del loro operato.

IO VOTO NO.

(Professore Associato di Fondamenti chimici delle tecnologie, Politecnico di Torino)

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Il Paese non può essere amministrato come un condominio o un’azienda
Pellegrino Bonaretti

No a una modifica della Costituzione demagogica e pasticciata. L’idea principe del referendum è che un Paese possa essere amministrato come un condominio o un’azienda. Il consiglio di amministrazione sia allora autoritario e decisionista, perbacco. Nessun sospetto che il problema primo di un Paese – democratico – sia la capacità di visione ed elaborazione politica; il primato vada allora all’ingegneria costituzionale. Fosse almeno decente: il Senato sarebbe ridotto e procedure e ruoli farraginosi, impantanati nelle loro stesse incongruenze. Piuttosto l’Italia, unicum incomparabile per grado di evasione fiscale, infiltrazione mafiosa, corruzione, inosservanza capillare delle leggi, avrebbe bisogno, almeno per vent’anni, di un sistema tutto suo: tre camere, due per fare le leggi, una terza per cancellarne quelle contraddittorie, anche in simultanea, mentre vengono fatte. Compito erculeo. 100 parlamentari a testa, 300 in tutto. Kafkiano? Magari, oggi siamo ben oltre.

(Professore Ordinario di Composizione architettonica e urbana, Facoltà di Architettura Civile, Politecnico di Milano)

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Rifiuto una legge la cui formulazione non è chiara
Rossella Bonito Oliva

Io voto no in quanto ritengo che la nostra attuale Costituzione garantisca la democrazia nel nostro paese.
Votare no significa resistere ad un metodo di comunicazione centrato su una cultura dell’economia e dello scambio che fa dimenticare la funzione di garanzia di pluralità e di equità della Costituzione.
Votare no significa difendere la funzione di formazione, di educazione civile della scuola e dell’Università pubblica.

Votare no significa difedendersi da ogni forma di razionalizzazione strumentale della democrazia che ha bisogno di trasparenza e partecipazione così come garantisce la nostra attuale Costituzione.
Voto no non contro qualcosa o qualcuno, ma per un paese che voglio continuare a sentire mio perché mi riconosco nella sua cultura, nella sua lingua, nel suo modello di democrazia.

Voto no perché cambiare in nome del nuovo a tutti i costi ha già in passato causato molti guai.

Voto no in quanto mi rifiuto di votare su una legge la cui formulazione non è chiara e che solo per questo non rispetta i cittadini.

(Docente di Filosofia Morale, Università degli Studi di Napoli L’Orientale, Dipartimento di Scienze Umane e Sociali)

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La Costituzione va attuata e non stravolta
Nadia Bonora

Dirò NO il prossimo 4 dicembre.

La motivazione è data sostanzialmente dalla profonda convinzione che in una fase storica quale quella in cui viviamo di concentrazione del potere e di rischio di ritorno a forme di autoritarismo anche occulte occorra più partecipazione e più democrazia. E questo è ciò che compete alla scuola della Costituzione: formare cittadini consapevoli e responsabili non automi diretti dall’alto. Le modifiche oggetto del referendum vanno invece nella direzione opposta a quella della Costituzione italiana che va attuata e non stravolta.

(Professore a contratto, tutor didattico, Scuola di Psicologia e Scienze della Formazione, Università degli Studi, Bologna)

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Risparmiare? Un quarto di parlamentari a un quarto di prebende
Roberto Busi

A parità di altre condizioni ogni sistema – fisico, biologico o sociale – funziona tanto meglio quanto più è stabile. Cioè, fra l’altro, quando ricorrano le condizioni perché ogni transitorio possa avvenire con gradualità, senza strappi.

Così, nella fattispecie, il bicameralismo perfetto è fattore di ponderazionenella produzione di leggi ordinarie ed anche di commendevole inerzia in quella di leggi costituzionali. Il relativo effetto volano, infatti, preserva dall’avventurismo e, in particolare, tutela la Costituzione da colpi di mano.

Questa rigidità, pertanto, costituisce un irrinunciabile valore innovativo del testo dell’attuale Carta rispetto lo Statuto Albertino la cui flessibilità ne aveva permesso un non arduo stravolgimento.
Se ne lamentano i lunghi tempi operativi? Ed i costi di funzionamento?
Rifuggendo da astruserie modernizzatrici, si riducano allora i numeri di deputati e di senatori. E se ne diminuiscano le prebende.
Ecco: la metà dei parlamentari, ceteris paribus, opererebbe ben più sveltamente; ma anche con non banale contenimento delle spese.
Ed un quarto di essi ad un quarto dei proventi sarebbe ancor più opportuno.

(Professore ordinario a r. di Tecnica e pianificazione urbanistica, Università degli Studi di Brescia)

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Un attacco alla sovranità popolare
Nadia Cannata

La proposta di revisione costituzionale costituisce un attacco severo alla democrazia rappresentativa e alla sovranità popolare, che è il primo fondamento (e l’articolo 1) della nostra Costituzione.

Se essa verrà approvata, il Senato non verrà abolito, ma non verrà più eletto. Dunque i senatori, nominati fra i rappresentati delle regioni e i sindaci, continueranno a partecipare alla funzione legislativa in modo pieno in alcune materie (referendum, UE) e continueranno ad approvare le leggi varate dalla Camera, ma i cittadini non avranno il potere di eleggerli. I senatori continueranno a eleggere il presidente della Repubblica, con una maggioranza ridotta rispetto all’attuale, permettendo così al governo, al quale l’Italicum consente il dominio della Camera dei Deputati con un premio di maggioranza scandaloso, di scegliersi anche il Presidente della Repubblica. Il nuovo Senato infine eleggerà anche i giudici costituzionali, con un peso superiore in proporzione a quello dei deputati (la Camera con 640 membri ne eleggerà 3 il Senato 2 con 100 membri).

Non può sfuggire all’attenzione di chi osservi l’intero insieme delle riforme proposte che lo scopo non dichiarato è di snellire e verticalizzare la gestione del potere cedendo in nome della ‘governabilità’ e della semplificazione le nostre garanzie democratiche. Questo è inaccettabile oltre che rischioso. La dialettica politica è il terreno di esercizio della libertà. Demonizzarla, o – peggio – impedirne l’esercizio – che è quando questa riforma combinata con l’Italicum propone significa vedere travolta, per usare un’espressione di Lorenza Carlassare – la nostra democrazia costituzionale, la separazione dei poteri, e la sovranità popolare.

(Professore associato di Linguistica italiana e Filologia moderna, Università “La Sapienza“, Roma)

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Priva di bilanciamento dei poteri
Umberto Capra

Voterò NO al referendum sulla riforma costituzionale perché ritengo non sia necessario essere costituzionalisti, ma sia sufficiente avere frequentato con profitto lezioni scolastiche di educazione civica e leggere con attenzione la riforma (per esempio nella sinossi pubblicata dalla Camera dei Deputati) per convincersi che è confusa, approssimativa, priva di ponderate previsioni di bilanciamento dei poteri, con ambiguità nell’attribuzione delle competenzeche saranno fonte di continui intoppi istituzionali. In sintesi, nel complesso tradisce e nega gli obiettivi dichiarati dal suo titolo, che è stato scelto, astutamente ma perlomeno partigianamente, come formulazione del quesito referendario. Infine la stessa discussione sull’effetto combinato della riforma costituzionale con la riforma della legge elettorale mostra come il prezioso assetto costituzionale così come cambiato dalla riforma possa essere pesantemente modificato e sbilanciato dal mutare di una legge ordinaria come quella elettorale. NO, una Costituzione non si cambia tanto per cambiare.

(Ricercatore in Didattica delle lingue moderne, Dipartimento di studi umanistici, Università del Piemonte Orientale)

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Se questo è il padre, è meglio bocciare la figlia
Gian Mario Cazzaniga

Voterò no per almeno tre ragioni:

1. Una Costituzione deve nascere da un accordo, per quanto possibile, fra tutti, essendo i rappresentanti eletti da tutti. Qui la riforma della Costituzioneviene fatta nella divisione e votata da un Parlamento di eletti con una legge che la Corte Costituzionale ha invalidato.

2. La riforma viene proposta in collegamento con una legge elettorale i cui contenuti ora vengono cambiati dagli stessi proponenti e che comunque verrà votata solo dopo il referendum

3. Renzi, Presidente del Consiglio e padre del progetto, prima dichiara che se il referendum è bocciato si dimette, poi invece che intende restare. Se questo è il padre, è meglio bocciare la figlia.

(Docente ordinario di Filosofia morale, Facoltà di Lingue e letterature straniere, Dipartimento di Filosofia, Università di Pisa)

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L’Italia non è la Fiat
Valerio Cordiner

Perché l’Italia non sia governata come Marchionne dirige la FIAT.

(Ricercatore di Letteratura francese, Università “La Sapienza”, Roma)

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Revisioni così ampie possono essere partorite solo da un’assemblea costituente
Rita Cosma

Senza neppure entrare nel merito della riforma, osservo che il solo averla proposta – e con toni ultimativi – ha creato nel paese una spaccatura gravissima su quella che fino ad ora è stata la carta dei valori di tutti noi: in caso di vittoria del sì, infatti, la ‘rinnovata’ Costituzione sarebbe sentita da metà degli Italiani come un’imposizione di regole volute solo dall’altra metà del paese e non ci sarebbe più una Carta riconosciuta come fondamentale da tutti i cittadini (revisioni così ampie possono essere partorite solo da un’assemblea costituente in cui siano rappresentati proporzionalmente tutti i cittadini e non da un parlamento alterato dal premio di maggioranza).

È dunque necessario votare NO: rimane comunque imperdonabile l’aver diviso il paese su uno dei pochi fondamenti che tenevano uniti gli Italiani.

(Professore associato di Paleografia, Università “La Sapienza“, Roma)

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Una concentrazione del potere politico nelle mani del Governo del capo
Antonio D’Andrea

La riforma costituzionale varata dalla maggioranza parlamentare che sostiene il Governo Renzi, nel corso di una legislatura segnata dalla sentenza n. 1 del 2014 con la quale la Corte Costituzionale ha accertato l’illegittimità dei meccanismi elettorali che hanno consentito la formazione dei due rami del Parlamento spintisi sino a questo punto, merita di essere respinta convintamente dal corpo elettorale chiamato a pronunciarsi con il referendum. Si tratta non solo di un atto di incredibile arroganza istituzionale, varato con una logica divisiva della Comunità politica nazionale, sostenuta direttamente dal Governo in carica sotto l’impulso poco responsabile dell’allora Capo dello Stato, rieletto in una situazione di estrema difficoltà del sistema politico che avrebbe dovuto consigliare prudenza e non avventurismo riformista sul terreno costituzionale. Nel merito il riammodernamento si risolve in una demagogica e confusa riedizione del bicameralismo rinunciandosi ad avere un Senato elettivo; in una concentrazione sostanziale del potere politico nelle mani del Governo del capo, grazie alla contestuale approvazione della nuova legge elettorale per la Camera – l’italicum – significativamente distorsiva del reale consenso popolare e dunque non sufficientemente rappresentativa degli elettori; in una mortificazione dell’autonomia regionale con una preoccupante riduzione degli spazi di pluralismo istituzionale che peraltro non ridurrà affatto il contenzioso Stato-Regioni, lasciando oltretutto intatti i confini entro i quali continueranno ad agire le Regioni speciali. Insomma una riforma che abbassa il tasso di democraticità del nostro ordinamento e che creerà notevoli problemi applicativi senza rilanciare, come si dovrebbe, la centralità dell’organo parlamentare partendo dalla sua effettiva rappresentatività, da cui discende l’autorevolezza istituzionale che oggi manca del tutto, producendo di converso una esaltazione pericolosa del ruolo del Governo e di chi lo guida senza alcun efficace controllo politico-istituzionale.

