Dal blog di Francesco Iacovone, del 29 giugno 2016
Mi chiamo Martina e lavoro come addetta alle vendite in una delle più grandi multinazionali presenti sul mercato, Zara, che con il suo fatturato ha reso Amancio Ortega l’uomo più ricco del mondo.
Oggi vi scrivo non per lamentarmi del trattamento che l’azienda riserva ai suoi magazzinieri (condizioni da medioevo, con turni estenuanti e senza riposo), e neppure per chiedere la chiusura dei punti vendita nei giorni festivi e domenicali. Non vi voglio parlare nemmeno delle tante “Sonia” che vengono lasciate a casa allo scadere dei mesi che una Legge di liberalizzazione selvaggia ha previsto per instaurare un precariato dilagante.
Oggi vi voglio parlare delle mie colleghe: Elena, Emanuela, Stefania, Cinzia, Marta e tante altre, che sono donne e mamme, che lavorano, ma che hanno la sfortuna di essere malate, o categorie protette, o madri di disabili. Vi voglio parlare delle loro lotte per mantenere il posto di lavoro, con sacrificio e professionalità. Vi voglio raccontare quanto Zara le mette sotto pressione, facendole sentire inadeguate.
Marta ha vinto sul cancro, per ora, ma come tutti i malati di cancro la sua battaglia non finisce col ciclo di chemioterapia. Lei è una categoria protetta, ha un contratto a tempo indeterminato e viene ogni giorno a lavorare dimostrando a se stessa e agli altri che si può vincere, ha ricominciato a sognare al futuro, e si è sposata. Peccato che suo marito viva in un’altra città, una città dove esiste il negozio Zara che fattura di più al mondo, una città dove opera il suo oncologo. Marta ha chiesto il trasferimento, ma ZARA GLIELO NEGA, apparentemente senza motivo.
Elena è malata di sclerosi multipla, e da quando lavora in Zara le sue condizioni di salute sono peggiorate fino al 74% di invalidità. Elena non vuole arrendersi a questa malattia, e viene a lavorare anche quando le gambe le si piegano dalla fatica, ogni giorno lavora le 4 ore previste dal suo contratto a tempo indeterminato con grande sacrificio, ma con grande impegno. In negozio noi tutti, suoi colleghi e amici, ammiriamo la sua forza di carattere e la sua determinazione.
Purtroppo il negozio in cui lavora chiude alle 23 ogni giorno e per lei farcela fino a quell’ora è una battaglia troppo dura. Così insieme ai miei colleghi abbiamo combattuto per un intero anno al fine di farle ottenere dei turni meno pesanti, che non superassero le 21. Alla nostra insistenza Zara, nella persona dei vari Direttori di negozio e delle Risorse Umane, all’inizio si è mostrata completamente riluttante alle nostre richieste, cedendo solo dopo un lunghissimo anno. Il problema è che non passa giorno in cui Elena non senta “battutine” sui suoi turni agevolati, o pressioni.
Stefania è mamma di una splendida bimba disabile, per cui ha diritto alla Legge 104. Spesso si assenta dal lavoro per poter accudire sua figlia, la Legge 104 le dà il diritto di farlo, ma Zara glielo fa pesare. Quando è in servizio cerca di sorridere ai clienti e a noi colleghi con gentilezza, per non far percepire le sue ansie e la sua preoccupazione. Viene a lavorare anche il giorno dopo un ricovero straordinario della figlia e scopre che Zara non le ha retribuito l’assenza del giorno prima, qualificandola come “assenza ingiustificata”. Purtroppo i permessi maturati negli anni di lavoro, per l’azienda vengono concessi a discrezione dei direttori del negozio che non ritengono quell’assenza giustificata. Quando rientra dopo un lungo periodo di Congedo Straordinario per prendersi cura della figlia, non può non sentire il mormorio che le si scatena intorno, come se fosse stata in vacanza!
Emanuela è mamma di un bimbo dislessico, anche lei per questo ha diritto alla Legge 104. Emanuela è una venditrice part time, da quando per esigenze familiari, si è demansionata lasciando il ruolo di direttrice di negozio. Lavora con grande competenza e professionalità, senza aver mai smesso di contribuire con la sua esperienza alle vendite. Purtroppo quando chiede turni più regolari per poter accompagnare il figlio alla terapia logopedistica, ZARA GLIELO NEGA, e il nuovo direttore di negozio motiva tale rifiuto nell’impossibilità di creare un “precedente” in azienda e le dice: “Se tutti ci chiedessero turni a misura come faremmo a portare avanti il negozio?”. Emanuela avrebbe voluto rispondergli “Per fortuna non tutti hanno figli disabili!”, ma ha taciuto, sentendosi tradita, ancora una volta, dall’Azienda a cui negli anni ha creduto e a cui ha dato tanto.
Cinzia non è mamma, è una donna single, fuori sede, arrivata in Zara dopo che al Sud non trovava lavoro. A Roma ha trovato un contratto a tempo indeterminato e si è messa a lavorare tanto da far carriera, ora ha il terzo livello. Purtroppo nei tanti anni di lavoro, sempre in piedi, la sua schiena comincia a darle problemi e scopre di avere varie ernie discali. Purtroppo a volte il suo corpo si paralizza e lei è immobilizzata a letto, sola perché la sua famiglia è a centinaia di chilometri di distanza. Quando dopo un lungo periodo di malattia torna in negozio nessuno le chiede come sta, ma al contrario si sente dire che dovrebbe demansionarsi. Quando ha delle ricadute, nessuno le crede, e non le rivolgono parola durante le otto ore di lavoro, colpevolizzandola per le sue ripetute assenze. Alla collega che le urla disumanamente contro “tu ci pesi con le tue continue malattie!”, lei vorrebbe rispondere per le rime, ma tace, il lavoro le serve per vivere. Il direttore che assiste a queste scene tace, mostrando la posizione di un’azienda che non tollera malati.
Purtroppo Zara va avanti incurante dei disagi dei suoi dipendenti, cresce, apre nuovi negozi e stipula contratti a gente sempre più giovane, nella speranza che non si ammali. Ma la malattia non è una scelta. E di fronte a lavoratrici come queste, che lottano nella loro vita privata battaglie inimmaginabili, e che vengono a lavoro sempre con enorme professionalità, Zara risponde con una strategia che le criminalizza.
Da quando lavoro in Zara il contratto collettivo nazionale ha decurtato sensibilmente la remunerazione delle assenze per malattia, ciò significa che al danno subito da chi sfortunatamente si ammala si aggiunge l’impossibilità di affrontare serenamente le spese per le cure mediche. In questo clima, Zara aggiunge disperazione ai suoi dipendenti, trattandoli come criminali, creando nei negozi, tra colleghi, un clima di sospetto e di sfiducia verso coloro che si ammalano o che si assentano per prendersi cura dei propri familiari.
Nei mesi scorsi ho seguito le polemiche sulle taglie degli abiti del mio brand: le accuse erano di voler creare un modello di clientela ai limiti dell’anoressia. Purtroppo il modello che Zara propone è quello di individui giovanissimi, magrissimi e SANI, non solo come clientela ma anche come dipendenti e chi non rientra in questi parametri viene vessato, ai limiti della sopportazione.
Ancora una volta Zara dimostra la sua faccia disumana, incurante e sprezzante. Avrei voluto parlarvi di altre storie, ma altri lavoratori e lavoratrici hanno ceduto, hanno accettato di dimettersi, perdendo per sempre anche la sicurezza di un lavoro, perché toglieva loro dignità.