Unicoop Tirreno nei guai: «lesioni alla cassiera» licenziata in tronco
Livorno, il giudice del lavoro ha reintegrato la dipendente trasferita per 8 mesi dalla sezione depositi alle casse. Gli atti del procedimento inviati alla Procura
di Federico Lazzotti, da Il Tirreno
LIVORNO. Non solo reintegrata e risarcita con le mensilità non corrisposte perché il licenziamento firmato dai vertici di Unicoop Tirreno era – secondo il Tribunale del Lavoro – «illegittimo». Il giudice, a margine della sentenza, ha anche disposto l’invio degli atti del procedimento civile alla Procura della Repubblica «per condotte penalmente rilevanti» del datore di lavoro. In particolare perché nella trattazione della causa, sono emerse circostanze nelle quali possono «leggersi elementi del reato di lesioni colpose, procedibili di ufficio».
A distanza di un mese dalla cassiera del Conad licenziata per un panino e a pochi giorni dalla sentenza di primo grado che ha definito «illegittimo» il siluramento di un’altra lavoratrice dell’Ipercoop avvenuto l’autunno scorso, è ancora la storia giudiziaria di una dipendente della grande distribuzione a finire alla ribalta.
La protagonista, stavolta, si chiama Diana Bandini, e per 17 anni, tra il 1998 e il gennaio dello scorso anno, ha lavorato per Unicoop Tirreno con la mansione di addetta all’ufficio che si occupa di deposito al risparmio (Sdr) e prestito sociale. Tutto liscio – raccontano le carte – fino a quando l’azienda non decide di trasferirla alle casse dell’ipermercato delle Fonti del Corallo nonostante un problema alle mani e successivamente di licenziarla «per giusta causa».
Da qui il ricorso della donna attraverso Uiltucs Toscana Costa e l’avvocato Elena Giuliano, al giudice del lavoro, contestando la discriminatorietà con cui è stato interrotto il rapporto. Si legge nella sentenza di primo grado deposita martedì in cancelleria dal giudice Francesca Sbrana: «Risulta dai documenti che su richiesta della lavoratrice il medico aziendale abbia visitato la Bandini, dapprima nel febbraio 2015 e, successivamente, nel mese di aprile, ritenendola idonea alla mansione di addetta alle vendite con limitazioni, prescrivendo, in particolare, di non adibire la stessa ad attività dove il livello di attività manuale fosse classificabile come “elevato”».
Nonostante questo la donna ha continuato a lavorare come cassiera – prosegue ancora la sentenza citando diverse testimonianze di colleghe ritenute attendibili – «benchè fosse stata predisposta una formazione promiscua (formazione peraltro di cui la ricorrente era in possesso), vi erano punti vendita con sezione Sdr con addetti in via esclusiva alla raccolta del prestito sociale (quali il superstore di Livorno – Porta a Terra) e altri punti vendita, aventi configurazione di supermercati, in cui l’ufficio Sdr risulta integrato col Boc (punto di ascolto) e i cui addetti possono essere dunque chiamati in ausilio al punto di ascolto, non verificandosi invece, se non in casi sporadici ed isolati, la copertura di mansioni alle casse da parte di questi(e garantendo comunque la copertura del punto di ascolto -Sdr)».
«Eseguire una mansione non idonea per otto mesi – spiega l’avvocato – ha peggiorato le condizioni di salute della mia cliente». Ebbene conclude il giudice disponendo il reintegro immediato: «alla luce della documentazione in atti e delle prove orali, non risulta provato che la ricorrente non potesse continuare a svolgere mansioni presso sportelli Sdr, eventualmente in ausilio al punto d’ascolto (mentre è risultata in fatto richiesta, come detto, una formazione promiscua anche per attività di vendita, senza che si sia in concreto registrata per tutti gli addetti all’Sdr la concreta adibizione a mansioni di cassiere in contemporanea a quelle di addetto al prestito sociale».