(Professore ordinario di Diritto Costituzionale, Università degli Studi, Brescia)

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La Costituzione non si tocca, si applica
Daniela Danna

La Costituzione nata dalla Resistenza non si tocca, si applica: diritto al lavoro, diritto alla salute, diritto all’istruzione, nessun obolo alla Chiesa.

(Ricercatore confermato di Sociologia generale, Dipartimento di studi sociali e politici, Università degli Studi di Milano)

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Non vengono ridotte le spese ma viene negato il diritto di scelta dei cittadini
Gualtiero De Santi

Dopo averci propinato il Jobs Act (che ha reintrodotto in fatto una sorta di schiavitù nel mondo del lavoro) e la perigliosa Buona Scuola, la compagine governativa facente capo a Renzi e ai suoi adepti pid/uisti minaccia lo spirito della nostra Carta Costituzionale con una riforma scritta coi piedi, che ha di chiaro soltanto la riduzione della rappresentanza in favore di gruppi al servizio di oscuri poteri internazionali. Una oligarchia dominerebbe un parlamento di nominati controllando ogni organo dello stato, dal Presidente della Repubblica al Consiglio Superiore della Magistratura, vanificando in fatto i contrappesi che ogni democrazia non può non avere rispetto al potere esecutivo. Non vengono ridotte le spese ma in compenso viene negato il diritto di scelta dei cittadini, cui si offrono vergognose elemosine. È dunque un impegno etico quello di votare NO.

(Professore ordinario di Letterature Comparate, Università degli Studi, Urbino)

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Un procedimento istituzionale lontano dalla prassi del processo democratico
Alberto Di Cintio

Dico No al referendum perché il procedimento istituzionale elaborato, se pur corretto formalmente in realtà è assai lontano dalla prassi del processo democratico e popolare. La stessa difficoltà di lettura del nuovo testo tradisce la volontà di riscrivere il testo fondamentale della comunità in spregio alla piena comprensione e quindi adesione consapevole del popolo.

Votare No per me vuol dire ribadire e riaffermare la piena adesione ai principi del costituzionalismo democratico. Il nuovo testo, una vera e propria riscrittura della carta piuttosto che una sua attualizzazione, va invece nel segno della predominanza dell’esecutivo rispetto all’attività di discussione, elaborazione e controllo delle rappresentanze democratiche. Un disegno politico chiaro a cui occorre opporsi il 4 dicembre, ma che necessita subito dopo la capacità di essere protagonisti di una nuova stagione di riforme saldamente ancorate ai principi fondanti della carta costituzionale.

(Ricercatore in Disegno industriale, Dipartimento di Architettura, Università di Firenze)

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Ai cittadini è impedito volutamente di dare un voto specifico e consapevole
Roberto Escobar

1. Il quesito referendario è unico, ma le riforme sono molte. Ai cittadini è impedito volutamente di dare un voto specifico e consapevole.
2. Il Senato non viene abolito, ma la sua composizione viene sottratta al voto popolare.
3. Da questa “non abolizione” non verrà alcun vero risparmio di bilancio: 50 milioni su 650. Spenderemo 600 milioni per un organo non più democratico.
4. Le competenze del Senato sono indicate in modo confuso. Ci saranno continui conflitti di attribuzione che dovranno essere risolti dalla Corte Costituzionale, con un rallentamento dell’iter di approvazione delle leggi.
5. Poiché dopo le prime votazioni per il Presidente della Repubblica non sarà più richiesta la maggioranza degli aventi diritto, ma solo quella dei presenti, il Presidente – rappresentante di tutti gli italiani – potrà essere eletto da una minoranza controllata dal capo del governo.
6. Sommando fra loro la composizione del nuovo senato e l’Italicum accadrà che, oltre al Presidente della Repubblica, il partito di maggioranza (vincitore anche solo con il 25% percento dei voti al primo turno) controllerà l’elezione dei giudici costituzionali, con un danno incalcolabile per le nostre libertà.
7. Conseguenza del punto 6: il potere di sciogliere le camere “di fatto” non sarà più del Presidente della Repubblica, il quale non sarà che la longa manus del governo, ma del Presidente del consiglio. Cioè, il potere esecutivo controllerà il potere legislativo, contro il principio della divisione dei poteri, criterio fondante della democrazia liberale.
8. Con il comma 13 del nuovo articolo 39 sarà di fatto impossibile modificare le competenze delle regioni e delle province a statuto specialese non con il loro improbabile accordo.

(Professore ordinario di Filosofia Politica e Analisi del linguaggio politico, Università degli Studi, Milano)

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Tutto ciò ai cittadini italiani non serve
Paolo Ferloni

Pare che la cosiddetta “riforma” della Costituzione sia da respingere perché le motivazioni con le quali il Governo la presentò nella relazione al Senato l’8 Aprile 2014 sono acritiche, superficiali, e di scarso o nessun rilievo per il benessere degli italiani, come appare dal breve elenco seguente:

– lo “spostamento del baricentro decisionale connesso alla forte accelerazione del processo di integrazione europea“;

– l’esigenza di “adeguare l’ordinamento interno alla recente evoluzione dellagovernance economica europea (da cui sono discesi, tra l’altro, l’introduzione del Semestre europeo e la riforma del patto di stabilità e crescita)“;

– le “stringenti regole di bilancio (quali le nuove regole del debito e della spesa)“;

– le immancabili “sfide derivanti dall’internazionalizzazione delle economie e dal mutato contesto della competizione globale“;

– la necessità di “razionalizzare in modo compiuto il complesso sistema di governo multi-livello articolato tra Unione europea, Stato e Autonomie territoriali, entro il quale si dipanano oggi le politiche pubbliche“.

Con siffatte ragioni il Governo mira soltanto a rafforzare l’immagine di se stesso ed a sbarazzarsi di contrappesi istituzionali interni, per presentarsi meglio ai poteri bancari internazionali ed al sistema affaristico delle multinazionali. Tutto ciò ai cittadini italiani non serve.

(Già professore ordinario di Chimica Fisica Ambientale, Università di Pavia)

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“Siamo tutti in Pericolo”
Cristiana Fiamingo

Tutto della politica giocata di recente nel nostro Paese ci fa capire come si voglia perpetuare un mondo di “cortigiani e di assistenti dei cardinali” – a dirla con Pasolini – ed è per me fonte di scandalo e frustrazione come si faccia di una riforma costituzionale raffazzonata l’ago di una bilancia politica effimera. Ma, ancor peggio, sentire quanti – cosiddetti intellettuali – accettano i cambiamenti prospettati a capo torto perché “almeno qualcosa cambi”, laddove la Costituzione è la spina dorsale di un Paese. Ora più che mai – e continuo a citare Pasolini – “Siamo tutti in Pericolo” ma esiste un modo: il rifiuto categorico ed esplicito – essenziale in questo referendum il cui esito sarà indipendente dal numero dei partecipanti. “Il rifiuto è sempre stato un gesto essenziale. I santi, gli eremiti, ma anche gli intellettuali, i pochi che hanno fatto la storia sono quelli che hanno detto di no, mica i cortigiani e gli assistenti dei cardinali“.- Vediamo di che stoffa è fatto questo Paese (in cuor mio, spero ardentemente di sbagliarmi).

(Ricercatore confermato di Storia e istituzioni dell’Africa, Dipartimento di studi internazionali, giuridici storico-politici, Università degli Studi, Milano)

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Una riforma per compiacere la finanza sovranazionale e le multinazionali
Guglielmo Forges Davanzati

Nel 2013, J.P. Morgan pubblica un rapporto nel quale invita il Governo italiano a modificare la Costituzione vigente perché contiene “troppi elementi di socialismo”. In particolare, J.P. Morgan insiste sulla inopportunità di tenere in vita una Carta Costituzionale di matrice novecentesca, nella quale i valori fondanti riguardano la tutela dei diritti sociali, il fondamentale ruolo attribuito allo Stato nella programmazione economica, il richiamo alla democrazia economica.

Con ogni evidenza, la finanza sovranazionale e le multinazionali che domandano la riforma costituzionale lo fanno per trovare in Italia un assetto istituzionale per loro più favorevole: bassi salari, risibile tutela dei diritti dei lavoratori, normativa trascurabile in materia ambientale, delineando un percorso di crescita in condizioni di ulteriore aggravamento delle diseguaglianze distributive e di ulteriore attacco al lavoro. Per chi ritiene che l’eventuale attrazione di investimenti non possa che avvenire sostenendo questi costi (inclusa la perdita della sovranità politica), il SI è una scelta scontata.

Per chi ritiene che le diseguaglianze siano un freno alla crescita, che la finanza sovranazionale non debba ingerire nelle decisioni di uno Stato sovrano; per chi ritiene che la globalizzazione debba essere governata e che la totale libertà di movimento dei capitali sia una delle concause della crisi in corso la risposta non può che essere decisamente NO. La posta in gioco è, dunque, la vendita della nostra carta costituzionale al miglior offerente: il tentativo estremo di provare a fuoriuscire da una crisi della quale non si vede una possibile via d’uscita.

(Professore associato di Storia dell’Economia Politica, Università degli Studi del Salento)

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Un NO in difesa di un’Istruzione pubblica e colta
Franco Frabboni

Se osserviamo con una lente di ingrandimento la Controriforma dell’Istruzione di Matteo Renzi (La Buona/Scuola) si può cogliere, a occhio nudo, la mannaia con cui abbatte gli alberi verdi dei saperi pubblici.

Parliamo sia di menti/scout (piene di perché e di dubbi), sia di menti usignolo (pronte a spiccare il volo nei cieli della creatività): le une e le altre capaci di avventurarsi lungo sentieri lastricati di rotture mentali che nobilitano l’inattuale, l’inedito e l’ignoto.

Domanda.
Il Presidente del Consiglio come intende demolire l’edificio culturale del Sistema/Scuola? Mutando il DNA dell’Istruzione pubblica? Relegandola a casa socialmente selettiva (dà di più a chi ha già di più, e non a chi ha di meno), culturalmente macchina del vuoto (genera conoscenze coccodé), antropologicamente disattenta ai linguaggi, ai modi di pensare di sognare di cui è testimone l’utenza.

La mia fede democratica – ovvero una Camera dei Deputati e una Camera dei Senatori (di rigoroso controllo reciproco) – dà speranza a un travolgente NO al referendum del 4 dicembre pv.

(Docente Emerito di Pedagogia, Università di Bologna)

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Grave sbilanciamento degli equilibri costituzionali
Silvio Gambino

Sono molte le ragioni critiche verso la brutta riforma (in alcune sue disposizioni probabilmente anche illegittime costituzionalmente, come quelle relative alle modalità di elezione del Senato) fortemente voluta dalla maggioranza di governo (e scritta da Renzi-Boschi dietro suggerimento del Presidente Napolitano, per come più volte osservato dall’on. Boschi).

