France Télécom: 60 suicidi; la direzione sotto processo per semplice mobbing

Dopo 7 anni di inchiesta la procura di Parigi ha chiesto il rinvio a giudizio per “mobbing” di France Télécom e del suo ex presidente e direttore generale Didier Lombard. In tutto sono sotto processo 7 dirigenti. Si tratta della vicenda dell’ondata di suicidi (una sessantina) tra i lavoratori dell’azienda nel periodo 2008 – 2009. Lombard e l’azienda sono sospettati di aver messo in campo una politica di pressione e terrore nei confronti dei lavoratori per spingerli alle dimissioni.

Télécom France, oggi diventata Orange, sarebbe la prima azienda quotata in borsa ad essere messa sotto processo per mobbing. Si tratta però di un capo d’accusa decisamente lieve per la gravità delle colpe e delle conseguenze delle politiche manageriali dell’azienda. I dirigenti rischiano al massimo due anni di carcere e 30mila euro di penale. Il giudice istruttore dovrà pronunciarsi entro qualche settimana.

Il sindacato CFE-CGC Orange (ex-France Télécom) reclama come capo d’accusa “omicidio involontario”, considerando riduttiva l’accusa di mobbing. Il sindacato SUD, che aveva sporto denuncia all’epoca dei suicidi dichiara che occorre combattere “la logica finanziaria, spinta fin alle estreme conseguenza che ha spinto dei colleghi a suicidarsi per paura di perdere il lavoro”. Per la CGT “questo processo deve essere l’occasione di riconoscere che c’è un problema di violenza dentro i luoghi di lavoro e che bisogna combattere i metodi di mangement autoritari e inumani”.

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France Télécom: 60 suicidi; la direzione è sotto processo unicamente per mobbing

Articolo di George Waters, da Révolution Permanente del 7 luglio 2016

Traduzione a cura di Sial Cobas

Bisogna tornare alla metà degli anni 2000 per ricostruire i fatti: nel 2004, lo Stato privatizza France Télécom e ne diviene azionista di minoranza. Visto che il settore delle telecomunicazioni è sottoposto a drastici cambiamenti per via dell’esplosione dell’informatizzazione, l’azienda deve adattare la sua attività al nuovo contesto tecnologico. Ma anziché formare il personale ai nuovi bisogni e alle nuove tecnologie, il gruppo preferisce eliminare 22mila lavoratori e cambiare di posto altri 14mila, su un totale di 110mila dipendenti del gruppo. Nel 2006, nel corso di una riunione di dirigenti, Didier Lombard espone queste cifre, esplicitando quella che sarà la filosofia aziendale degli anni a venire: “queste persone se ne andranno, in un modo o nell’altro, dalla finestra o dalla porta”.

Per realizzare questo piano di distruzione di posti di lavoro e di vite, la direzione non usa alcuna prudenza e moltiplica gli sforzi. Nel 2005, l’azienda apre una per imparare a licenziare e a spingere alle dimissioni.

Il contenuto del corso “next”? è: “Come accompagnare le persone a lasciare l’azienda”. Un quadro ha confidatocurva del lutto alla BRDP (Brigata di repressione della delinquenza contro le persone) che venivano organizzati dei giochi di ruolo “per mettersi nella condizione di convincere qualcun altro che non vuole andarsene. Per esempio, ci è stata spiegata la curva del lutto”.

France Télécom aveva in effetti riutilizzatoin modo scientifico gli studi della psicologa E. Kübler-Ross sul lutto, per trattare gli impiegati per i quali la disoccupazione rappresentava la catastrofe.

Le Monde recensiva nel 2014 molti esempi di questo “management”, che riflette l’essenza stessa del capitalismo: mettere pressione ai lavoratori, usare dei “se” nei colloqui, ritirare badges, uffici e sedie dei dipendenti, fissare obiettivi irrealizzabili per gli addetti al settore commerciale, proporre spostamenti in sedi a 200 km da casa, inviare una e-mail tutti i venerdì con le offerte di lavoro nella pubblica amministrazione territoriale, domandare a tutti gli impiegati di un servizio di proporsi per il posto che occupano attualmente, sapendo che certi saranno soppressi. Il numero delle persone senza collocazione aumentava e alcuni restavano 4 – 5 mesi senza niente da fare, sorvegliati dai loro capi.

Si tratta quindi di una vera e propria macchina da guerra per creare depressione, suicidi e sofferenza. Le lunghe sospensioni del lavoro si moltiplicano senza allarmare nessuno.

Uno dei medici aziendali si stupisce del gran numero di lavoratori “trattati con ansiolitici, antidepressivi o sonniferi”; un responsabile di Parigi gli risponde che “a differenza delle macchine, l’essere umano è flessibile e adattabile”.

Alla fine si suicideranno una sessantina di lavoratori, gettandosi sotto il treno che li portava al lavoro, durante la riunione che annunciava il cambiamento del proprio impiego, gettandosi dalla finestra dell’ufficio…Solo tra il 2008 e il 2009 sono 35 i lavoratori che si suicidano.