La critica che ritengo maggiormente centrale risiede nei gravi effetti di sbilanciamento degli equilibri costituzionali, che si accompagnano con una evidente umiliazione del Parlamento a tutto favore del Governo e al suo interno con il rafforzamento del Premier che diviene ‘uomo solo al comando’. Ciò in ragione della vera e propria sua elezione quasi-diretta, sulla base di quanto previsto dall’Italicum. Le due leggi in campo (quella di revisione e la legge elettorale), da leggersi in modo necessariamente congiunto, assicurano al leader del partito che diviene Presidente del Consiglio, alla guida di una maggioranza artificiosamente creata dalla legislazione elettorale, una influenza determinante nella ‘nomina’(attraverso i consigli regionali) dei componenti del Senato nel Parlamento e più in generale nella formazione (e dunque nel funzionamento pro domo sua) degli organi di garanzia e della stessa composizione del Senato.

Sorprende molto che un simile scenario costituzionale sia in gran parte il deliberato di una formazione politica che ha avuto nella sua storia precedente (ancorché oggi non riconosca più come propria) un ruolo centrale nella definizione del mondo di idee e di valori positivizzati nella Costituzionerepubblicana del 1947.

(Professore ordinario di Diritto pubblico comparato, Università degli Studi della Calabria)

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E’ l’inizio di una forma larvata di presidenzialismo
Rino Genovese

Non è così difficile comprendere perché bisogna andare a votare al referendum sulla riforma costituzionale voluta da Renzi, e perché bisogna votare NO. Il presidente del Consiglio seguita a ripetere che il nuovo assetto costituzionale non accresce i poteri del premier, e che quindi un rischio autoritario non ci sarebbe. Ma questo è falso: la riforma, se inquadrata con la corrispondente legge elettorale che prevede un ampio premio di maggioranza alla lista che raggiunge il 40 per cento dei voti oppure mediante un ballottaggio nazionale tra le prime due liste, conferisce a chiunque si trovi a vincere un’investitura di tipo presidenzialista nella forma di un premierato forte. Considerando che, nell’ipotesi di una conferma referendaria della riforma, sarebbe un’unica Camera a dare la fiducia al governo, ciò renderebbe il vincitore arbitro pressoché assoluto della situazione. In altre parole, sarebbe la fine della repubblica parlamentare disegnata dalla nostra Costituzione, l’inizio di una forma larvata di presidenzialismo.

Ora, è vero che la legge elettorale, essendo una legge ordinaria, non è materia di referendum. Ma per come sono state disposte le cose (non senza furbizia) approvare la riforma costituzionale vorrebbe dire accettare, di fatto, anche la sostanza della legge elettorale. Chi si asterrà o approverà con il proprio voto la riforma voluta da Renzi deve sapere che contribuirà a impedire un’autentica ridiscussione parlamentare della pessima legge elettorale, ormai posta sotto accusa da molti degli stessi sostenitori di Renzi per gli aspetti di vero e proprio avventurismo che contiene. Pensate, in un paese come l’Italia (che già vide l’ascesa del fascismo, peraltro attraverso una legge elettorale maggioritaria simile a quella oggi in questione, la cosiddetta legge Acerbo), da anni sotto una non effimera spinta populistica e neoqualunquistica, un ballottaggio nazionale tra Renzi e personaggi come Di Maio o Salvini – sarebbe una roulette russa. La riforma costituzionale che si prospetta, infatti, a differenza di altri sistemi presidenzialisti – come quello francese, per esempio, che separa l’elezione diretta del capo dell’esecutivo da quella dei parlamentari, dando la possibilità all’elettore, con il doppio turno nei collegi, di scegliere i propri rappresentanti anche in base al criterio del “meno sgradito” –, non è né carne né pesce, anzi un pasticcio vero e proprio, che toglie alcune garanzie democratiche senza prevederne di nuove, e il cui risultato sarebbe soltanto la distruzione della repubblica parlamentare, non la costruzione di un sistema coerentemente presidenzialista. Basti pensare che il Senato attuale non viene affatto soppresso ma diventerebbe una Camera di seconda battuta, con i senatori nominati senza elezione da parte dei cittadini, non completamente priva di poteri ma asservita al capo della maggioranza di turno.

Ciò che insomma si realizzerebbe, se il cambiamento fosse ratificato dal voto referendario, sarebbe un distorcimento dell’impianto costituzionale. Se si vuole modificare la nostra repubblica parlamentare, lo si dica apertamente: non da poco tempo nel paese girano umori presidenzialisti e plebiscitari: si dica allora che li si vuole assecondare e si discuta il mutamento della forma di governo in un’assemblea costituente eletta con sistema proporzionale. Invece la riforma voluta da Renzi è il frutto di una maggioranza delle larghe e delle piccole intese, mercanteggiata e imposta con il ricatto delle elezioni anticipate ai riottosi nel suo stesso partito, sui quali oggi grava la responsabilità di avere, sia pure controvoglia, assecondato la volontà del loro segretario e presidente del Consiglio.

Il parlamento uscito dalle elezioni del 2013, mediante una legge elettorale infine dichiarata incostituzionale dalla Corte costituzionale, avrebbe dovuto por mano soltanto a una nuova legge elettorale per ritornare rapidamente alle urne, diciamo nel giro di un anno. Ma nella confusione che regnava nel partito di maggioranza relativa, e grazie all’ex capo dello Stato Napolitano, si è dato spazio alle mire del giovane astro montante della politica italiana, Matteo Renzi, con la sua piccola corte di ignoranti, che hanno confezionato un pasticcio dei cui rischi appaiono talvolta perfino inconsapevoli.

(Ricercatore in Filosofia Teoretica, Scuola Normale Superiore, Pisa)

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Una riforma costituzionale non può venire da una parte minoritaria del Parlamento
Alberto Girlando

1) Una riforma costituzionale, qualunque essa sia, non può venire da una parte minoritaria del Parlamento, che ha la maggioranza grazie ad una legge elettorale incostituzionale.

2) Nel merito, la riforma proposta è confusa e riduce/altera gli equilibri democratici.

3) L’efficienza che si vorrebbe perseguire è nemica della democrazia, e il continuo richiamo ad un fulgido periodo che seguirebbe il SI assomiglia molto ai proclami di un altro periodo storico che per fortuna non ho vissuto.

(Già Professore ordinario di Laboratorio di Chimica Fisica II, Dipartimento di Chimica Università degli Studi, Parma)

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Mai dare troppi poteri a chi governa. E’ portato ad abusarne
Ferdinando Imposimato

La Riforma liberticida porta a dittatura e alimenta diseguaglianze e guerre.
1. La riforma del Senato è una minaccia grave alla democrazia: attribuisce enormi poteri al premier e depotenzia Consiglio Superiore della Magistratura, Corte Costituzionale e Presidente della Repubblica a vantaggio del Governo. Grazie a legge elettorale eversiva, il premiercontrolla la maggioranza della Camera, nomina i membri laici di Consiglio Superiore della Magistratura e Consulta, sceglie il Presidente della Repubblica e decide di fatto lo scioglimento della Camera. Aristotele dice “Mai dare troppi poteri a chi governa. E’ portato ad abusarne”. Il premierriceve investitura diretta con voto ai capilista bloccati, imposti dai partiti – il premier segretario del PD –, pluricandidature e premio di maggioranza. Non si possono dare molti poteri al premier senza risolvere il conflitto di interessi che porta al monopolio dell’informazione nel premier. Va garantito il pluralismo dell’informazione ex art. 21 della Costituzione.

2. I riformatori non sono imparziali: uno è stato condannato per corruzione in primo grado, un altro è figlio di indagato per bancarotta, un altro è cognato di indagato per riciclaggio. I banchieri legati al premier, come JP Morgan, sono oggetto di indagini. Saranno, i riformatori, interessati a combattere illegalità e corruzione? O manterranno la prescrizione, contro il vincolo verso l’UE di correggere la legge?

3. Il premier sostiene che la riforma giova al risparmio tagliando i senatori, e parla di u risparmio di 500 milioni. Falso. Aumentano i privilegi economici dei burocrati di Camera e Senato. A fronte dei 57 milioni risparmiati con 100 senatori. La spesa cresce per stipendi senza controllo della casta di Camera e Senato (art. 40 rif.), affitti d’oro e appalti fuori legge. Mentre diminuiscono gli stipendi di insegnanti da 30.338 euro a 29.130, dei corpi di polizia e carabinieri da 38.493 a 37.930, un commesso della Camera riceve 160.000 all’anno, un consigliere da 64.000 a 240.000. I privilegi si blindano con la riforma costituzionale. Né il Governo riduce i 23 miliardi di euro per le migliaia di enti privati, fonte di corruzione e di distribuzione clientelare di posti a amici e parenti, mentre i meritevoli sono esclusi dai concorsi

4. Il Governo invoca la Governabilità per legiferare in modo veloce. In realtà allarmi e falsità di Roberto Benigni sugli effetti del NO sono smentiti dal Financial Times, il cui più autorevole giornalista Tony Barber scrive “Le riforme di Renzi sono un ponte costituzionale verso il nulla“. I dati forniti dal premier sono falsi: la “lentezza nell’approvazione delle leggi” è campata in aria. E infine “una sconfitta di Renzi al referendum non destablizza l’Italia“, e non si può “anteporre la sopravvivenza di Renzi al bisogno di una sana democrazia in Italia”.

5. La riforma del Senato tende ad asservire al premier i giudici ordinari amministrativi e contabili. Sempre chi governa cerca di sottomettere i giudici al proprio potere (A. Smith). ll premier, controllando la Camera dei Deputati grazie all’Italicum, sceglierà da solo i membri della Corte Costituzionale. La Consulta, da giudice delle leggi, che ha annullato tante leggi illegittime, diventerà organo della maggioranza e del premier. Il Consiglio Superiore della Magistratura, da organo di garanzia dei magistrati, diventerà un ramo della maggioranza e sceglierà i vertici di Procure, Triìbunali e Cassazione, non imparziali ma subalterni alla maggioranza. La legge illegittima che proproga Presidenti di Cassazione, Corte dei Conti e Consiglio di Stato è un indizio delle mire del Governo sui giudici.

6. Il numero dei senatori è proporzionale alla popolazione (ar. t57). A ogni regione spettano due Senatori. Le province di Trento e di Bolzano ne avranno ciascuna due. Nove regioni avranno 69 senatori; le restanti avranno 26 senatori. Le Regioni piccole saranno schiacciate dalle grandi. Questo incide su unità e indivisibilità dell’Italia (art. 5) e su distribuzione delle risorse dell’UE. Nota che la Lombardia con 10 milioni di abitanti supera 9 regioni insieme: Calabria (1.900.000), Sardegna (1.663.000), Liguria (1.583.000), Marche (1.550.000), Umbria (894.000), Basilicata (576.000), Molise (3.131.000), Val D’Aosta (128.000), Trentino (105.500). Il premier può avocare a sé le materie riservate alle regioni grazie a clausola di supremazia. L’immunità, prevista per gli eletti dal popolo per i voti espressi e le opinioni date nell’esercizio delle funzioni, sarà estesa a gravi delitti come corruzione e abusi di ufficio.

7. I riformatori hanno coambiato l’art. 78 della Costituzione per agevolare la dichiarazione della guerra da parte della Camera controllata dal premier, escludendo il Senato dal voto: ciò in vista delle nuove guerre in Nord Africa, Medio Oriente e nell’Est Europa. E assecondando le mire di neocon USA, legati al premier, che hanno già scatenato guerre preventive contro Iraq e Libia, per una guerra preventiva contro l’Iran. L’Italia sarebbe travolta da bombe atomiche lanciate da paesi del Medio Oriente o dalla Russia.

8. A ciò si aggiunga il contesto dell’azione di questo Governo. Il premierha fatto leggi ingiuste con grande velocità. a) La Legge sul Jobs act, approvata con voto di fiducia, umilia il lavoro trattandolo alla stregua di una merce. La Repubblica deve rendere effettivo il diritto al lavoro con retribuzione che lo liberi dal bisogno e gli consenta il miglioramento spirituale per esercitare in modo cosciente i diritti politici. Il datore di lavoro ha libertà di licenziamento. L’occupazione è inferiore al peggiore anno di crisi. Migliaia di giovani sono costreti a espatriare. b) I 14 miliardi di incentivi alle imprese (voucher) si sono risolti in aumento di ricchezza del capitale a danno di piccole e medie imprese. E nella legalizzazione del caporalato, che è sfruttamento del lavoro nero. c) Altro mostro è la legge sulla scuola, illegittima e liberticida. Il Governo destina alla scuola le risorse più basse d’Europa e la trasforma in azienda, quando in realtà la scuola (Calamandrei) “è organo costituzionale come Parlamento, governo e giudici: l’insegnante ha compito di istruire e formare i giovani”. d)  La legge cosiddetta salvabanche salva le banche truffatrici e non i risparmiatori truffati, mentre negli USA Obama ha citato le banche che hanno emesso titoli carta straccia e risarcito i danni ai risparmiatori. e) Mancano leggi efficaci contro la corruzione, il riciclaggio e il traffico di influenza che costano all’Italia 70 miliardi di euro l’anno, mentre la prescrizione favorisce la impunità. f) Carente è lotta all’evasione fiscale che costa 154 miliardi di euro l’anno. Il fisco italiano recupererebbe 100 miliardi di euro all’anno con una lotta efficace contro la dilagante evasione. g) Mancano opere antisismiche in un paese come l’Italia che è preda di dissesti idrogeologici.

(Già Docente di Procedura penale, Facoltà di Scienze forensi, Università La Sapienza, Roma; Presidente onorario aggiunto della Suprema Corte di Cassazione)

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“Innova in peggio” la società italiana in base ai miopi interessi di Confindustria
Giorgio Inglese

Voterò NO perché: 1) è una riforma di parte, voluta da un solo partito (neanche tutto intero); 2) è una riforma pasticciata, che tocca troppi articoli in modo incoerente; 3) non abolisce il Senato, ma i senatori: il Senato diventa un dopolavoro per consiglieri regionali e sindaci; 4) mi priva del diritto politico di eleggere il mio senatore; 5) in “combinato disposto” con l’Italicum, consegna tutto il potere esecutivo e legislativo a un solo partito, anche minoritario; 6) per volontà del Governo, è diventata il simbolo di una politica che “innova in peggio” la società italiana in base ai miopi interessi di Confindustria (penso a leggi come il Jobs Act e, ovviamente, la “Buonasola“). E chi più ne ha, più ne metta.

(Professore ordinario di Letteratura Italiana, Università “La Sapienza“, Roma)

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L’esecutivo deve eseguire, non imporre
Teresa Isenburg

Personalmente il 4 dicembre voterò con piena convizione NO al referndum relativo alle modifiche di parecchi articoli della Costituzione della Repubblica. Tali modifiche tendono a rafforzare il campo di azione autonomo dell’esecutivo. Come dice il nome, l’esecutivo, in particolare il governo, ha il compito di eseguire ciò che altri poteri deliberano, con una ordinata separazione dei ruoli. L’esecutivo non ha il compito di comandare, di agire in fretta, di imporre. Quindi il suo agire, come quello di tutti i poteri istituzionali, va continuamente inserito nel sistema di contrappesi dei poteri. Le norme previste inoltre inseriscono situazioni diverse per gli stessi soggetti: ad esempio i componenti del Senato nominati dagli enti periferici godono di immunità parlamentare mentre i loro colleghi che non hanno tali incarichi, no. Infine la combinazione fra modificazioni parlamentari e sistemi elettorali sempre più spostati verso modalità maggioritarie massicce danno a chi ha una percentuale modesta di voti della popolazione una maggioranza assoluta di seggi parlamentari. E’ di fatto l’espropriazione del voto.

Particolarmente preoccuante è l’atteggiamento verso la formazione scolastica che discende da questa impostazione complessiva: la scuola pubblica non è più il luogo in cui si forma l’insieme dei giovani con una solida preparazione come realizzato con la scuola media unificata all’inizio degli anni ’60. Ma si mantiene una scuola pubblica poco curata e si incentiva la formazione di un binario parallelo di scuole private qualificate: prova di ciò è il trattamento irrispettoso degli insegnanti, sia dal punto di vista retributivo che delle codizioni generali di lavoro.

Nel complesso la cosiddetta riforma costituzionale in corso risponde alla logica della limitazione della partecipazione dei cittadini alla vita pubblica e alla promozione di un società tendenzialmente escludente delle componenti socialmente deboli della popolazione stessa: componenti che peraltro diventano sempre più numerose proprio in conseguena di questa logica.

(Già professore ordinario di Geografia politica ed economica, Università degli Studi di Milano)

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Tradimento della Costituzione
Massimo Jasonni

Confermo il mio no al referendum, e per le ragioni espresse su Il Ponte del mese di ottobre. Non mi meraviglia affatto che le forze finanziarie e politiche che si celano dietro la cosiddetta globalizzazione siano favorevoli a Renzi, ma il problema è italiano ed è quello della difesa intransigente dei valori costituzionali. Se si fosse davvero voluto diminuire i costi e alleggerire le burocrazie, si sarebbe dovuto procedere con legge, ovvero senza scomodare l’elettorato: bastava dimezzare il numero dei parlamentari, con congrua riduzione di stipendio. La vittoria del sì comporterebbe, tra l’altro, ulteriore confusione dei ruoli pubblici e gravi incompatibilità.

Credo che la scuola debba essere il luogo per una riflessione culturale in cui si pongano al corrente i ragazzi della grande storia che pulsa alle spalle della Carta, non farne un teatrino al passo con i dibattiti televisivi. La Costituzionerepubblicana attende ancora oggi di essere attuata in alcuni suoi punti fondamentali, drammaticamente elusi fin dal suo sorgere e, tanto più, in tempi di prima e seconda repubblica. Calamandrei ebbe gli occhi lunghi, parlando da subito di “tradimento della Costituzione”. Oggi questo tradimento, nei voti del Governo, fa un passo ulteriore in avanti: la drammatica crisi in cui versano scuole pubbliche e ospedali pubblici ne è conferma.

(Professore Ordinario di Diritto canonico, Facoltà di Giurisprudenza, Università di Modena e Reggio Emilia)

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Un governo vigente in virtù di una Costituzione si chiama regime
Stefano Levi Della Torre

Voterò NO al referendum sulla riforma costituzionale. È una riforma votata a stento da un parlamento eletto con una legge elettorale dichiarata non costituzionale dalla Corte Costituzionale. È una riforma associata a una legge elettorale che, col forte premio al partito più votato, trasforma una minoranza in preponderante maggioranza parlamentare, persino capace, secondo questa riforma, di designare unilateralmente il Presidente della Repubblica e membri della Corte Costituzionale. Il che vuol dire la possibilità di designare a proprio piacimento gli organi adibiti a controllare il proprio operato. E, stando così le cose, la maggioranza parlamentare, pur minoranza nel paese, può disporre di un potere esorbitante ed accentrato; e chi si sforza di decifrare gli articoli inerenti alla formazione e al funzionamento del proposto “Senato delle regioni”, può rilevare come la complicazione e la disparatezza delle sue funzioni, e la sua formazione che riguarda più le logiche di partito che la rappresentanza dei territori, possa diventare terreno di gioco per la forzata e artificiosa maggioranza, messa in piedi dalla legge elettorale nella Camera dei deputati.

Ora, una Costituzione democratica dovrebbe esprimersi in termini comprensibili. Si provi allora a leggere ad es. l’art. 70 della riforma, e dalla sua astruseria, sia linguistica sia di contenuto, si comprenderà quanto il testo sia dedicato non alla cittadinanza ma al ceto politico. È un testo autoreferenziale del ceto politico. E noi col referendum siamo chiamati a legittimare questa quasi ingenua richiesta di incontrollabile delega.

Che cosa promettono i sostenitori di questa riforma? La riduzione dei costi della politica; lo sveltimento delle decisioni legislative; la rappresentanza dei territori. Ma che ne è di queste intenzioni dichiarate a ricalco e in concorrenza con le pulsioni populiste della cosiddetta antipolitica? La riduzione dei costi dovrebbe piuttosto avere come perno ben più decisivo la lotta alla corruzione, la riduzione della burocrazia, la riforma del sistema fiscale e caso mai la riduzione dei vitalizi del ceto parlamentare e politico; lo sveltimento nella promulgazione delle leggi (la cui lentezza è imputata all’esistenza dell’attuale Senato che raddoppierebbe il tempo di discussione delle leggi) si scontra col fatto che l’Italia produce più leggi della media europea, e caso mai il problema sarebbe quello di diminuire il numero di leggi e regolamenti e soprattutto quello di renderli più coerenti tra loro; e quanto alla rappresentanza dei territori, che dovrebbe esprimersi nel nuovo Senato delle Regioni, basti osservare come il sistema previsto per la designazione dei senatori non è a votazione diretta dei cittadini, ma è una designazione di secondo grado, cioè da parte del ceto politico che sceglie i senatori all’interno della proprie file. Inoltre, le disparate funzioni di questo Senato, e le sue confuse competenze, lasciano prevedere un moltiplicarsi di contenziosi, tali da vanificare quella agilità di decisioni tanto vantata dai riformatori.

L’idea iniziale della campagna referendaria del governo che propone questa riforma: o votate la riforma o il governo si dimette lasciando un vuoto politico, l’idea cioè di vincolare la sorte di un governo alla riforma costituzionale è come voler costituzionalizzare un determinato governo. Ma un governo vigente in virtù di una Costituzione si chiama regime. L’idea è stata poi smentita a fatica, come un lapsus, che lasciava però trasparire un’intenzione già balenata nel concetto renziano di un “partito della nazione”, che richiama una vocazione sovietica (o peggio), circa i rapporti tra partito e Stato.

Tutte queste caratteristiche fanno della riforma un fattore divisivo, che è il contrario dell’idea di Costituzione, la quale, in quanto patto di cittadinanza, presuppone che in essa si possa riconoscere la stragrande maggioranza dei cittadini.