La giustizia, compiacente, sottostima abbondantemente la gravità dei fatti

Nel dicembre 2009, il sindacato SUD-PTT deposita una denuncia contro France Télécom per “messa in pericolo della vita altrui” dopo l’ondata di suicidi e in aprile 2010 viene nominato un giudice istruttore dopo un’inchiesta preliminare. Il 4 luglio 2012, Didier Lombard, ex PDG (Presidente Direttore Generale) tra il 2005 e il 2010, viene iscritto nel registro degli indagati insieme a Louis-Pierre Wenes (suo vecchio braccio destro) e Olivier Barberot (Direttore delle Risorse Umane) per “mobbing” (violenza morale).

Nel dicembre 2014, i giudici iscrivono nel registro degli indagati altri quattro dirigenti, due dirigenti territoriali, il Direttore delle Risorse Umane della Francia e l’ex direttrice del programma ACT per “complicità in mobbing”. Questo 22 giugno la procura ha chiesto un rinvio a giudizio di questi sette dirigenti per gli stessi motivi. Capi d’accusa davvero lievi rispetto alle atrocità commesse nell’azienda.

Nonostante i primi congedi per malattia, le prime depressioni, i primi suicidi, l’azienda aveva continuato con la sua logica assassina: già a luglio 2009 un tecnico marsigliese si era suicidato lasciando come spiegazione del suo gesto la frase “management del terrore”: non poteva essere più chiaro.

Le altre spiegazioni sono anch’esse tutte legate alla gestione aziendale. All’epoca il Presidente del gruppo aveva parlato di “moda dei suicidi” con tutta l’ironia di un padrone che si arricchisce con la perdita di posti di lavoro, con la miseria sociale.

Il capo d’accusa è dunque veramente lieve se si guarda alla gravità dei fatti.

Il sindacato CFE-CGC l’ha ben compreso, e in un comunicato scrive che è necessario un rinvio a giudizio per “omicidio involontario, messa in pericolo della vita altrui e mobbing”.

Perché qui si tratta chiaramente di morti per il profitto: è stata messa in campo su larga scala una strategia di eliminazione dei dipendenti, costi quel che costi; che si suicidassero o meno, importava poco.

E’ anche importante evidenziare la responsabilità della direzione al livello più alto, perché tenta sempre di scaricare la colpa sui livelli inferiori, incaricati di fare pressione ai lavoratori.

Lavoratori come gli altri, ma che facevano da bassa manovalanza del padrone. Bisogna ammettere che agivano con la pistola puntata alla tempia: i quadri, sotto pressione, dovevano cambiare di posto ogni tre anni e avevano un incontro mensile di valutazione; un modo di mantenere la pressione anche su di loro.

Ed eseguire gli ordini della gerarchia non significava essere al sicuro: ad un direttore aggiunto che abitava a Montpellier, era stata proposta una sede prima a 250 km da lui, poi a Parigi e infine in Martinica. Lui aveva rifiutato ed era finito tra i dipendenti senza lavoro. In Alta-Savoia, un quadro ha raccontato ai giudici di aver chiuso la sua agenzia, aver mandato a casa la sua squadra e aver terminato la sua carriera al servizio clientela, con le cuffie da centralinista.

Si era installata una politica di terrore a tutti i livelli, per creare un clima estremamente teso e rendere malleabili e docili tutti i quadri, in qualunque posto si trovino.

Occorre dunque mettere sotto accusa prima di tutto i livelli più alti della gerarchia, che porta la totale responsabilità di questi metodi, prima di interrogarsi sulle responsabilità personali di questo o quel quadro.

I suicidi al lavoro sono ben lontani dall’essere un’eccezione e non si limitano a politiche portate avanti su larga scala da padroni guidati dal profitto: le pressioni vengono fatte a tutti i livelli, nei piccoli negozi come nelle grandi fabbriche. Che sia da Zara, tra i ferrovieri, negli ospedali (sugli infermieri come sul personale oss), nelle fabbriche di automobili (da Renault a PSA), sugli insegnanti, gli agricoltori, nel settore della chimica, tutti questi morti sono da imputare al sistema capitalistico.

Queste politiche manageriali non possono restare impunite. Non possiamo neanche lontanamente immaginare che un padrone che ha portato alla morte 60 dei suoi lavoratori e che ne ha traumatizzati un numero incalcolabile possa essere condannato ad un solo anno di prigione e a 15mila euro di ammenda.

La giustizia sicuramente non sentirà da queste orecchie e rivelerà una volta di più da che parte sta e quali interessi difende.

Dopo aver condannato e messo in carcere i militanti di Goodyear, e molto probabilmente la stessa sorte toccherà ai lavoratori di Air France (quelli delle “camicie strappate”) questa giustizia che non è la nostra mostrerà quali interessi difende e chi protegge.