(Docente a contratto di Storia dell’arte contemporanea, Facoltà di Architettura, Politecnico di Milano)

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Diffonde nelle vene della nostra società il virus dell’indifferenza, della passività e del distacco
Gennaro Lopez

Si ha un bel parlare di “cittadinanza attiva” nelle nostre scuole, magari con tanto di citazioni tratte da direttive o altri documenti dell’Unione Europea! In realtà è già stato inoculato e si va diffondendo nelle vene della nostra società il virus dell’indifferenza, della passività e del distacco da ogni forma di partecipazione democratica, a cominciare da quella più immediata ed essenziale: il voto. Ricordate il referendum sulle trivelle? Ricordate l’impegno profuso dal presidente del consiglio nonché segretario del PD per tenere gli italiani lontano dai seggi elettorali? Resta poi tanto da meravigliarsi se non si raggiunge il numero di firme necessario a promuovere il referendum sulla (non) “Buona scuola”? E’ segno che il virus di cui dicevo ci sta avvelenando. Ed ora il paradosso: con un quesito truffaldino e spottelevisivi da regime si vuole indurre l’elettorato ad un plebiscito su una deforma costituzionale che riduce ulteriormente gli spazi di partecipazione e di democrazia. Noi, impegnati a formare cittadini pienamente consapevoli della loro “sovranità” (così come prevista e sancita dalla nostra Carta), abbiamo oggi un solo modo per tutelare il futuro democratico del nostro Paese e dei nostri giovani: votare NO il 4 dicembre.

(Già docente di Lingua e Letteratura latina presso l’Università di Bari, La Sapienza Università di Roma e l’Università degli Studi di Roma Tre, dal 1967 al 2006. Della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Roma Tre è stato anche Preside vicario e Presidente del Corso di Laurea in Lettere)

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La riforma sarà fonte di conflitti feroci tra le istituzioni dello Stato
Emilio Matricciani

Un grande e convinto NO alla riforma costituzionale perché: 1) non rinuncio al mio diritto di votare direttamente i senatori della Repubblica perché il popolo è sovrano; 2) la riforma sarà fonte di conflitti feroci tra le istituzioni dello Stato; 3) non è scritta in italiano comprensibile (forse Renzi e soci si trovano meglio con l’inglese!); 4) è stata ideata da personaggi da Bar Sport, il che mi fa capire quali giganti fossero i costituenti del 1946; 5) perché moltissimi costituzionalisti ed ex-presidenti della Corte Costituzionale si sono espressi contro con motivazioni che condivido; 6) perché vorrei mandare a casa Renzi e le sue ministre.

(Docente di Ingegneria dei sistemi di comunicazione via satellite, Politecnico di Milano)

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Nuova legge elettorale versus potere assoluto
Lodovico Meneghetti

Tra vessazione della Costituzione e nuova legge elettorale Matteo Renzi cerca di completare il suo modello di democrazia limitata. Il nuovo a assetto istituzionale sarebbe impostato su due cardini.

1.- Demolizione del Senato storico, pur sempre una garanzia di controllo democratico, sostituendolo con una assemblea di nominati/designati (sindaci, consiglieri…) estranei a come si esprimerebbe la volontà elettiva del popolo. Che siano stati eletti in altri momenti e per altri compiti semmai peggiora il funzionamento del falso-senato giacché dovrebbero abbandonare almeno una parte dei lavori obbligati dalla loro carica negli enti locali.

2.- Nuova legge elettorale versus potere assoluto. Renzi l’ha detto apertamente, anzi l’ha ripetuto in diverse occasioni: la miglior legge elettorale sarebbe quella a doppio turno con ballottaggio finale fra i due candidati presidenti meglio piazzarti, a meno che qualcuno non abbia ottenuto la maggioranza al primo turno. Si voterebbe, dunque, per scegliere direttamente il primo ministro. Il modello, noto e applicato più volte, è quello dell’elezione del sindaco nei comuni con più di 15.000 residenti. Di più: la lista o il gruppo di liste collegate al sindaco eletto si prendono il 60% dei seggi col 40% dei voti (a meno che il 60 non l’abbiano già ottenuto al primo colpo). Aggiungiamo le impressionanti regole sui poteri che permettono a sindaci e giunte di surclassare qualsiasi richiesta “democratica” delle minoranze nei Consigli comunali per render completo il progetto di Renzi e del suo partito nazionale (detto anche per “il sindaco d’Italia”, ossia primo ministro pigliatutto).

(Professore ordinario di Urbanistica, Facoltà di Architettura, Politecnico di Milano)

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Si smantella la scuola pubblica per le stesse ragioni per cui si smantella la Costituzione della Repubblica
Tomaso Montanari

La relazione introduttiva al disegno di legge costituzionale 813 – presentato il 10 giugno 2013 dal governo Letta (e firmata da Enrico Letta, Gaetano Quagliarello e Dario Franceschini), e ultima tappa prima del 1429 del governo Renzi: quello su cui voteremo il 4 dicembre prossimo – sostiene che:

«Gli elementi cruciali dell’assetto istituzionale disegnato nella parte seconda della nostra Costituzione (forma di governo, sistema bicamerale) sono rimasti sostanzialmente invariati dai tempi della Costituente. È invece opinione largamente condivisa che tale impianto necessiti di essere aggiornato per dare adeguata risposta alle diversificate istanze di rappresentanza e d’innovazione derivanti dal mutato scenario politico, sociale ed economico; per affrontare su solide basi le nuove sfide della competizione globale; dunque, per dare forma, sostanza e piena attuazione agli stessi principi fondamentali contenuti nella parte prima della Carta costituzionale».

È un testo cruciale per comprendere perché si sono fatte le ‘riforme’. Se è mostruosa l’ipocrisia per cui tutto questo permetterebbe di attuare i principi fondamentali – sovranità popolare (art. 1), eguaglianza sostanziale e pieno sviluppo della persona umana (art. 3), tutela del paesaggio (art. 9)…! –, è almeno chiarissimamente enunciato il fine ultimo di questa macelleria costituzionale: «affrontare la competizione globale». Questa scoperta dichiarazione va intesa come atto di esplicita e pubblica sottomissione ai mercati internazionali.
Il 4 maggio 2016 una ministra del governo Renzi, quella dell’Istruzione – ha dichiarato che

«l’Italia paga un’impostazione eccessivamente teorica del sistema d’istruzione, legata alle nostre radici classiche. Sapere non significa necessariamente saper fare. Per formare persone altamente qualificate come il mercato richiede è necessario imprimere un’impronta più pratica all’istruzione italiana, svincolandola dai limiti che possono derivare da un’impostazione classica e troppo teorica».

La direzione politica e culturale emerge chiarissima: si smantella la scuola pubblica per le stesse ragioni per cui si smantella la Costituzione della Repubblica. Ad essere messi radicalmente in discussione sono, dunque, i principi fondamentali di quest’ultima: la scuola non deve più formare «persone umane» ma sudditi del mercato globale, la Repubblica non deve più garantire e attuare i diritti dei cittadini ma deve prendere rapide decisioni nell’interesse di quello stesso mercato.

È a tutto questo che il 4 dicembre vogliamo dire: NO.

(Professore associato di Storia dell’arte moderna, Università degli Studi “Federico II“, Napoli; vicepresidente di Libertà e Giustizia)

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Perdita di comprensione e quindi di controllo dei meccanismi democratici
Anna Painelli

La Costituzione rapresenta il patto costitutivo stipulato dai cittadini per il funzionamento dello Stato. La Costituzione attuale è nata assieme alla Repubblica dallo sforzo comune di molti uomini e donne che, finalmente liberi dal fascismo e dalla guerra, hanno messo da parte interessi particolari per costruire assieme il futuro. La nostra Costituzione, nella sua eleganza ed essenzialità dispiega meccanismi di governo coerenti e comprensibili. Le modifiche costituzionali proposte modificano pesantemente l’assetto costituzionale in modo confuso e incoerente, producendo un documento di difficile lettura anche per gli esperti e del tutto oscuro per il cittadino. In tale oscurità si annida il pericolo più grave per lo Stato: la perdita di comprensione e quindi di controllo dei meccanismi democratici da parte dei cittadini. Modifiche costituzionali raffazzonate, imposte a colpi di maggioranza e propinate al cittadino/acquirente con spot pubblicitari di dubbio gusto e poca sostanza, possono solo portare a divisione, ingovernabilità e perdita di democrazia.

(Professore ordinario di Chimica fisica, Università degli Studi di Parma)

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Si tratta di stabilire se valga la pena cambiare la Costituzione
Giuseppe Panella

Non condivido le posizioni espresse da Cacciari e altri (di cui non aggiungo i nomi per non personalizzare troppo questa riflessione sul referendum del 4 dicembre) e non le considero degne di essere prese in considerazione proprio sotto il profilo politico-istituzionale.

Non si tratta di votare una riforma “pasticciata” (parole di Cacciari!) per evitare che la stabilità politica – oggi assurto a valore supremo – venga rimessa in discussione. Si tratta di stabilire se valga la pena cambiare la Costituzionevigente in alcune sue parti essenziali e se il risultato di quel cambiamento sarebbe migliore e più proficuo di quanto oggi avviene nelle sedi preposte.

Non credo che cambiare per cambiare abbia senso e che per farlo le ragioni addotte debbano essere ben più cospicue di quelle di chi si batte per il Sì. Se il nuovo testo non cambierà nulla poi, come molti dei partigiani della riforma sostengono, è inutile che venga approvato. Se cambierà in peggio – come appare palese dalle notazioni dei costituzionalisti contrari – allora bocciarla è necessario

(Docente di Estetica, Scuola Normale Superiore, Pisa)

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Fare una legge, una buona legge, non è una gara di velocità
Andrea Penoni

Non capisco la reale necessità e la virtù di avere un parlamento che approvi velocemente una legge.
Abbiamo bisogno di un parlamento che approvi buone leggi e non leggi qualsiasi in tempi da record. La legge Fornero fu approvata in 15 giorni, il lodo Alfano in 20. Hanno prodotto disastri.

La legge sul reato di tortura attende da 28 anni. Si tratta sempre di volontà e di coesione politica. La legge sulla fecondazione assistita, approvata a colpi di fiducia, è stata fatta a pezzi da tutte le corti a cui si è fatto ricorso. Ed è giusto così perché era una pessima legge voluta da integralisti medievali. Non serve una nuova costituzione. Applichiamo quella che abbiamo.

Fare una legge, una buona legge, non è una gara di velocità.

Quanto alla riduzione dei parlamentari, rilancio la proposta di Ingrao di molti anni fa: una sola camera con 400 deputati, ma eletta con il sistema proporzionale puro, lo stesso con cui venne eletta l’Assemblea Costituente. Invece si vuole cercare un sistema elettorale che favorisca comunque chi è già al governo… così non va!

(Professore aggregato di Chimica organica, Università degli Studi dell’Insubria, Como)

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Non mettiamo a rischio quello che ci è rimasto di democrazia e rappresentanza
Ludovico Pernazza

Io voterò NO al referendum costituzionale del 4 dicembre 2016. Per farmi prendere questa decisione è sufficiente la modifica dell’assetto parlamentare che la riforma ha previsto. Ritengo che il ruolo speculare di Camera e Senato nell’assetto attuale sia un necessario contrappeso istituzionale all’azione del Governo (che già ora ha spesso la tentazione di svilire il ruolo del Parlamento) e un ostacolo alle tendenze autoritarie che periodicamente riaffiorano nel nostro paese, oltre a garantire una legislazione più meditata e meno soggetta agli umori di un momento: trovo quindi pericoloso spostare (e di quanto!) il punto di equilibrio attuale tra controllo democratico e celerità delle procedure.

La possibilità di eleggere direttamente i rappresentanti in ciascuna delle due Camere è inoltre un’espressione di democrazia irrinunciabile.

Questa considerazione di sistema sovrasta, ahimè, ogni aspetto anche positivo che possa riscontrarsi in altre parti della riforma, come ad esempio alcuni rimedi che si porrebbero ai (per me) nefasti cambiamenti introdotti dalla riforma del titolo V del 2001. Sarebbe inutile, se non dannoso, avere una maggiore omogeneità nel paese se il prezzo fosse di mettere a rischio quello che ci è rimasto di democrazia e di rappresentanza.

(Ricercatore di Algebra e Geometria, Dipartimento di Matematica, Università di Pavia)

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Questi inni alla velocità e al decisionismo hanno un contenuto culturale deleterio
Pier Paolo Poggio

I motivi principale per cui bisogna dire no al referendum, al di là degli aspetti specifici, mi paiono due: il carattere ingannevole con cui viene formulato il quesito che fa perno, con eccesso di spregiudicatezza, sull’uso politico della rabbia degli elettori verso i politici. L’altro motivo discende dal tipo di retorica con cui vengono presentati il senso e la finalità del referendum: se vincerà il sì l’Italia diventerà finalmente un Paese moderno, tutto si velocizzerà, non ci saranno più inutili perdite di tempo, discussioni, lungaggini. Questi inni alla velocità e al decisionismo, oltre ad un preciso sapore antidemocratico, hanno un contenuto culturale deleterio. Si basano sull’oscuramento della storia novecentesca e delle sue catastrofi, esprimono un’adesione incondizionata all’innovazione tecnologica in quanto tale: la forma attuale di servitù volontaria.

(Direttore del Museo dell’Industria e del Lavoro “E. Battisti” e della Fondazione
Luigi Micheletti di Brescia, ha collaborato con l’Istituto di Storia moderna, Università di Genova
)

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Una riforma abusiva
Alessandro Prato

La riforma costituzionale è da respingere totalmente in primo luogo per una ragione di metodo essenziale in democrazia e che consiste nel fatto che è stata votata da una maggioranza parlamentare abusiva, raggiunta solo grazie al premio assegnato dalla legge elettorale cosiddetta del Porcellumdichiarata incostituzionale. Inoltre la riforma assegna l’immunità parlamentare a 100 fra sindaci, consiglieri regionali e rappresentanti del Quirinale che non hanno alcun diritto ad avere un privilegio come questo;lede il principio basilare della sovranità popolare (garantita dall’art. 1 della nostra Costituzione) perché i 100 membri del nuovo Senato non saranno più eletti dai cittadini. I risparmi garantiti da questa riforma sono irrisori(ammontano a circa 40 milioni di euro l’anno: per raggiungere questo modesto risultato sarebbe stato sufficiente decurtare del 10% lo stipendio dei deputati senza intaccare la Costituzione) e non scalfiscono minimamente i notevoli privilegi di cui gode la classe politica in generale. La riforma poi non elimina il bicameralismo perché continueranno ad esistere due Camere, peraltro in grave squilibrio tra di loro: il Parlamento con gli attuali 630 deputati e il Senato ridotto da 315 a 100 che su molte materie rilevanti continueranno a esaminare le leggi con il sistema bicamerale.

(Professore a contratto di Retorica e linguaggi persuasivi, Dipartimento di Scienze sociali politiche e cognitive, Università degli Studi, Siena)

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Non serve per la governabilità, ma per annullare la funzione delle opposizioni

Marcello Rossi

Votare NO al referendum è un dovere civile. Il Senato è nato come contrappeso alla Camera dei deputati: perché eliminarlo? Se il problema è di ordine economico, basta ridurre i deputati a 400 e i senatori a 200 e pagarli la metà di quello che percepiscono oggi. Occorre poi rivitalizzare la Repubblica parlamentare e per questo occorre eliminare il famigerato “premio di maggioranza” che, contrariamente a quanto spesso si vuol far credere, non si raccorda con la governabilità, ma serve ad annullare la funzione delle opposizioni, deprimendo in tal modo la democrazia. In definitiva, invece di cambiare 47 articoli della Costituzione, occorre attuare finalmente la Costituzione, cioè occorre rinverdire quello spirito resistenziale e socialista che è a fondamento della Carta.

Capisco che il tutto è un po’ compresso, ma spero che sia sufficiente.

(Direttore della rivista «Il Ponte» fondata da Piero Calamandrei e de Il Ponte Editore)

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Università e Ricerca scientifica vengono accentrate nelle mani dello Stato/Governo
Maria Letizia Ruello

Votero’ NO per tanti motivi. Compreso il fatto che Università e Ricerca scientifica vengono accentrate nelle mani dello Stato/Governo.

Come potremo poi lamentarci dei tagli di finanziamenti o della scelta di privilegiare l’IIT nei finanziamenti se tutto ciò è sancito dalla nuova Costituzione?

(Ricercatore di Scienza e tecnologia dei materiali, Università Politecnica della Marche, Ancona)

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Dì No al fascismo vecchio e a quello nuovo
Federico Sanguineti

Lo spiegano assai bene gli psicologi
che
è importante tirare fuori un No
per rafforzare la Tua psiche stanca.

Non darTi dunque per vinto e coraggio
questo 4 dicembre è l’occasione
finalmente per dire questo No.

Un No agli assassini che vorrebbero
assassinare un’altra volta quanti
per la Costituzione sono morti.

Dì No al fascismo vecchio e a quello nuovo.

(Professore ordinario di Filologia italiana, Università degli Studi di Salerno)

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Appoggio ad ogni iniziativa in difesa della nostra Costituzione
Silio Scalfati

Non voglio rinunciare ad esprimere, come cittadino e come insegnante, il mio appoggio ad ogni iniziativa in difesa della nostra Costituzione, che l’attuale presidente del consiglio vorrebbe distruggere.

(Docente ordinario di Diplomatica, Università di Pisa)

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Complica i processi legislativi
Giancarlo Scarpari

Quando i costituenti hanno previsto la procedura di revisione della Carta si riferivano a mutamenti relativi ad un articolo o ad una serie omogenea di norme, non certo ad una riforma in grado di incidere su 47 diversi articoli e su materie le più disparate; inoltre, poichè una costituzione è un patto che regola la comune convivenza tra tutti i cittadini, la sua eventuale revisione deve avere carattere inclusivo e non può essere imposta da una parte delle forze politiche contro i propri avversari e addirittura contro la propria minoranza interna; la qualità della riforma prodotta è meno che modesta (complica i processi legislativi, mantiene un senato di incerta natura, conferisce immunità a consiglieri regionali nominati, ecc.), ma, soprattutto, deve essere letta insieme all’Italicum, che, grazie all’abnorme premio di maggioranza attribuito indipendentemente dalla soglia raggiunta, conferirà al partito vincitore il potere di cambiare a sua volta la Costituzione secondo i propri interessi. Già per queste ragioni, chi abbia a cuore la Costituzione del 48, non può che votare NO al prossimo referndum del 4 dicembre.

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La vera riforma costituzionale in Italia sarebbe la integrale applicazione della Costituzione
Mauro Stampacchia

Io voto convintamente NO perché questa riforma costituzionale è segnata dall’idea di restringere gli spazi di democrazia e di rappresentanza, con l’abrogazione del diritto dei cittadini ad eleggere il Senato, la limitazione delle competenze delle autonomie regionali e locali, il ridisegno e lo stravolgimento dei meccanismi decisionali del nostro sistema costituzionale, ed è perfettamente in linea con la compressione dei diritti del lavoro. Del resto quello stesso Governo che promuove questa riforma ha già dato ampia prova di stare nella continuità con le linee di governo da Berlusconi passando per Monti e Letta, e ora vuole mettere a segno un colpo che sia la conferma di quanto già fatto. La legge sulla sedicente “buona” scuola fa il paio con le cosiddette “cattedre Natta” chiamate da commissioni nominate dallo stesso esecutivo, una procedura davvero inedita nei paesi a democrazia liberaldemocratica nei quale alle istituzioni educative è riservata autonomia scientifica e di gestione. Il Sì costruirebbe un sistema costituzionale tale che ogni futura eventuale riforma ne verrebbe impedita. La vera riforma costituzionale in Italia sarebbe invece la integrale applicazione della Costituzione e del suo spirito innovatore, che invece il NO (a questa riforma sbagliata) intende riproporre con forza. Il vento forte dei valori della Costituzione deve ritornare a soffiare ed essere l’anima del progetto di cambiamento oggi necessario a questa Italia delusa e tradita.

(Professore di Storia del movimento operaio e sindacale, Università degli Studi, Pisa)

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La battaglia è tra oligarchia e partecipazione
Giorgio Tassinari

La battaglia è tra oligarchia e partecipazione. Tra governo dei pochi, ricchi perdipiù, e governo del popolo. La legge Renzi-Boschi è un virus creato in laboratorio, a freddo, e non risolve nessuno dei veri problemi del popolo italiano (disoccupazione, povertà, crescita economica, diritti delle donne,…). Battere il progetto Renzi significa riaffermare la sovranità popolare e riaffermare i valori della lotta di Liberazione dal nazifascismo.

(Professore ordinario di Analisi di mercato, Università degli Studi di Bologna)

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Centralizzare il comando non porta efficienza ma corruzione
Tiziana Terranova

Io voto no perchè per me centralizzare il comando non porta efficienza ma corruzione e che l’unico modo di affrontare i grandi problemi della nostra società sia più democrazia, più partecipazione e più diffusione della decisione, non il suo concentramento nelle mani di pochi.

(Professore associato di Sociologia dei processi culturali e comunicativi, Università degli Studi “L’Orientale”, Napoli)

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Con le mitologie della razionalizzazione a perdere è la democrazia
Giovanni Tesio

Sono fuori tema? Forse sì. Sì perché non sono le questioni tecniche a tentarmi. Mentre è piuttosto la “questione morale”, che viene regolarmente ignorata. Dico no intanto perché – pur essendo amante del distingue frequenter – mi rifiuto di pensare che la questione costituzionale sia slegata dalla riforma elettorale (non mi sono mai piaciuti i ricatti e i giochini delle tre carte, alla Renzi: “prima datemi questo, poi vedremo di pensare al resto”). No perché non cedo a quell’altro ricatto che diventa: finalmente dopo trent’anni ce l’abbiamo fatta, e ora rinunciamo al futuro? Quale futuro, di grazia, quale futuro? No perché qui si gioca una partita in cui a perdere – con le mitologie della razionalizzazione – è la democrazia. No perché odio l’arroganza di qualsiasi potere che tenda all’uno, all’unico, al potentato dei numeri manipolati. No perché ho una spiccata vocazione alla perdenza, pur cercando di fare di tutto perché non diventi frustrazione. Sono fuori tema? Forse sì, ma sono queste le mie ragioni del no.

(Professore ordinario di Letteratura italiana, Università del Piemonte Orientale “A. Avogadro”, Torino)

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Un motivo valido per votare NO ce l’aveva dato il presidente del consiglio…
Vittorio Tomelleri

Mi trovo in missione all’estero e debbo confessare che non mi manca l’Italia. Che dire del referendum? Un motivo valido per votare no ce l’aveva dato il presidente del consiglio medesimo, dicendo che se ne sarebbe andato in caso di sconfitta, ma poi si è rimangiato la parola. Non so se andrò a votare (non credo nella democrazia plutocratica del capitalismo reale), quindi preferisco non esprimere pareri. Se andrò a votare, voterò socialmente no, per antipatia personale verso chi propone il referendum.

(Professore associato di Filologia Slava, Università degli Studi di Macerata)

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La riforma, se approvata, codificherebbe la “democrazia recitativa”
Angelo Tonnellato

La riforma costituzionale su cui voteremo il 4 dicembre è la traduzione in linguaggio costituzionalistico del celebre algoritmo che la ministra Giannini ha escogitato per sbriciolare i pochi calcinacci ancora in piedi della scuola italiana. È una riforma che, come è stato autorevolmente e quasi aforisticamente sintetizzato, contiene alcune buone cose che però non potranno mai funzionare e molte pessime cose che invece non potranno che perfettamente funzionare. Il trait d’union tra questa riforma e la realtà è la legge elettorale. Una Camera nominata dai capi o padroni dei partiti in cui la lista (non la coalizione) che riscuote più consensi – che però, non prevedendo la legge stessa una soglia oltre la quale far scattare la previsione premiale, potrebbe anche attestarsi sul 15% dei suffragi – ha diritto ad un premio del 40% dei seggi. Un Senato che, nominato in larga misura dai nominati regionali, sarà una specie di serraglio: inutile, se omogeneo alla maggioranza di governo, conflittuale e ingovernabile se disomogeneo. Ad ogni turno di elezioni regionali potrebbe cambiare la maggioranza del Senato. Non incidendo sulla crisi della rappresentanza ma aggirandola e raggirandola, facendo di essa anzi un instrumentum regni, la riforma, se approvata, codificherà definitivamente quella che lo storico Emilio Gentile ha acutamente definito “democrazia recitativa”.

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La democrazia sacrificata sull’altare di una presunta “efficienza” di matrice aziendalistica
Alberto Vannucci

Il progetto di revisione costituzionale su cui siamo chiamati a pronunciarci il prossimo 4 dicembre delinea un modello di Stato dove impera lo squilibrio dei poteri. Nell’architettura di governo disegnata da improvvisati e delegittimati “padri costituenti” è prevista una drastica verticalizzazione e centralizzazione del potere politico, che dai vertici dell’esecutivo si irradia a indebolire o disinnescare i contrappesi istituzionali finora assicurati dalla Costituzione vigente. Il leader incontrastato di una maggioranza monopartitica potrà far approvare rapidamente le leggi, incluse quelle di ulteriore revisione costituzionale, eleggere il Presidente della Repubblica e la maggioranza dei componenti della Corte Costituzionale, invadere ambiti oggi di competenza regionale. La qualità democratica – che si nutre di partecipazione dal basso e responsabilizzazione dei governanti – sarà sacrificata sull’altare di una presunta “efficienza” di matrice aziendalistica nell’azione di governo. Per queste ragioni votare NO è scelta di resistenza civile.

(Professore di Scienza Politica, Dipartimento di Scienze Politiche, Università di Pisa)

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Non risponde ai bisogni di libertà e di partecipazione
Maurizio Vernassa

Il mio NO alla attuale proposta di modifica costituzionale si fonda sulla profonda convinzione che, come si ricava da una attenta lettura del testo, la sua eventuale adozione diminuirebbe drasticamente i poteri dei Cittadini, anziché amplificarli come sarebbe auspicabile in un sistema di democrazia avanzata per rispondere al diffuso bisogno di libertà e di partecipazione. L’eccessivo potere attribuito al Presidente del Consiglio ed all’esecutivo determinerebbe lo squilibrio nei poteri costituzionali (il cui bilanciamento è uno degli elementi fondanti dell’attuale Carta costituzionale). Inoltre la modifica proposta non supera affatto il bicameralismo e in modo confuso sottrarrebbe sovranità ai cittadini, non garantendo nel contempo una effettiva diminuzione dei costi della politica. Infine, la sua approvazione da parte di un Parlamento eletto con una legge dichiarata incostituzionale ne inficia, a mio parere, totalmente la legittimità.

(Professore Associato di Storia e Istituzioni dell’Africa, Dipartimento di Scienze Politiche, Università di Pisa) [torna su]

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Un “NO” alle bugie di chi ci governa, un “NO” per iniziare la risalita verso una società più giusta
di
Giovanna Lo Presti

Colui che sa non parla;
Colui che parla non sa
Colui che è sincero non abbellisce;
Colui che abbellisce non è sincero.
Colui che è buono non discute;
Colui che discute non è buono.
Colui che sa non gioca;
Colui che gioca non sa
(Tao Tê Ching)

Quella in cui viviamo è tuttora una società ingiusta che non somiglia alle nostre speranze. In questo senso la Resistenza è stata in parte tradita, sepolta, non completata. Non abbiamo dato alla libertà conquistata il 25 aprile un contenuto di giustizia sociale”.

(Lo dice Sandro Pertini, presidente della Camera dei deputati, negli anni Settanta del secolo scorso)

Tra poco meno di un mese si vota e mai, nell’Italia repubblicana, s’è vista consultazione referendaria più scellerata. Il popolo sovrano verrà chiamato alle urne per decidere, in una volta sola, modifiche che toccano 47 articoli dell’attuale Costituzione e cioè più di un terzo del totale. Il “sì” porta con sé una implicita fiducia al governo in carica.
Ma il Governo attuale merita fiducia?

4 dicembre 2013, la fine del “Porcellum”

Se esaminiamo la questione referendaria dall’inizio, individuiamo almeno due problemi gravi. Il primo: il Parlamento in carica è stato eletto con una legge elettorale che i giudici della Consulta hanno dichiarato incostituzionale il 4 dicembre 2013. Come Matteo il Giovane sia arrivato alla poltrona di primo ministro lo ricordiamo bene tutti: con uno sgambetto sleale al suo compagno di partito Enrico Letta, complici i soliti “poteri forti” nazionali ed internazionali. Ergo: Parlamento e governo attuali sono i meno qualificati a mettere mano alla revisione di un terzo della Costituzione italiana. Secondo problema: la Costituzione è anche la legge fondamentale dello Stato ed è un testo che dovrebbe corrispondere al sentire comune della popolazione. Spaccare in due il Paese pur di portare a compimento il proprio progetto sembra atteggiamento in forte distonia con lo spirito che dovrebbe animare quella che è, a tutti gli effetti, la fonte del diritto nazionale.

23 novembre 2014, come si vince con il 40% del 36,67%

Ma che importa? Anche se al referendum confermativo andasse a votare un’infima minoranza e vincesse il “sì” siamo certi che il commento trionfalistico di Renzi sarà analogo a quello che espresse con il solito elegante vitalismo su Twitter in occasione delle regionali in Emilia Romagna, quando l’affluenza alle urne segnò il record negativo del 37,67%. “Mala affluenza, bene risultati: 2-0 netto. 4 regioni su 4 strappate alla dx in 9 mesi. Lega asfalta Forza Italia e Grillo. Pd sopra il 40%”. Ipse dixit: e per questo solo “cinguettio” il Giovane Renzi meriterebbe di tornare da dove proviene, da quei Boy Scout, il cui motto, “Be prepared” viene applicato alla lettera nella dichiarazione di cui sopra: sempre pronti ad abusare di una metafora calcistica, sempre pronti a spararle grosse, sempre pronti ad accaparrarsi come trionfo un 40% (e chi se ne frega se si tratta del 40% del 36,67%).

7 marzo 2015, entra in azione il Jobs Act

Quest’anno ci saranno molte più assunzioni che licenziamenti: sono pronto a scommetterlo e molto dipenderà dal Jobs Act che rende molto più semplice assumere”. “È una grande novità, perché nel 2015, grazie alla legge di stabilità, chi fa assunzioni a tempo indeterminato ha un incentivo fiscale”. Così si esprimeva Matteo Renzi, al quale certo non manca l’entusiasmo. Stava parlando del Jobs Act e del cosiddetto “contratto a tutele crescenti”; metteva in evidenza il bello e il buono, tralasciando, per esempio, l’ abolizione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori e il demansionamento, cosucce da nulla, alla fine. Mentre scriviamo, le cifre che riguardano gli occupati salgono (nelle dichiarazioni di Renzi) e scendono (nell’analisi delle statistiche che li riguardano); è però certo che se ne sono andati in incentivi (ai datori di lavoro) almeno 14 miliardi di euro.

(http://www.eticaeconomia.it/il-jobs-act-e-il-costo-della-nuova-occupazione-una-stima/ )

13 luglio 2015: la “Buona Scuola” è legge

Mi limito a riportare l’incipit del sito governativo dedicato alla “buona scuola”:

ll ddl ‘La Buona Scuola‘ è frutto di un lavoro di ascolto iniziato a settembre 2014 dal Governo e proseguito con le audizioni in Parlamento e gli incontri dell’Esecutivo con sindacati, studenti e genitori. Il ddl prevede un finanziamento aggiuntivo di 3 miliardi a regime sul capitolo istruzione e un piano straordinario di assunzioni per poter dare alla scuola i docenti di cui ha bisogno e tirare una linea con il passato sul tema del precariato storico. Dal 2016 si assume solo per concorso. Il provvedimento mette al centro l’autonomia scolastica. Si danno gli strumenti finanziari e operativi a dirigenti scolastici e docenti per poterla realizzare. Ovvero più fondi (viene raddoppiato il Fondo di funzionamento delle scuole) e più risorse umane.

Questi, invece, i titoli dedicati ultimamente alla scuola sul Fattoquotidiano.it(prendo una testata che non sia vistosamente allineata con le posizioni governative): Scuole, altro che “Belle, sicure e nuove”. Da Rho a Salerno crolli e inagibilità (22 ottobre 2016); Dalla chiamata diretta alla valutazione, passando per il super-preside: tutti i punti principali della riforma sono stati valutati negativamente dai prof interpellati in una rilevazione Swg per una ricerca commissionata dal sindacato Gilda (5 ottobre 2016); Concorso scuola 2016, cosa non ha funzionato: pc difettosi, troppe domande, docenti impreparati (e bocciati) (21 settembre 2016). Etc. etc. passando dal disastroso flop dell’organico “di potenziamento alle nequizie del “bonus” al merito, al blocco di un contratto non più rinnovato dal 2007.

Lascio al lettore, soprattutto se insegnante, il valutare quale delle due fonti sia più faziosa, se sia più menzognera la voce del Governo o la voce del giornalista. La “Buona scuola” non è riuscita a guarire nemmeno la “supplentite: l’anno scolastico è iniziato all’insegna della confusione e della mancanza (clamorosa) di docenti dietro le cattedre. Commento del ministro (fantasma) dell’Istruzione:

Non è un ritardo , perché ogni anno l’inizio dell’anno scolastico ha un periodo di completamento che va fino alla fine di questo mese: si tratterebbe, dunque, di un ritardo qualora fossimo ancora a Natale in tale situazione e non sarà così”.

Perciò, per il ministro, è normale perdere un mese e mezzo di lezioni.

Verso il referendum del 4 dicembre 2016

Con tali premesse, non c’è molto da fidarsi: Renzi è un disinvolto promotore di se stesso, pronto a dire e a disdire, senza troppe preoccupazioni per la realtà oggettiva dei fatti. Il furbesco quesito referendario, che invita implicitamente a votare “sì” va smontato pezzo per pezzo.

Approvate il testo della legge costituzionale concernente ‘disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del Cnel e la revisione del Titolo V della parte seconda della Costituzione‘, approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta ufficiale numero 88 del 15 aprile 2016?

No, non approvo il testo della legge perché è stata approvato da questo Parlamento, di fatto delegittimato per il modo in cui è stato eletto (e da questo Governo, delegittimato ab origine); no, non approvo la legge costituzionale che sostituisce il bicameralismo paritario (perfetto) con un bicameralismo imperfetto e pasticciato sino all’inverosimile. No, non approvo il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, anche perché, almeno a stare ai calcoli più attendibili, si tratterà di un contenimento di poche decine di milioni di euro, risultato che si sarebbe raggiunto facilmente ridimensionando i compensi di tutti i parlamentari (compresi i parlamentari regionali) e riducendo significativamente il numero di senatori e deputati. Polemicamente, non approvo nemmeno la soppressione del CNEL che, fra gli enti inutili, è però un ente di rilievo costituzionale e, bene o male, si occupa di lavoro. Neppure mi piace la revisione ulteriore del Titolo V della Costituzione, il quale, “riformato” (male) nel 2001, ha ora bisogno di una nuova sterzata in senso centralista.

Non approvo ciò che non comprendo

La vicenda del Titolo V mi fa pensare che, se perdiamo l’occasione graziosamente offerta oggi da Renzi di smantellare un terzo dell’attuale Costituzione non sarà poi necessario aspettare trent’anni per cambiare in meglio qualche aspetto della Carta costituzionale (per il Giovane Renzi, trent’anni devono corrispondere – credo – ad un’era geologica). Tant’è che dopo quindici anni già si propone di modificare di nuovo il Titolo V, fonte, è vero, di continui conflitti di competenze, per sostituirlo con un Titolo V che, di sicuro, sarà fonte di altri conflitti di competenze tra Stato ed autonomie locali. E poi non approvo ciò che non comprendo; e devo dare ragione a Salvini il quale, in una tribuna televisiva esibiva il riformato articolo 70. Il testo attuale suona così:

Art. 70. La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere.

Questa l’elefantiaca versione “riformata”:

La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere per le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali, e soltanto per le leggi di attuazione delle disposizioni costituzionali concernenti la tutela delle minoranze linguistiche, i referendum popolari, le altre forme di consultazione di cui all’articolo 71, per le leggi che determinano l’ordinamento, la legislazione elettorale, gli organi di governo, le funzioni fondamentali dei Comuni e delle Città metropolitane e le disposizioni di principio sulle forme associative dei Comuni, per la legge che stabilisce le norme generali, le forme e i termini della partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea, per quella che determina i casi di ineleggibilità e di incompatibilità con l’ufficio di senatore di cui all’articolo 65, primo comma, e per le leggi di cui agli articoli 57, sesto comma, 80, secondo periodo, 114, terzo comma, 116, terzo comma, 117, quinto e nono comma, 119, sesto comma, 120, secondo comma, 122, primo comma, e 132, secondo comma. Le stesse leggi, ciascuna con oggetto proprio, possono essere abrogate, modificate o derogate solo in forma espressa e da leggi approvate a norma del presente comma. Le altre leggi sono approvate dalla Camera dei deputati. Ogni disegno di legge approvato dalla Camera dei deputati è immediatamente trasmesso al Senato della Repubblica che, entro dieci giorni, su richiesta di un terzo dei suoi componenti, può disporre di esaminarlo. Nei trenta giorni successivi il Senato della Repubblica può deliberare proposte di modificazione del testo, sulle quali la Camera dei deputati si pronuncia in via definitiva. Qualora il Senato della Repubblica non disponga di procedere all’esame o sia inutilmente decorso il termine per deliberare, ovvero quando la Camera dei deputati si sia pronunciata in via definitiva, la legge può essere promulgata. L’esame del Senato della Repubblica per le leggi che danno attuazione all’articolo 117, quarto comma, è disposto nel termine di dieci giorni dalla data di trasmissione. Per i medesimi disegni di legge, la Camera dei deputati può non conformarsi alle modificazioni proposte dal Senato della Repubblica a maggioranza assoluta dei suoi componenti, solo pronunciandosi nella votazione finale a maggioranza assoluta dei propri componenti. I disegni di legge di cui all’articolo 81, quarto comma, approvati dalla Camera dei deputati, sono esaminati dal Senato della Repubblica, che può deliberare proposte di modificazione entro quindici giorni dalla data della trasmissione. I Presidenti delle Camere decidono, d’intesa tra loro, le eventuali questioni di competenza, sollevate secondo le norme dei rispettivi regolamenti. Il Senato della Repubblica può, secondo quanto previsto dal proprio regolamento, svolgere attività conoscitive, nonché formulare osservazioni su atti o documenti all’esame della Camera dei deputati.

Mi pare, dunque, che la diffidenza sia d’obbligo e che il “NO” sia imperativo.

L’ “economia politica dell’incertezza”

Se passiamo dal particolare (il voto del 4 dicembre 2016) al generale (l’erosione della democrazia rappresentativa e la deriva autoritaria nazionale ed internazionale) ci troviamo, per l’ennesima volta, di fronte ad un problema che la volontà dei molti potrebbe risolvere a proprio vantaggio. Anche il referendum di dicembre altro non è che un esempio di quella che Bauman ha definito economia politica dell’incertezza, cioè l’insieme delle regole per porre fine ad ogni regola” imposte dalle potenze extraterritoriali della finanza, del capitale e del commercio alle autorità politiche locali.

L’ “economia politica dell’incertezza” si regge, in primo luogo, sulla

incapacità da parte di individui privatizzati ed endemicamente insicuri di agire concordemente; un’incapacità aggravata dalla sfiducia di tali individui nel fatto che le azioni concordate possano essere efficaci e che i problemi privati possano essere tradotti in questioni collettive e men che meno nei progetti comuni di un diverso ordine delle cose”.

Possiamo essere certi che la svolta indicata dalle riforme renziane sia di segno autoritario; quando si sottrae sovranità al popolo ci si muove sempre in senso autoritario. All’Italia serve un Parlamento che legiferi in maniera più rapida? Certo che no; serve invece un Parlamento da cui sortiscano buone leggi. E, in democrazia, le buone leggi sono quelle che favoriscono il maggior benessere del maggior numero di persone. Non mi risulta che negli ultimi cinque anni ne siano state prodotte; mi risulta, invece, che pessime leggi, prima tra tutte la “riforma” Fornero, siano state partorite in tempi record (19 giorni per la “Fornero”), pur con il bicameralismo perfetto. Quindi il problema non è la velocità con cui si sputa fuori un provvedimento ma la sua sensatezza, il suo essere orientato verso il benessere di tutti. Infine, diciamolo chiaro: la “riforma” della Costituzione è anche (non solo, ma anche) un modo per sviare la popolazione dai concreti problemi del Paese: disoccupazione all’11,7%, ed occupati con i redditi più bassi tra tutti i Paesi europei; scuola e sanità in subbuglio; un’età sempre più alta per andare in pensione (ma, attenzione: i nostri economisti di regime non mettono in relazione la disoccupazione giovanile e l’occupazione senile, con buona pace del buon senso); il dissesto del territorio e la completa mancanza di un piano organico di interventi; l’assenza di una politica industriale o meglio una fantasiosa interpretazione della politica industriale, consistente nel precarizzare sempre di più i lavoratori e nell’offrire prebende ai datori di lavoro.

Lo spin doctor di Obama, Jim Messina, assoldato da Renzi, lavora da mesi, accanto a Matteo il Giovane, per il successo del “sì”. Gli ha consigliato una linea più prudente, gli ha consigliato di allungare l’orlo dei pantaloni, di non andare più in giro strizzato in giacchette di una taglia inferiore alla sua, gli ha consigliato, soprattutto, di disgiungere la sua carriera politica dall’esito referendario. Diciamolo agli incerti, ricordiamolo a coloro che sono convinti che votare “sì” farà uscire il Paese dallo stallo: se vincerà il “sì” sarà semplicemente la vittoria di una buona campagna pubblicitaria. Vorrà soltanto dire che la merce “referendum” è stata offerta in un packagingaccattivante; vorrà dire che Renzi sarà riuscito più simpatico di D’Alema (uomo sempre preoccupante, anche quando sta dalla parte giusta); vorrà dire che la politica ridotta a talk show l’ha vinta un’altra volta sulla politica vera, quella che, tanto tempo fa, ha portato i costituenti a lavorare per due anni alla ricerca di mediazioni, affinché la nostra Costituzione potesse essere la Costituzione della Repubblica italiana e non il vessillo di una parte.

Il “NO” sarà il primo passo

Il “NO” sarà il primo passo per suggerire ai nostri politici di lasciar perdere lo stravolgimento della Costituzione e di darsi da fare per realizzare l’articolo 3: lavorino per “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Non vogliamo che la nostra libertà, che è anche libertà di scegliere i nostri rappresentanti, venga limitata; non vogliamo correre il rischio che il combinato disposto di riforme costituzionali ed Italicum svilisca ulteriormente la nostra già logora democrazia; non vogliamo che il divario tra chi ha e chi non ha diventi ancor maggiore; non vogliamo, insomma, un Paese povero, ignorante, che costringe i più giovani e i più anziani ad allontanarsi dalla propria terra, in cerca di un futuro dignitoso. Noi, popolo, vogliamo invece essere parte attiva e dotata di capacità di incidere sulle scelte del Parlamento che, sino a prova contraria, è al nostro servizio. Vogliamo, con forza, affermare la sovranità popolare; con forza ancor maggiore vogliamo batterci contro la servitù volontaria che ci viene proposta da chi governa come unica soluzione alla “crisi.

La soluzione non è mai unica, la storia non è fatto naturale ma frutto delle decisioni di esseri umani. Il 4 dicembre 2016 esercitiamo, attraverso il referendum, la democrazia diretta: andiamo alle urne in tanti e votiamo “NO”. E che sia un “NO” carico di speranza e di volontà di ribellarsi ad uno stato di cose che, giorno dopo giorno, in nome dei miti del modernismo e dell’efficienza, sta rivelando il suo vero volto mostruoso, disumano, ingiusto.

Ricordiamo ai favorevoli al “sì” che il referendum non tocca nemmeno uno dei guai reali dell’Italia; ricordiamo loro che il modo più veloce e senza intralci per governare è già stato ampiamente praticato nella Storia. Ha un nome: si chiama tirannide nei tempi antichi e dittatura in tempi più recenti. [torna su]

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Invitiamo la lettura di una analisi di Nadia Urbinati nella seguente intervista apparsa su La Città

La democrazia apatica
Intervista a Nadia Urbinati realizzata da Gianni Saporetti

L’idea di una “Seconda repubblica”, centrata sull’esecutivo e non sul parlamento, nasce in odio ai partiti nel 1958, alla caduta del monocolore democristiano e al concomitante avvento in Francia del presidenzialismo gollista; senatori nominati, incriminabili in regione e immuni a Roma, che potranno ritardare i lavori della Camera, cambiare la Costituzione, ma non toccare il governo; la parola “governability” e l’obiettivo del minimo di democrazia. (Leggi qui)

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Appello di docenti per il NO alle modifiche costituzionali: vedi qui

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Materiali per la campagna “Ci riguarda. La Scuola dice NO” al referendum costituzionale: vedi qui.

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